La sanità impossibile per i palestinesi
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La sanità impossibile per i palestinesi

Nuovi casi di palestinesi deceduti per i ritardi nel soccorso medico causati dal Muro e dalle rigide procedure di sicurezza decise da Israele per i residenti di Cisgiordania e Gaza

I palestinesi che devono entrare in Israele hanno bisogno di uno speciale permesso
I palestinesi che devono entrare in Israele hanno bisogno di uno speciale permesso
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11 Maggio 2011 - 11.53


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di Monica Mazzotti

Qualche settimana fa la madre settantenne di Fuad Ahmed Jabos é deceduta nella sua casa di Tantur, nei pressi di Beit Jala, a causa di un attacco cardiaco. Il villaggio si trova fra le città di Betlemme e Gerusalemme, la prima amministrata dall’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen e la seconda sotto il controllo di Israele, incluso il suo settore arabo (Est) occupato nel 1967. La famiglia aveva chiamato un’ambulanza palestinese ma il ritardo causato dal posto di blocco fra Tantur e Betlemme è stato fatale. Peraltro il servizio di emergenza israeliano, considerando che la casa si trova in una zona militarizzata, non è autorizzato ad intervenire. “Prima che il Muro (israeliano in Cisgiordania, ndr) fosse costruito, una ambulanza da Gerusalemme a qui impiegava due minuti e ne bastavano solo tre per raggiungere Betlemme. Ora come minimo il viaggio dura mezz’ora ”, ha raccontato Jabos a Irin, l’agenzia di stampa delle Nazione Unite. Una differenza che può risultare fatale durante un’emergenza, soecie se cardiaca.

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La famiglia Jabos fa parte di quelle decine di migliaia di palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza che dopo della costruzione del Muro di separazione e a causa delle rigide politiche dei permessi da parte di Israele, hanno visto ridursi drasticamente l’accesso ai servizi sanitari.

Il muro iniziato nel 2001 e terminato nel 2005 passa alle spalle della casa della famiglia Jabo’s che si è ritrovata completamente isolata dalla Cisgiordania. Essendo residenti nelle aree amministrate dall’Anp non possono accedere ai servizi sanitari israeliani e recarsi negli ospedali di Gerusalemme. In caso di bisogno, devono passare un posto di blocco militare israeliano per poter entrare in Cisgiordania ed essere assistiti dai servizi sanitari palestinesi.

L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) stima che i palestinesi che vivono in questa condizione di rischio sanitario, come la famiglia Jabos, in quel lembo di terra tra Betlemme e Gerusalemme, siano almeno 1.500. Da parte sua Stephan Miller, portavoce del sindaco di Gerusalemme ha replicato che il Muro «può aver causato» il peggioramento della qualità della vita di alcuni «residenti» (palestinesi) ma era necessario «per poter porre fine ai continui atti di violenza contro innocenti (israeliani)».

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I cittadini che vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza possono entrare a Gerusalemme solo se ottengono un permesso rilasciato dalle autorità militari israeliane. Teoricamente, in caso di emergenza, sarebbe possibile ottenere il permesso in giornata ma raramente accade perché ciò richiede l’applicazione di un protocollo di sicurezza complesso che prevede, fra le altre cose, il passaggio del paziente da un’ambulanza palestinese a una israeliana. Secondo la Mezza Luna Rossa Palestinese, due terzi delle 440 ambulanze arabe respinte o che hanno subito lunghi ritardi ai posti di blocco israeliani nel 2009, erano dirette a Gerusalemme.

La chiusura totale di Gaza, imposta da Israele nel 2007, quando Hamas ha preso il controllo di quel territorio, inoltre ha gravemente danneggiato il sistema locale di assistenza sanitaria. Il ministero della sanità palestinese riferisce che nel 2008 i cittadini di Gaza, per cui è stato richiesto l’accesso ai servizi sanitari di Gerusalemme, sono stati 3.118 mentre nel 2006 furono 382. Un dato che evidenzia il peggioramento della struttura sanitaria nella Striscia.

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Per quanto riguarda il 2010, OCHA ha stimato che degli 11.600 pazienti di Gaza per cui è stato chiesto il permesso di essere curati al di fuori della Striscia nel 78,1% dei casi è stato concesso il permesso, per il 16,3% è stato ritardato e al 5,6% negato. Tuttavia i palestinesi sottolineano che anche quando i permessi sono stati accordati, ciò è avvenuto nella maggior parte dei casi con sensibile ritardo, a grave danno della salute dei richiedenti.

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