All’attenzione dei parlamentari dell’opposizione: il governo vuole allargare gli spazi di manovra per gli esportatori di armi.
A dare l’allarme è Rete Italiana Pace Disarmo (Ripd).
Opposizione batti un colpo
Così Ripd in una nota: “Dopo quasi dieci mesi di stasi, riprenderà da domani giovedì 6 febbraio 2025 presso le Commissioni Riunite Esteri e Difesa della Camera l’iter del Disegno di Legge di modifica della Legge 185/90 sull’export di armi italiane. Una norma importante e storica (che sta per compiere 35 anni) che garantisce il controllo del Parlamento e dei cittadini su un comparto altamente critico e strategico, sia per gli impatti che le vendite di armi nei conflitti sia per i flussi finanziari privati che ne alimentano produzione ed export. Le norme e le procedure che lo hanno regolato negli ultimi decenni sono state dunque di grande importanza (e hanno ispirato anche le regolamentazioni internazionali) ma se le modifiche alla legge già approvate dal Senato verranno confermate dalla Camera si avrà come conseguenza uno svuotamento della norma e delle sue prerogative più preziose.
Sono questi i motivi per cui (fin dalla presentazione del disegno di legge da parte del Governo, che anche al Senato ha imposto la propria posizione impedendo emendamenti inizialmente presentati anche dalla maggioranza) un fronte molto ampio di organizzazioni della società civile si è mobilitato contro questa ipotesi. Attraverso una petizione pubblica, diverse analisi tecniche approfondite e proposte concrete messe all’attenzione del Parlamento durante alcune audizioni, la mobilitazione “Basta favori ai mercanti di armi” ha chiesto con forza di non peggiorare i meccanismi di autorizzazione e controllo sulle esportazioni di armi, mantenendo i presidi di trasparenza previsti della Legge 185/90.
Una posizione che viene ribadita alla vigilia del nuovo dibattito in Commissione, in vista del quale sottoponiamo ai Parlamentari coinvolti le nostre richieste, che si potrebbero realizzare concretamente approvando gli emendamenti al DDL già illustrati nei mesi scorsi:
- Fare in modo che la reintroduzione del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), utile luogo di presa di responsabilità da parte della politica sulle questioni riguardanti l’export di armi, non si trasformi in un “via libera” preventivo a qualsiasi vendita di armi ma sia sempre bilanciato dall’analisi tecnica e informata degli uffici preposti presso la Presidenza del Consiglio, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Ministero della Difesa
- Inserire nella norma nazionale un richiamo esplicito al Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty) – che non era presente nel testo originario della Legge 185/90 in quanto entrato in vigore solo nel 2014 – e ai suoi principi e criteri decisionali che hanno precedenza sulle leggi nazionali, con forza normativa maggiore di natura internazionale
- Migliorare la trasparenza complessiva sull’export di armi rendendo più completi e leggibili i dati della Relazione al Parlamento, in particolare contenendo indicazioni analitiche per tipi, quantità, valori monetari e Paesi destinatari delle armi autorizzate con esplicitazione del numero della Autorizzazione MAE (Maeci), gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e sulle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla legge
- Impedire la cancellazione integrale della parte della Relazione annuale al Parlamento che riporta i dettagli dell’interazione tra banche e aziende militari
- Impedire l’eliminazione dell’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento presso la Presidenza del Consiglio, unico che potrebbe avanzare pareri, informazioni e proposte per la riconversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa
- Reintrodurre la possibilità per il Cisd di ricevere informazioni sul rispetto dei diritti umani anche da parte delle organizzazioni riconosciute dall’Onu e dall’Unione Europea e da parte delle organizzazioni non governative riconosciute”
La società civile che non vuole rassegnarsi al fatto che sia solo il profitto di pochi a dover guidare le scelte sull’export di armi, che ha invece importanti ripercussioni sulla politica estera e sui diritti umani. E continuerà a mobilitarsi (anche con azioni ed eventi nei prossimi giorni) per fermare lo svuotamento della Legge 185/90 e, al contrario, chiedere un maggiore controllo sull’export di armi: “Fermiamo insieme gli affari armati irresponsabili che alimentano guerra e insicurezza”.
La legge da difendere
“Si tratta – spiega Ripd – di una norma innovativa che il Parlamento ha approvato nel 1990 dopo una grande campagna di mobilitazione della società civile, inserendo per la prima volta dei criteri non economici nella valutazione di autorizzazione delle vendite estere di armi italiane. Un approccio che è stato poi ripreso sia dalla Posizione Comune UE sull’export di armi sia dal Trattato ATT (Arms Trade Treaty). Sebbene nel corso degli anni anche una Legge che prevede il divieto di invio di armi verso Paesi in conflitto, che spendono troppo per gli eserciti, in cui ci siano gravi violazioni dei diritti umani non sia stata in grado di fermare esportazioni di sistemi militari con impatti negativi, è indubbio il grande ruolo di trasparenza che essa ha avuto. Permettendo a Parlamento e società civile di conoscere i dettagli di un mercato spesso altamente opaco.
Ora questa possibilità di trasparenza è messa in pericolo a causa di decisioni che vogliono rendere sempre più liberalizzata la vendita di armi, con l’utilizzo di false retoriche: non è vero che c’è un problema di eccessivi controlli sull’esportazione di armi italiane e non è vero che questa modifica della Legge185/90 favorirà una maggiore sicurezza per l’Italia in un momento di crisi internazionale. Al contrario facilitare la vendita all’estero di armi che sicuramente finiranno nelle zone più conflittuali del mondo aumenterà l’insicurezza globale, e quindi anche quella di tutti noi, solo per garantire un facile profitto di pochi. Sappiamo bene che questa modifica della Legge 185/90 parte da lontano perché da anni la lobby dell’industria militare i centri di ricerca e di pressione ad essa collegati chiedono a gran voce di poter praticamente liberalizzare l’export di armi. A chi fa affari vendendo nel mondo armi e sistemi militari non fa piacere che ci sia trasparenza e controllo anche da parte della società civile, oltre che allineamento con principi che non prendono in considerazione solo i fatturati. Già nella situazione attuale sappiamo bene che non sempre le autorizzazioni rilasciate sono state in linea con i criteri della Legge 185/90 e dei trattati internazionali, se il Disegno di Legge di iniziativa governativa dovesse essere approvato definitivamente la situazione peggiorerebbe, in particolare sulla questione degli intrecci tra finanza e produzione di armamenti”.
Una campagna che viene da lontano
17 aprile 2024. Gli esponenti di oltre 80 organizzazioni della società civile italiana si sono ritrovati oggi presso la sede di Libera a Roma per rilanciare la mobilitazione in difesa della legge 185 del 1990 che disciplina il commercio e l’export di armi italiane.
Questa legge – che aveva posto l’Italia all’avanguardia nel panorama europeo – è oggi oggetto di una radicale proposta di revisione avanzata dal Governo che mira a eliminare i principali presidi di trasparenza e di controllo parlamentare sulla produzione e sull’export di armi italiane verso il resto del mondo. Le modifiche sono già state approvate dal Senato e sono ora all’esame della Camera.
“Non esiste pace senza disarmo. Alla cattiva politica, quella che vuole togliere una serie di pilastri fondamentali di trasparenza, si può rispondere assumendoci più responsabilità – ha detto Don Luigi Ciotti – Nel mondo oggi ci sono 59 guerre; c’è una follia distruttiva. Bisogna ribadire con forza che il diritto alla sicurezza che tutti reclamano deve essere soprattutto sicurezza dei diritti, intesa come libertà, dignità e la vita delle persone. Non dimentichiamo che il mercato delle armi è il più soggetto a fenomeni di corruzione e che dove ci sono le guerre, le mafie fanno affari mentre il traffico delle droghe e delle armi vanno sempre a braccetto”. Don Ciotti ha concluso citando Papa Francesco: “Tutti i conflitti nuovi pongono in rilievo le conseguenze letali di una continua rincorsa alla produzione di sempre più sofisticati armamenti, talvolta giustificate adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Occorre scardinare tale logica e proseguire sulla strada del disarmo integrale”.
Padre Alex Zanotelliha ribadito che: “Siamo prigionieri del complesso industriale militare” citando i dati relativi alle spese militari in continua crescita rispetto negli ultimi anni e che, di conseguenza, hanno fatto notevolmente aumentare anche il commercio internazionale di armi (+86% per l’Italia negli ultimi cinque anni).
Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica, a nome del Gruppo Banca Etica ha ricordato come le modifiche alla legge 185 mirino anche a cancellare la possibilità di sapere quali banche finanziano la produzione e l’export di armi, mentre Francesco Vignarcadi Rete Italiana Pace e Disarmo ha ricordato che la legge 185 sia nata 34 anni fa da una forte mobilitazione delle reti della società civile che oggi si stanno riattivando per difenderla e come le modifiche proposte alla legge non porteranno maggiore sicurezza.
Francesca Rispoli di Libera ha infine ricordato che un primo passo per difendere la legge è firmare la petizione promossa dalla Campagna.
A sostegno della mobilitazione “Basta favori ai mercanti di armi!” sono intervenuti all’evento del 17 aprile 2024 a Roma anche Raul Caruso, professore di Economia Internazionale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia; Alfio Nicotra, co-presidente Un ponte per e Consiglio nazionale AOI; Greta Barbolini, presidenza nazionale ARCI; Vincenzo Larosa, delegato dalla presidenza Azione Cattolica; Stefano Regio, presidente Federazione Lazio CNCA; Laura Milani, presidente CNESC e Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII; Gabriele Verginelli, per Legacoop; Emilia Romano, presidente Oxfam Italia, don Tonio dell’Olio, presidente Pro Civitate Christiana; Pierangelo Milesi, delegato Pace della Presidenza ACLI; Giuseppe Daconto, Centro Studi di Confcooperative; Maximilian Ciantelli, presidente Mani Tese Firenze; Alfredo Scognamiglio, del Movimento dei Focolari Italia; Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo.
Dieci mesi dopo, di nuovo, sinistra se ci sei è ora di battere un colpo. In Parlamento. Perché nelle piazze c’è già chi ci ha pensato, e non da oggi.