Il niqab a scuola nega i diritti delle donne: la tolleranza non può giustificare discriminazione e sottomissione
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Il niqab a scuola nega i diritti delle donne: la tolleranza non può giustificare discriminazione e sottomissione

È inaccettabile non perché è incompatibile con i nostri valori (quelli cristiani?) come sostiene Salvini ma perché è incompatibile con i diritti universali delle donne.

Il niqab a scuola nega i diritti delle donne: la tolleranza non può giustificare discriminazione e sottomissione
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Giuliana Sgrena Modifica articolo

6 Febbraio 2025 - 16.22


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Avallare l’uso del niqab (velo integrale) a scuola è inaccettabile, come inaccettabile è il comportamento della preside dell’istituto Pertini di Monfalcone. È inaccettabile non perché è incompatibile con i nostri valori (quelli cristiani?) come sostiene Salvini ma perché è incompatibile con i diritti universali delle donne.

Per cui le donne lottano non solo in occidente ma anche in Bangladesh, basti ricordare la famosa scrittrice Taslima Nasreen, costretta a lasciare il paese perché minacciata dagli integralisti. Ma anche Sufia Kamal, poetessa, protagonista dei movimenti di indipendenza e fondatrice del Gruppo di lotta delle donne e ancora prima, fin dai primi anni del Novecento di Begun Rokeya, scrittrice e avvocata per i diritti delle donne. Un paese che ha avuto prime ministre donne fin dagli anni Novanta e non portavano il ciador ma semplicemente un risvolto del sari in testa e comunque il velo portato in Bangladesh non ha mai coperto tutti i capelli, anzi. 

E invece in Italia, in una scuola, si vuole avallare l’immagine di ragazze sottomesse e annientate nel loro corpo da una visione feudale del patriarcato. Quel velo – e nemmeno l’hijab – non è imposto dal Corano, come sostiene anche Asfa Mahmoud, presidente della casa della cultura islamica di via Padova a Milano. Tanto meno dalla tradizione, si tratta di un velo ideologico, ma noi possiamo accettare un’ideologia che si basa su una interpretazione fondamentalista della religione islamica? Che si basa sull’annullamento del corpo delle donne, sull’invisibilità del genere femminile per affermare la propria identità? E lo si verifica non solo nell’imposizione del velo integrale ma anche nell’impossibilità per le ragazze di fare educazione fisica, altro diktat accettato dall’Istituto Pertini, mentre in Bangladesh ci sono persino squadre di calcio femminili!

Questi sono gli estremi cui può arrivare un relativismo culturale che accetta la discriminazione (apartheid) delle donne in nome della tolleranza, del quieto vivere, «perché altrimenti non verrebbero a scuola». Accettando anche di non far rispettare la legge italiana che impone la frequentazione, perché ai migranti non si possono imporre doveri se non si garantiscono diritti e se i padri di queste studentesse subiscono uno sfruttamento lavorando nei cantieri navali si può ben accettare che sfoghino la loro frustrazione sulle figlie, escludendole dalla società in cui vivono perché potrebbero essere contaminate dalla voglia di libertà.

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