Dov'è Beirut per Damasco?
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Dov'è Beirut per Damasco?

Una riflessione amara dello scrittore israeliano Elias Khoury sulla capitale del Libano. "Questa Beirut - dice Khoury - non è la nostra Beirut".

Dov'è Beirut per Damasco?
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5 Giugno 2011 - 12.14


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Non ho mai visto Beirut triste come oggi, non l’ho mai vista così incapace di parlare e sprofondata nella vergogna. Anche quando era sotto i bombardamenti e la paura, Beirut non era spaventata come adesso.

No, questa non è Beirut.

Questa città non sembra Beirut, una città dove le parole vengono soffocate e la libertà non trova un angolo in cui rifugiarsi. Questa è una città scandalosa e collusa con l’assassino. Beirut sa che il silenzio è complice del crimine, ciononostante tace.

Questa non è Beirut.

Quanto ai politici… Si comportano come mafiosi. Borbottano con linguaggio ripugnante di una “non ingerenza negli affari interni della Siria”, mentre i loro agenti di sicurezza impediscono l’arrivo dei profughi siriani in fuga dal massacro, o minacciano i siriani che sono in Libano. E nel contare gli sfollati, si ostenta disprezzo verso un popolo che si è mostrato pronto a morire per non sottostare all’umiliazione. La feccia dei politici si è macchiata oggi dell’infamia del silenzio e della collusione. Non parlerò degli eroi della Resistenza, non chiederò loro come si chiudono gli occhi. Perché so che il settarismo non solo chiude gli occhi dei libanesi, ma li fa diventare razzisti. Ogni setta è razzista, tutte le strutture settarie rappresentano una forma di razzismo. Non chiederò ai leader delle fazioni del loro silenzio. Perché è meglio che stiano zitti, dopo che abbiamo sentito quello che dicevano dai documenti-scandalo di Wikileaks… Stanno reiterando il loro errore fondamentale.

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Gli alleati del regime a torto si entusiasmano per una dittatura che vacilla, lo fanno perché ne temono la caduta come preludio alla fine della loro “influenza” politica – altro nome per corruzione e latrocinio. Mentre i nemici del sistema siriano sbagliano nelle aspettative, perché attendono un segnale mai giunto dal loro capo saudita, temono una mancata risoluzione americana sul destino del regime – un regime che simpatizza con Israele, e il miliardario Rami Makhlouf ci ha spiegato la valenza di questo rapporto. Il popolo della Siria, con la sua rivolta nobile ed eroica, con la sua pazienza, la dedizione e il coraggio, rivela una doppia vergogna: quella del regime siriano per la brutale repressione e il sangue versato, e quella del regime libanese per la vigliaccheria e l’arroganza.

Possiamo analizzare le ragioni di questo sagace silenzio o i motivi dello stolto appoggio al governo siriano, possiamo pure comprendere come il Libano, i cui partiti sono riusciti ad ammazzarne l’Indipendenza, a ridimensionarne la Resistenza minimizzandola, sia diventato impotente, paralizzato e privo di volontà. Ma io non riesco a capire perché Beirut si suicidi col silenzio. La città che ha resistito all’invasione israeliana, che ha sopportato i bombardamenti, la fame e l’assedio, oggi sembra intimidita da un gruppo di mascalzoni e teppisti che ne reprimono la voce. La via Hamra, modello culturale di libertà, è preda di un manipolo di fascisti che terrorizza la gente con le armi pronte all’uso.

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Questa Beirut non è la nostra Beirut.

Quest’immagine di sottomissione alla cultura del silenzio non ci appartiene, questa meschina indifferenza non è nostra. Non so come nascondere l’imbarazzo che provo per me stesso e per voi. I siriani e le siriane affrontano la repressione con la morte mentre Beirut, che si è arresa riducendosi a vicoletti di bande e di fascisti, muore senza lottare, immolando la sua voce sull’altare della paura e del disonore. Non so neppure come terminare questo articolo, che ho iniziato a scrivere come una lettera di scuse da Beirut a Damasco, come la promessa di un incontro per la libertà, che dovrà unire due capitali che tanto hanno sofferto intimidazione e repressione.

Volevo rievocare la voce di Samir Kassir, il primo a coltivare il gelsomino della libertà in Siria, irrigando con il suo sangue la primavera araba ancor prima che iniziasse.

Ma non trovo le parole.

Provo vergogna e impotenza, sento la mia voce strozzata, e Beirut – la Beirut che io ho scritto, e che ha scritto di me – svanisce davanti ai miei occhi, la vedo annegare nella paura, divorata dall’indifferenza. Ma… nonostante il muro di terrore che cinge entrambe le città, nulla può cancellare la realtà che hanno in comune. La Promessa manterrà i suoi impegni, e il Sogno ci condurrà verso la Siria e la Palestina. E quando volteremo pagina, questa fase in cui domina la paura sarà solo un ricordo di cui non vogliamo il ritorno.

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