Khatib: senza lo stato palestinese l'Anp rischia la fine
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Khatib: senza lo stato palestinese l'Anp rischia la fine

Il mondo deve prendere sul serio la frustrazione in seno al popolo palestinese per il fallimento del negoziato, spiega il portavoce dell'Anp Ghassan Al-Khatib.

Khatib: senza lo stato palestinese l'Anp rischia la fine
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19 Settembre 2011 - 09.48


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di Giorgia Grifoni


Sull’iniziativa di settembre si è già discusso molto, ma sono state poche le spiegazioni provenienti da fonti ufficiali palestinesi. Cosa succederà nel palazzo di Vetro, quale potrebbe essere il futuro di uno stato palestinese indipendente, ma anche quali sono i rischi e le sfide a cui andrebbe incontro Abu Mazen: lo abbiamo chiesto a Ghassan Al-Khatib, portavoce dell’Autorità nazionale palestinese (Anp).

Un riconoscimento della Palestina come stato membro delle Nazioni Unite probabilmente non verrà accettato a causa del veto americano. Quali sono le prospettive di successo per l’Olp e per l’Autorità palestinese?

L’essenza dell’iniziativa non sta nella procedura adottata, o nei voti, ma nel principio di creare una discussione in seno alle Nazioni Unite sul conflitto dopo 20 anni di negoziati bilaterali che si sono rivelate fallimentari.

L’attenzione che la comunità internazionale sta dando alla questione è di per sé una buona cosa: indipendentemente dal risultato e dagli aspetti tecnici dell’iniziativa, essa è già un successo sotto molti punti di vista, perché sta cercando di responsabilizzare l’intera comunità internazionale per fermare l’occupazione e per permettere una soluzione del conflitto basata su due stati.
L’Olp andrà anche al Consiglio di Sicurezza o chiederà semplicemente lo statuto di non-membro?

Finora la leadership palestinese, e in modo particolare il presidente Abu Mazen afferma che chiederà lo stato di membro a pieno titolo. Ci sono alcune divergenze nella scena politica palestinese riguardo ai passi da compiere, ma in generale sono tutti a favore dell’iniziativa.

Tutti tranne Hamas, a cui non è stato chiesto nulla.
Hamas ha delle riserve perché non è stato consultato. Ma ha preso la posizione di non essere né a favore né contro. Le fazioni dell’Olp hanno invece supportato l’iniziativa, persino il Fplp ha rilasciato una dichiarazione un paio di giorni fa dicendosi a favore della richiesta palestinese.

L’Olp chiederà lo statuto di membro per uno stato basato sui confini del 1967, con Gerusalemme est come capitale e libero dall’occupazione. Cosa cambierà sul piano pratico se l’iniziativa palestinese otterrà un voto positivo?/p>

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Noi andremo alle nazioni unite con 3 obiettivi: chiedere alla comunità internazionale di riconoscere lo stato che è stato dichiarato nel 1988, aiutarlo a ristabilire un processo di pace significativo e spingere la comunità internazionale a guardare alle continue violazioni della legge internazionale perpetrate da Israele.

Quindi l’iniziativa è un mezzo per fare pressione sulle nazioni Unite e su Israele per tornare al più presto al tavolo dei negoziati.

Vorrei aggiungere un altro elemento. Settembre è la data di scadenza che ci siamo prefissi per il raggiungimento degli obiettivi perché le istituzioni siano pronte per l’indipendenza. Stiamo aspettando i rapporti dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e dall’ufficio Onu a Gerusalemme. Questi documenti dimostreranno che l’Autorità palestinese ha creato istituzioni governative funzionanti. Vogliamo dire alla comunità internazionale che siamo pronti, che anche grazie ai suoi finanziamenti e al suo aiuto abbiamo concretizzato gli obiettivi previsti dalla Road Map. Lo stesso presidente Bush ha in passato affermato: affinché i Palestinesi abbiamo l’appoggio della comunità internazionale, devono creare uno stato sicuro, prevenire qualunque tipo di attività violenta contro Israele, formare le istituzioni governative. Abbiamo conseguito questi obiettivi al 100%. Per questo motivo, in aggiunta al diritto alla libertà, meritiamo che la comunità internazionale si impegni di più per la nostra causa.

Se l’iniziativa palestinese venisse bocciata all’ONU, si aspetta una grande rivolta popolare sulla scia della primavera araba contro le colonie israeliane, ma soprattutto contro l’Autorità palestinese?

Penso che la situazione attuale non sia più sostenibile, e l’esistenza dell’ attuale leadership palestinese non dovrebbe essere data per scontata, perché non può più sostenere l’attuale status quo. Penso che la comunità internazionale debba prendere sul serio la frustrazione in seno al popolo palestinese per il mancato progresso del processo di pace, per le continue violazioni del diritto da parte di Israele e per l’aumento degli insediamenti illegali. Inoltre, si sono aggiunti nuovi problemi: la crisi finanziaria,con la conseguente impossibilità dell’Autorità palestinese di pagare regolarmente i salari, e l’incapacità di organizzare nuove elezioni. Ci sono delle cose che l’Autorità palestinese non è in grado di garantire. Ha tentato la fortuna con il processo di pace, ma è fallito. Ha tentato di nuovo con la riconciliazione, ma anche in questo ha fallito. E ora prova con le Nazioni Unite, ma non sappiamo cosa succederà. Crediamo che sul piano economico ci sia stata una ripresa, ma questa è fortemente minacciata dalla crisi finanziaria. Non c’è leadership che tenga in queste condizioni: siamo arrivati al momento della verità.

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L’atmosfera nella regione è tesa, ma in particolare dopo gli eventi dei giorni scorsi Israele ha denunciato il fatto che la Primavera araba stia diventando violenta soprattutto contro lo stato ebraico, e che non stia conducendo alla democrazia. I media israeliani accusano l’iniziativa palestinese di essere un ulteriore fattore di tensione nella regione, e che questa tensione verrà sfogata contro Tel Aviv. Quest’atmosfera può giocare in sfavore della richiesta palestinese all’ONU?

Al contrario, credo che questa tensione giochi a favore dei palestinesi, perché nella diplomazia mondiale – Israele compreso- la sensazione è che le politiche di Tel Aviv siano la causa del suo crescente isolamento. Sono responsabili della richiesta palestinese all’ONU, della rottura con la Turchia e dell’ostilità dell’Egitto. Il trattato di pace di Camp David non è mai stato popolare al Cairo, e se ci fossero state elezioni democratiche sono sicuro che l’Egitto non avrebbe mai ratificato il trattato. Israele è stato capace di arrangiare i propri interessi con un dittatore, ma ora che questi è caduto ha paura dell’opinione pubblica egiziana. Questa è democrazia. Inoltre, leggendo i rapporti delle sedi diplomatiche mondiali sulla primavera araba, la conclusione è che proprio date le rivolte arabe, Israele dovrebbe rilanciare il processo di pace. L’ha affermato anche Obama, specialmente negli ultimi due discorsi: un avvertimento che Israele non ha ancora preso seriamente. Quindi non credo che la comunità internazionale veda la questione dallo stesso punto di vista di Israele.

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E le intenzioni di Tel Aviv? Cosa potrebbe fare Israele sul piano pratico dopo la richiesta palestinese?

Non mi aspetto nulla, perché Tel Aviv ha già posto tutte le sanzioni che poteva porre alla nascita di uno Stato palestinese. Sta facendo il massimo per ingrandire gli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme est. L’associazione “Peace Now” ha addirittura dichiarato che nelle colonie ci sono più appartamenti vuoti di quelli che realmente servano. L’unica minaccia che prendo molto seriamente è la risposta dei coloni israeliani. Anche l’ORCHA ha riportato un incremento della violenza dei coloni negli ultimi tempi: se questa dovesse esplodere per via dell’iniziativa di settembre, mi preoccuperebbe soprattutto un’eventuale risposta da parte palestinese. Il pericolo è quello di ricadere nel circolo vizioso della violenza che potrebbe mandare all’aria tutti i nostri sforzi. Stiamo spiegando alla gente che questo gioverebbe solo a Israele: incoraggiamo il popolo a una reazione non-violenta e la comunità internazionale ad affrontare seriamente il problema dell’atteggiamento dei coloni. E’ Israele l’unico responsabile di questa situazione.

Gli Stati Uniti hanno minacciato di tagliare gli aiuti all’Autorità palestinese se chiederà il riconoscimento di uno stato alle Nazioni Unite. Cosa c’è di reale in questa minaccia?

So che la minaccia proviene dal Congresso e dal Senato, ma non dall’Amministrazione. Nutro dei dubbi sul fatto che l’amministrazione possa realmente seguire la linea del Congresso. Se gli Stati Uniti tagliassero gli aiuti ai palestinesi e Israele bloccasse i trasferimenti finanziari, questo porterebbe al collasso dell’ intera economia. L’Autorità non sarebbe più in grado di provvedere ai servizi, ai salari, alla sicurezza. Ma non sono sicuro che gli Stati Uniti siano arrivati al punto di voler affossare l’Autorità palestinese: è un’eventualità che avrebbe ripercussioni negative per tutti.

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