Nablus: la violenza si maschera da religione
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Nablus: la violenza si maschera da religione

Coloni e fedeli israeliani utilizzano la Tomba di Giuseppe, luogo sacro a ebrei, musulmani e cristiani, per perpetrare aggressioni e saccheggi contro i palestinesi.

Nablus: la violenza si maschera da religione
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8 Luglio 2011 - 14.42


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di Emma Mancini

Utilizzare la religione per coprire violenze e arraffare terre da annettere a colonie (illegali secondo il diritto internazionale) è la strategia a cui da troppo tempo gli israeliani ricorrono nel distretto di Nablus. L’ufficiale oggetto del contendere è la Tomba di Giuseppe, patriarca venerato da tutte e tre le religioni che hanno la propria culla in Palestina.

Per ebrei, musulmani e cristiani, il luogo della sepoltura di Giuseppe è sacro, tanto da essere stato oggetto di negoziato anche durante il processo di pace dei primi anni Novanta: con gli accordi di Oslo si è stabilito che i fedeli ebrei sarebbero stati autorizzati previo coordinamento tra esercito israeliano e Autorità Palestinese a visitare la Tomba di Giuseppe, che si trova in Area A (ovvero sotto l’esclusivo controllo civile e militare palestinese).

In realtà, negli ultimi anni, le visite dei pellegrini si sono spesso trasformate in saccheggi, aggressioni e minacce ai residenti palestinesi dei villaggi nei pressi del sito: coloni israeliani entrano illegalmente nell’area senza alcun permesso da parte delle forze di sicurezza palestinesi e, invece di dedicare il loro tempo alla preghiera, ne approfittano per attaccare le abitazioni circostanti.

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Ultimo tentativo in ordine di tempo quello di domenica scorsa, 3 luglio. L’esercito israeliano, in collaborazione con l’Autorità Palestinese, aveva permesso l’ingresso alla Tomba di Giuseppe a oltre mille ebrei arrivati a Nablus con una ventina di pullman. I soldati israeliani, pronti ad accogliere un migliaio di fedeli, hanno chiuso l’ingresso alla zona ad ulteriori visitatori. Provocando così la rabbia dei coloni, che pretendevano l’accesso ad altri 20 pullman carichi di israeliani.

Secondo fonti militari, l’esercito ha bloccato con la forza l’ingresso alla Tomba nel timore che i coloni volessero approfittarne solo per barricarsi all’interno del sito sacro e da lì far partire le aggressioni contro la popolazione palestinese residente. Venti israeliani sono stati arrestati per aver tentato di entrare senza permesso. Gli altri, delusi, hanno preso a calci i veicoli militari sul posto.

E se stavolta pure i militari israeliani hanno avuto paura della rabbia e la violenza dei coloni, nei mesi appena trascorsi l’esercito ha evitato di intervenire lasciando la popolazione palestinese preda delle aggressioni israeliane. Uno degli ultimi attacchi in grande stile risale alle fine di maggio quando oltre 1.500 coloni hanno fatto irruzione illegalmente nella Tomba di Giuseppe protetti da cinquanta jeep dell’esercito di Tel Aviv.

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Privi di alcun permesso da parte palestinese, sono entrati nel sito sacro di Nablus. E mentre una cinquantina di loro occupava il tetto e lanciava slogan razzisti e minacce poco velate “al nemico arabo”, altri 200 sono entrati in città e hanno attaccato alcune abitazioni palestinesi. L’esercito israeliano ha impedito ai residenti di lasciare le proprie case per mettersi in salvo: poche ore prima, infatti, le forze di sicurezza israeliane avevano chiuso tutti i checkpoint nel distretto di Nablus, bloccando così ogni possibile via di fuga.

Solo un esempio del genere di aggressioni a cui fa da sfondo la Tomba di Giuseppe, aggressioni sempre più frequenti. Uno degli obiettivi preferiti dai coloni è Ma’zoz Masri, la scuola secondaria per ragazze, che si trova a pochissima distanza dalla Tomba. La mattina vengono spesso trovati i risultati delle scorrerie notturne: alberi sradicati nel cortile, tubi dell’acqua distrutti, computer fuori uso.

Eppure ad avere il potere e l’arroganza di alzare la voce sono soltanto le autorità israeliane, scandalizzate dal blocco che l’esercito ha imposto domenica scorsa. Il presidente del Consiglio Regionale della Samaria, Gershon Mesika, e il capo rabbino della Samaria, Elyakim Levanon, hanno reagito subito a quella che ritengono un inaccettabile sbarramento: boicottaggio immediato della sessione di preghiera domenicale alla Tomba di Giuseppe. Definendo la riduzione del numero dei fedeli autorizzati all’ingresso “degradante e umiliante”, il politico e il religioso hanno sottolineato come a rimanere fuori sarebbero stati rabbini e membri anziani delle autorità politiche israeliane. “Sfortunatamente – hanno dichiarato i due – membri del sistema di sicurezza stanno agendo nel tentativo di escludere israeliani della Giudea e della Samaria e lo Stato di Israele dalla sovranità sulla Tomba di Giuseppe”. Aggiungendo che i militari sarebbero stati responsabili di tutto quello che fosse accaduto in assenza dei leader pubblici, rimasti fuori dalla porta.

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Ma stavolta l’esercito non ha sostenuto la causa di coloni e politici israeliani: ingresso al sito sacro solo per coloro che ne avevano fatto richiesta in precedenza, stop a tutti quelli che avrebbero tentato l’ingresso illegalmente.

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