Molti gioiscono e si lasciano andare a scene di giubilo. Molti altri gioscono di meno: sono i lealisti fatti prigionieri e, in molti casi, giustiziati senza processo. Sono i “negri” (una nuova ondata razzista è denunciata da tempo) perseguitati, arrestati, uccisi o costretti ad andarsene con l’accusa di essere mercenari o sostenitori di Gheddafi.
Gli aguzzini di ieri sono le vittime di oggi; e le vittime di ieri, in molti casi, sono gli aguzzini di oggi.
La rivoluzione libica ha vinto. La democrazia ancora no.
Un gruppo di insorti esulta alla notizia della morte di Gheddafi
Le prima vignette che raffigurano il Rais insanguinato e si fanno beffe della sua morte
Un combattente si mette in posa per i fotografi. La guerra di Libia è stata anche una guerra di propaganda e prima o poi bisognerà rileggere gli avvenimenti dei mesi passati
La pistola d’oro diventata simbolo dell’uccisione di Gheddafi. Nei momenti concitati subito dopo la sua morte si era detto che ne fosse in possesso il Rais e che uno degli insorti l’avesse usata per sparargli il colpo mortale. Ma cosa sia accaduto in quesi momenti non è ancora chiaro.
La guerra ha lasciato ovunque morte e distruzioni. C’è chi ha perso tutto. Chi ha guadagnato molto. E sicuramente chi farà affari d’oro gestendo la ricostruzione. E chissà se la corsa all’appalto non sia già cominciata.
Il capo della Cnt Mustafa Abdel Jalil. Uniti dalla lotta a Gheddafi, i ribelli sono divisi al loro interno. Fazioni contrapposte, kabile rivali, influenza sempre più forte della componente salafita, che sogna una Libia radicalmente islamica. Trovare un equilibrio politico e una nuova unità del paese non sarà facile. Il cammino per la democrazia sarà lungo e, si teme, nulla affatto indolore.