Cisgiordania: tra attesa e paura
Top

Cisgiordania: tra attesa e paura

Hebron, emblema dell’occupazione israeliana, si prepara alla dichiarazione del 20 settembre. Qui più che in ogni altro posto si teme la rabbia dei coloni.

Cisgiordania: tra attesa e paura
Preroll

redazione Modifica articolo

15 Settembre 2011 - 16.24


ATF

“Non sono affatto ottimista riguardo alla dichiarazione del 20 settembre. Tutti qui hanno paura. I coloni potrebbero diventare molto violenti, e i soldati anche”. La signora Zlikha, 50 anni, non nasconde la sua apprensione per quello che da molti viene considerato un momento storico per il popolo palestinese. Assieme a circa 150.000 palestinesi, teme per le manifestazioni che i coloni potrebbero organizzare dopo il voto nelle strade di Hebron, la loro città.

Il cuore del centro storico è l’emblema dell’occupazione israeliana della Cisgiordania. Una linea orizzontale spacca in due la città, dividendola in zona H1 e H2: la prima è abitata da palestinesi, la seconda è stata occupata gradualmente dai coloni israeliani a partire dal 1978, dieci anni dopo la fine della guerra dei sei giorni. La “via dei Martiri”, che attraversa la città vecchia da est a ovest, è diventata una strada fantasma: chiusa al transito per persone e veicoli palestinesi , è caratterizzata da tutta una serie di porticine da cui i palestinesi non possono uscire. Per raggiungere la moschea al-Ibrahimi, che si trova a due minuti di cammino, devono uscire dalla porta sul retro o dal tetto, prendere tortuose strade che aggirano il quartiere e dopo una ventina di minuti sono a destinazione. Una volta questa via ospitava una parte del suq, ma quando sono arrivati i coloni (per i quali Hebron è il secondo luogo sacro dopo Gerusalemme per via delle tombe dei Patriarchi)- per “riprendersi il quartiere che appartiene alla comunità ebraica da millenni”, le saracinesche dei commercianti palestinesi si sono lentamente chiuse una dopo l’altra. Spesso attaccati a sassate e calci dai coloni –ebrei ultraortodossi che mirano a riconquistare la totalità della Palestina storica o Eretz Yisrael, sotto gli occhi annoiati dei soldati israeliani che dovrebbero garantire anche la loro sicurezza, i palestinesi rimasti in via dei Martiri si sentono in gabbia e hanno paura.

Leggi anche:  2025: ecco come Netanyahu annetterà la Cisgiordania

“I coloni creano problemi quasi tutti i giorni qui –racconta Badia, 33 anni, dell’ associazione “Youth against the settlements”- e i soldati non li fermano mai. Proteggono i coloni, ma dovrebbero proteggere anche noi, secondo il protocollo di Hebron del 1997. I settlers sono considerati come civili dall’esercito, e quindi per loro viene applicato il codice civile: ma per noi, che viviamo magari nello stesso palazzo, viene applicata la legge militare”.

L’unita dell’esercito israeliano di stanza nella città di Hebron è la Brigata Kfir, la più giovane dell’Idf, ed è dispiegata un po’ in tutta la Cisgiordania. “È l’unità peggiore –sostiene Murad, 27 anni, anche lui dell’associazione “Youth against the settlements”- perché è quella che era di stanza anche a Gaza. Sono molto aggressivi. E le cose si complicano quando uno di questi soldati èoriginario di Hebron stessa”.

Badia racconta di alcuni episodi in cui i soldati non si sono dati pena di intervenire neanche per i turisti attaccati da coloni. “Una volta ho visto alcuni soldati mandare dei bambini a disturbare un gruppo di visitatori europei: per la legge israeliana, i soldati non possono toccare i bambini dei coloni, e ovviamente non si sono disturbati a fermarli neanche quando hanno bastonato un turista handicappato”.

Leggi anche:  Genocidio e pulizia etnica: le parole introvabili nel vocabolario politico israeliano

Il balcone della signora Zlikha, quello che da su via dei Martiri, è completamente circondato da una gabbia. Sopra di essa ci sono molti sassi. “Prima che mettessi questa gabbia – lamenta Zlikha- i coloni erano soliti arrampicarsi su per il muro ed entrare in casa mia. Una volta sono tornata da casa di mio fratello e ho trovato il mio soggiorno pieno di sassi e vetri. I soldati guardano, e non fanno nulla. Quando protestiamo, ci dicono di andare a casa. Una volta ho chiesto a uno di loro perche mai ci dicessero di andare a casa, o ci imponessero il coprifuoco: ha risposto che per loro è più facile controllare noi, perchè i coloni sono fuori controllo”.

Ma se sono davvero fuori controllo, e armati fino ai denti, perche l’Idf li sta preparando a suon di granate assordanti e lacrimogeni a fronteggiare un eventuale attacco palestinese dopo il voto? “Se nelle altre colonie della Palestina li stanno preparando con tecniche di autodifesa e armi- continua Zlikha- qui è anche peggio. Dieci giorni fa ho assistito a un’esercitazione di militari, qui nella strada. Una trentina di soldati da una parte interpretavano i Palestinesi: sventolavano bandiere, facevano rotolare i copertoni e tiravano sassi. Dall’altra parte c’erano almeno 50 soldati e una decina di veicoli militari che cercavano di attaccarli. Eco quello che ci aspetta, ecco cosa vuol dire essere “protetti” da loro”.

Leggi anche:  Israele intensifica gli attacchi in Libano, Gaza e Siria grazie alle generose forniture degli Usa

Che i palestinesi organizzino o meno delle manifestazioni all’indomani del voto, molti sostengono che saranno semplicemente delle marce pacifiche. Anche Abu Mazen ha invitato il popolo palestinese a non cedere alle provocazioni dei coloni. Zlikha è convinta che sia questa la strategia giusta da seguire per resistere all’occupazione, ed e quello che incoraggia nei bambini. “Più rispondiamo in modo non violento e più i soldati e i coloni diventano furiosi. Una volta, ad esempio, i soldati hanno fatto irruzione a casa di mio fratello e pretendevano che tenessimo chiusa una porta che ci permetteva di passare nell’appartamento accanto. Al nostro rifiuto, ci hanno portati tutti per strada e lasciati lì per più di quattro ore. Allora ho chiesto a mia cognata che era in casa di prepararci dei pop corn e della limonata: quando li abbiamo offerti ai soldati israeliani pensavo che sarebbero esplosi. Questo tipo di resistenza li fa impazzire di rabbia”.

“I coloni parlano di preparazione agli scontri – conclude Badiah- ma noi non permetteremo che questo accada. Non lasceremo che ci trascinino sul terreno della violenza, il loro terreno preferito. L’unica cosa che faremo sarà far valere i nostri diritti: perche questa è la nostra terra e noi abbiamo il diritto di avere uno Stato sulla nostra terra”.

Native

Articoli correlati