Yarmouk: i palestinesi in Siria tra rivolta e diritto ritorno

Parla uno dei giovani che hanno lanciato la “Terza Intifada” su Facebook. Ribadisce la determinazione dei palestinesi che chiedono di tornare nella loro terra.

Franco Coppi
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17 Giugno 2011 - 12.29


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di Miriam Giannantina

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Abu Omar (nome fittizio per ragioni di sicurezza), 30 anni, è il leader del gruppo di giovani palestinesi del campo palestinese di Yarmouk che ha lanciato la “Terza intifada” su Facebook. Il campo di Yarmouk, alla periferia di Damasco, è il principale dei 12 campi che ospitano i 467mila (statistiche Unrwa) rifugiati palestinesi in Siria, profondamente diverso dai campi sovraffollati di Burji Baranji o Sabra e Chatila alla periferia di Beirut. Strade a doppia corsia, piene di negozi, palazzi alti, non lussuosi ma dignitosi, non si discosta da altre periferie popolari della città, se non i nomi delle strade, villaggi e città da cui i palestinesi sono stati cacciati nel ’48: Haifa, Jaffa, Deir Yassin, Lubna. In Siria la condizione dei profughi è migliore che Libano, non esistono limitazione per lavorare ed i palestinesi svolgono servizio militare di leva. Il governo siriano ha sempre sostenuto la resistenza palestinese, offrendo rifugio ai quartier generali di varie organizzazioni politiche, tra cui il movimento islamico Hamas.

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“Il governo siriano si è sempre fatto portavoce della causa palestinese – a volte anche al posto dei palestinesi stessi” continua Abu Omar “ma da quando sono iniziate le proteste in Siria le cose stanno cambiando, “usare” i palestinesi per le proprie questioni interne è un fatto grave.”

Nei campi ai palestinesi è stata lasciata una relativa libertà di autorganizzazione, ma sempre sotto la cappa di controllo dei servizi di sicurezza.

“Io sono stato interrogato dal mukhabarat 14 volte, in prigione ci sono rimasto per 6 mesi” racconta Abu Omar “per quello che facevo e dicevo su questioni che riguardavano i palestinesi e non i siriani.”

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Una tesi, gradita a Washington e Tel Aviv, vuole che il regime siriano abbia organizzato, attraverso fazioni politiche palestinesi pro-siriane come il Fplp-Gc di Ahmad Jibril, le marce per il ritorno ai piedi delle Alture del Golan (occupate da 44 anni da Israele) il 15 maggio anniversario della Nakba (la catastrofe palestinesi del ’48), ed il 5 giugno anniversario della Naksa (guerra del ’67), dove manifestanti palestinesi hanno tentato di attraversare il confine e sono stati colpiti dal fuoco dell’esercito israeliano, al fine di distogliere l’attenzione dai disordini interni. Il 15 maggio e il 5 giugno però manifestazioni per il ritorno si sono svolte anche in altri paesi arabi e nei Territori occupati, e non soltanto in Siria, sulla base di un appello internazionale diffuso con successo nella rete.

“ E’ facile fare presa sui giovani palestinesi il cui sogno è tornare in Palestina. Io sono disposto a morire per il diritto al ritorno nella terra dei miei avi, ma non per il regime siriano.”

“Il Fplp-Gc, la fazione di Jibril, ha ricevuto soldi dal governo siriano per organizzare la marcia della Naksa. Avevano detto che sarebbero stati organizzati pullman , ma la mattina non c’era niente ed alla fine qualche centinaio di persone è andato ai confini con mezzi propri.”.

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Abu Omar racconta che quando il 6 giugno, durante i funerali delle 9 vittime uccise ai confini del Golan, Jibril è andato a fare le condoglianze alle famiglie, queste l’hanno accusato di essere il responsabile di quelle morti e le guardie del corpo hanno sparato in aria. La folla, ancora più inferocita, ha marciato verso il quartier generale del PflpGc e l’ha assediato. I miliziani di Jibril hanno sparato sulla folla, che è entrata nell’edificio ed ha appiccato il fuoco. Gli scontri sono andati avanti per ore, l’esercito siriano ha circondato l’area ma non è intervenuto. Jibril è stato prelevato da un commando dell’esercito siriano e portato fuori dal campo. 20 le vittime e molti i feriti.

“L’attacco contro il contro gli uffici del Fplp-Cg, nel campo di Yarmouk è un chiaro messaggio dei palestinesi al regime siriano” conclude Abu Omar “siriani e palestinesi sono fratelli. Il regime non potrà utilizzare il sangue palestinese per distogliere l’attenzione dai propri problemi. Gran parte della popolazione del campo sembra simpatizzare per le proteste in Siria, mentre i dirigenza, vecchi e corrotti, sostengono il regime.

“Cercano di fomentare scontri con gli abitanti di Anjar al Swuad (pietra nera), un quartiere vicino dove si sono tenute grande proteste anti-regime, facendo circolare la voce che i cecchini che sparano sulla folla sono palestinesi. Lo stesso gioco che fanno tra sunniti ed alawuiti” racconta Mazen, insegnante del campo “i palestinesi sono sempre stati facilmente incolpati per ogni disordine.”

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A Latakia l’area di Raml al Filistin è stata teatro di proteste e repressione, carri armati la circondano, ma finora la situazione nei campi palestinesi in Siria è rimasta relativamente tranquilla, anche se tesa.

Hamas, stretto tra la richiesta di supporto da parte del regime e l’affiliazione alla fratellanza musulmana, ha dichiarato ufficialmente di essere neutrale rispetto agli eventi in Siria, ma circolano voci insistenti sulla possibilità che trasferisca il proprio quartier generale in Qatar o Egitto.

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