di Antonio Salvati
La pena di morte, con o senza processo, sembra che esista dall’inizio dell’umanità, più o meno in tutte le società. Come la tortura e come la schiavitù. Queste ultime due, negli ultimi due secoli, sono diventate ufficialmente una vergogna dell’umanità. La pena di morte è ancora in mezzo al guado. Adesso – secondo l’ultimo Report di Amnesty International – sono 113 i paesi che l’hanno cancellata e 54 quelli che la mantengono. I paesi abolizionisti solo per reati ordinari sono 9.
Rispetto all’utilizzo globale della pena di morte nel 2024 Amnesty rileva dati contrastanti. Da una parte un forte aumento delle esecuzioni, dall’altra il numero di paesi che hanno eseguito condanne è rimasto al livello più basso mai raggiunto. Le esecuzioni aumentano del 32% rispetto al 2023, portando il totale del 2024 alla cifra annuale più alta dal 2015. L’impennata è stata principalmente determinata dagli aumenti in tre paesi: Iran, Iraq e Arabia Saudita. Il totale non considera migliaia di persone che si ritiene siano state condannate a morte in Cina, che è rimasta il principale paese esecutore al mondo, in Corea del Nord e in Vietnam, paesi dove si continua a eseguire numerose condanne a morte. Ma non si possiedono dati certi, essendo l’accesso alle informazioni limitato.
Le esecuzioni nel 2024 sono state 1.518, ossia 365 in più rispetto alle 1.153 esecuzioni del 2023. È la cifra più alta dopo le 1.634 del 2015. L’aumento significativo del totale globale è dovuto principalmente a un picco di esecuzioni in tre paesi del Medio Oriente: Iran, Iraq e Arabia Saudita. In Iran, le autorità hanno messo a morte almeno 972 persone, con un aumento del 14% rispetto alle 853 del 2023, la cifra più alta registrata dal 2015. Almeno il 52% (505) di tutte le esecuzioni in Iran nel 2024 ha riguardato persone condannate per reati legati alla droga, continuando una preoccupante tendenza all’aumento da quando, nel 2021, le autorità sono tornate a una politica fortemente punitiva in materia di droga, che ha intensificato l’uso illegale della pena di morte. In Iraq, il numero di esecuzioni (almeno 63) è quadruplicato rispetto al 2023 (almeno 16) ed è stato il più alto registrato dal 2019. Tutte le esecuzioni hanno riguardato persone condannate per reati legati al terrorismo. Le autorità dell’Arabia Saudita hanno raddoppiato il ricorso alle esecuzioni (almeno 345) rispetto all’anno precedente (172), segnando il numero più alto in un anno registrato da Amnesty International. Le esecuzioni in Iran, Iraq e Arabia Saudita costituiscono il 91% del totale a livello globale, con l’Iran che da solo ne rappresenta il 64%. Aumenti delle esecuzioni anche in Egitto, con un incremento di due terzi (da 8 nel 2023 a 13 nel 2024), a Singapore, dove le esecuzioni sono quasi raddoppiate (da 5 a 9) e nello Yemen, dove il totale annuale è più che raddoppiato rispetto al 2023 (da almeno 15 ad almeno 38). Il numero totale di esecuzioni negli Stati Uniti (25) ha rappresentato il secondo dato annuale più alto dal 2015 (28), eguagliando quello del 2018. Per la prima volta dal 2018, non ci sono state esecuzioni in Bangladesh. L’Oman ha eseguito le sue prime condanne a morte dal 2021. A causa del conflitto, non è disponibile il dato relativo alla Palestina (Stato di). Le esecuzioni sono invece leggermente diminuite in Somalia, passando da almeno 38 ad almeno 34.
Amnesty International ha registrato 2.087 nuove condanne a morte nel 2024, marcando una diminuzione del 14% rispetto alle 2.428 nel 2023. Il dato nel 2023 rappresentava il totale più alto registrato dal 2018, e la riduzione osservata nel 2024 ha riportato la cifra annuale più vicina a quella del 2022 (2.016). Camerun, Corea del Sud, Gambia, Guyana, Maldive, Qatar, Taiwan e Zimbabwe non hanno comminato condanne a morte nel 2024, a differenza del 2023. In Sudan, Sudan del Sud e Uganda, invece, sono state documentate nuove condanne a morte nel 2024 dopo un periodo di interruzione. Aumenti significativi nel numero di condanne a morte le abbiamo avute nei seguenti paesi: India (da 120 a 139), Iraq (da almeno 138 ad almeno 200), Mauritania (da almeno 5 ad almeno 23), Niger (da almeno 8 ad almeno 16), Repubblica Democratica del Congo (da almeno 33 nel 2023 ad almeno 125 nel 2024), Tunisia (da almeno 3 ad almeno 12) e Yemen (da almeno 81 ad almeno 152). Al contrario, diminuzioni significative nel numero di condanne a morte si sono avute nei seguenti paesi: Algeria (da almeno 38 nel 2023 a 8 nel 2024), Bangladesh (da almeno 248 ad almeno 165), Egitto (da 590 a 365), Indonesia (da almeno 114 ad almeno 85), Kenya (da 131 a 3), Libano (da almeno 11 ad almeno 2), Libia (da almeno 29 ad almeno 11), Malesia (da almeno 38 a 24), Myanmar (da almeno 19 ad almeno 7), Nigeria (da almeno 246 ad almeno 186), Somalia (da almeno 31 ad almeno 17) e Sri Lanka (da almeno 40 a 25).
A livello globale, almeno 28.085 persone si trovavano nel braccio della morte alla fine del 2024, di cui 11.667 (42%) solo nella regione Asia-Pacifico. Amnesty International ha riportato commutazioni o provvedimenti di grazia in 18 paesi: Bangladesh, Bielorussia, Corea del Sud, Etiopia, Giappone, India, Indonesia, Iraq (compresa la regione del Kurdistan), Kenya, Kuwait, Malesia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Stati Uniti d’America, Taiwan, Trinidad e Tobago e Vietnam. L’Organizzazione ha inoltre riscontrato 9 proscioglimenti di detenuti condannati a morte in 3 paesi: Giappone (1), Malesia (5) e Stati Uniti d’America (3).
Da evidenziare che il 31 dicembre scorso, il Presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa ha firmato una legge che aboliva la pena di morte per i crimini ordinari, anche grazie all’impegno della Comunità di Sant’Egidio. All’inizio di aprile, lo Zambia, che ha completamente abolito la pena di morte nel 2023, ha reso l’abolizione irrevocabile ratificando il Secondo Protocollo Opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici. Si tratta di progressi che attestano come l’Africa è rimasta il faro di speranza per l’abolizione, vista anche l’adozione, da parte della Commissione africana sui diritti umani e dei popoli, della sua quinta risoluzione che chiede una moratoria sulle esecuzioni. Tuttavia, lo scorso novembre, le autorità militari del Burkina Faso hanno annunciato che stavano valutando la reintroduzione della pena di morte, in violazione delle norme internazionali che impediscono agli Stati parti dell’ICCPR di reintrodurre la pena di morte una volta abolita. Il Burkina Faso ha abolito la pena di morte per i reati ordinari nel 2018, e l’ultima condanna a morte è stata eseguita nel 1988.
Cosa significa occuparsi della pena di morte in un tempo in cui non si ragiona più tanto? Siamo invasi da onde emozionali. Sembra che il nostro mondo non possa che essere dominato dalla violenza. La pace sembra quasi scomparsa dall’orizzonte del futuro, in Europa come in Medio Oriente. La guerra è divenuta una cultura e la pena di morte ne fa parte. Parlare oggi della pena di morte è difendere la cultura della vita, un valore che appartiene a tutte le civiltà, a tutte le religioni. La pena di morte è la sintesi della disumanizzazione. Nelle nostre società prevale la convinzione che il male va sradicato fisicamente, che gli oppositori sono chiamati e visti come nemici e che la guerra torna nell’immaginario collettivo come un normale mezzo per la risoluzione dei conflitti non ha futuro.
Ma c’è un’altra faccia della storia, amano ripetere a Sant’Egidio. Una storia bella. Erano solo 16 i paesi che avevano abolito la pena di morte nel 1976. Oggi ne contiamo 145 (abolizionisti de jure e de facto) che non la usano più, 54 che la mantengono negli statuti, 15 che l’hanno utilizzata davvero nell’ultimo anno. È una svolta della storia. Ma in un mondo polarizzato e sempre più diviso. Mentre si restringe nel mondo, e anche in paesi che usano la pena di morte, il consenso verso la pena capitale, l’anno che è passato mostra che si uccide di più ma in meno paesi del mondo. Le esecuzioni conosciute sono risalite, da 883 a 1153. Ma 9 esecuzioni conosciute su 10, nel mondo, avvengono in due paesi, l’Iran e l’Arabia Saudita.
Sempre a Sant’Egidio sono convinti che la vittoria verso l’abolizione definitiva della pena capitale ha bisogno del gradualismo attraverso l’umanizzazione della vita concreta in carcere, rompendo l’isolamento, riducendo i reati passibili di pena di morte. Inoltre, diminuendo l’esclusione dei vulnerabili dal numero di chi può essere giustiziato, a partire dalle donne con bambini, i disabili mentali, i bambini. Commutando sentenze capitali in pene certe ma senza morte, attuando una moratoria di fatto delle esecuzioni, iniziative legislative per moratorie per legge, incoraggiando il voto favorevole per una Moratoria Universale all’ONU, lavorando per la ratifica di Trattati internazionali come il Secondo Protocollo Opzionale sui diritti civili e politici, sostenendo l’abolizione della pena capitale dal codice penale, dal codice di guerra, il divieto di reintroduzione dopo la sua abolizione all’interno della Costituzione. Così si comincia ad assaggiare una vita senza pena di morte.