Italiani sequestrati in Tunisia, Eni sotto accusa
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Italiani sequestrati in Tunisia, Eni sotto accusa

L’impianto di Tazarka preso d’assalto da un gruppo armato che chiede risarcimenti per i danni ambientali che avrebbe provocato la compagnia italiana

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28 Ottobre 2011 - 23.17


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di Alessandro Doranti

Notizia sconvolgente. Una telefonata interrompe l’intervista a Ramzi Bettaieb, responsabile di Nawaat, uno dei più attivi media indipendenti di Tunisi. La faccia si fa preoccupata, l’intervistato prende appunti e poi ci gela. «A Tazarka, a nord ovest della capitale, in uno dei cantieri appartenenti all’Eni, in compartecipazione con l’Entreprise Tunisienne d’Activités Pétrolières (Etap) pare che 28 lavoratori della compagnia, tra cui lo chef de bord italiano Girolamo Croce, siano stati presi in ostaggio da venerdì».

Notizia da sottacere. La telefonata arriva dalla madre di uno dei lavoratori sequestrati all’interno della struttura. Alla base del gesto ci sarebbe la denuncia dei danni ambientali causati dalla compagnia italiana. Ma l’operazione potrebbe nascondere retroscena inquietanti. Arrivano altre telefonate e altre ancora, il blocco che Bettaleb tiene in mano si riempe di appunti e di cifre. Chiede una sigaretta, l’accende e ci dà ulteriori spiegazioni: l’azione va avanti da venerdì, ma pare ci sia un accordo per non mediatizzare la notizia.

Canali non ufficiali. Meglio agire per canali non ufficiali. La stampa tunisina in ogni caso é concentrata totalmente sulle elezioni. «Dobbiamo aprire un canale, ci vogliono dei negoziatori. Contatto la direzione nazionale dell’Ugtt, il sindacato dei lavoratori tunisini». Il problema principale sembra legato dall’indisponibilità dei sequestratori a far passare gli alimenti all’interno del cantiere. Per questo quattro persone versano in condizioni critiche, ma un’ambulanza è riuscita ad evacuarle. Il telefono squilla due volte in pochi minuti, e compaiono due versioni sui possibili sequestratori.

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Richiesta di riscatto. Nella prima conversazione si parla di un assedio continuato degli abitanti di Tazarka al cantiere, nella seconda il quadro si fa più preoccupante e sarà quello veritiero. L’operazione, infatti, sarebbe gestita da una milizia e spuntano profili criminali e richieste di riscatto. A dirigere uomini e trattative sarebbe Ridha Ben Salha, figura nota alla autorità tunisine che per liberare gli ostaggi avrebbe presentato due richieste di risarcimento a Eni per danni ecologici: 2.000.000 di dinari tunisini da destinare alla municipalità di Tazarka e 4000 per ogni abitante.

Chiedete all’Eni. I numeri appuntati sul foglio che Ramzi aggiorna continuamente sono anche quelli che vanno a comporre i cellulari di alcuni dei sequestrati. Tra questi, c’è il «mobile phone» di Girolamo Croce. Provo a chiamarlo, la linea è libera. Il direttore, accento siciliano, voce pacata, risponde. Chiedo conferma dei fatti, ma dall’altra parte del telefono c’è la voglia o la necessità di chiudere in fretta. «Non posso rilasciare dichiarazioni, chiamate gli uffici dell’Eni». Insisto per avere conferma sull’attendibilità del sequestro, ma dall’altra parte la risposta è identica: «Dovete sentire Eni, non posso commentare».

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Farnesina ignora. L’Unità di Crisi della Farnesina sembra non essere al corrente dei fatti e non mi chiede nemmeno un recapito. Per Ramzi la situazione non e’ chiara e le telefonate appena effettuate aumentano i suoi dubbi. «E’ possibile che siano tutti informati ma stiano lavorando a riflettori spenti per non creare ulteriori tensioni nel paese, già in fermento per le elezioni, e problemi d’immagine a Eni». Del caso si interessa la Lega Tunisina per i Diritti dell’Uomo che apre un canale diretto con il Ministero della Difesa .La notizia compare sulla stampa tunisina solo a tarda serata e riporta i passaggi principali del comunicato del Ministero dell’Industria e della Tecnologia.

Finalmente la conferma. In serata risponde anche l’ufficio stampa di Eni, che «come d’abitudine» non commenta i fatti. Si limita a dire che la manifestazione si è svolta solo stamattina, che i lavoratori sono stati subito lasciati uscire e che ora stanno tutti bene. La vicenda viene chiarita a notte fonda, grazie alle informazioni che ci fornisce Said Dhifi, responsabile dei macchinari del cantiere. “Venerdì un gruppo di miliziani ha attaccato un reparto del cantiere Eni dove lavoravano 28 persone e per cinque giorni non ha permesso che nessuno uscisse e nessuno entrasse, né cibo, né medicinali. Durante la giornata di oggi, sono scoppiate le proteste della popolazione locale che si è ribellata all’operazione dei miliziani accusati di colpire i singoli lavoratori e le loro famiglie, prima ancora che l’Eni”.

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Era un sequestro. A quel punto ha proseguito – Said Dhifi – i miliziani per non creare ulteriori tensioni hanno acconsentito alla liberazione dei lavoratori, restando comunque barricati nel reparto del cantiere. Gli operai al momento proseguono a lavorare con gran senso di responsabilità: eventuali danneggiamenti ai macchinari potrebbero creare un disastro incalcolabile. Ramzi ricomincia a telefonare: al Jazeera, al Jazeera english, France 24…poi condivide un ragionamento a voce alta che come inizio giornata, gela la stanza. “Perché l’esercito non é ancora intervenuto?”. I suoi pensieri scorrono molto veloci.

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