di Antonio Salvati
Una nota poesia di Paul Éluard recita: «Non c’è salvezza sulla terra, tanto che si possono perdonare i carnefici». Commentando questi versi il grande filosofo Jacques Derrida rompe con il senso comune che non sottrae mai il perdono all’orizzonte della riconciliazione, alla speranza della salvezza attraverso il pentimento e l’espiazione. Viviamo in un tempo in cui non si ragiona più tanto. Siamo invasi da onde emozionali. Sembra che il nostro mondo non possa che essere dominato dalla violenza. La pace sembra quasi scomparsa dall’orizzonte del futuro, in Europa come in Medio Oriente. La guerra è divenuta una cultura e la pena di morte ne fa parte. Parlare oggi della pena di morte è difendere la cultura della vita, un valore che appartiene a tutte le civiltà, a tutte le religioni. La pena di morte è la sintesi della disumanizzazione.
Per questo è necessario creare un presidio di umanizzazione. Con questo spirito la Comunità di Sant’Egidio ha nuovamente convocato Ministri della Giustizia da più di trenta paesi per rafforzare una cultura della vita contro la pena di morte. Il XIVmo Congresso Internazionale dei Ministri della Giustizia “No justice without life” si è svolto a Roma il 28 novembre 2024, pochi giorni dopo che la Terza Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione sulla moratoria contro la pena di morte con 131 voti a favore. Con sincero orgoglio il Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani – che ha partecipato al Convegno – ha ribadito l’importanza di sostenere l’allargamento del fronte dei paesi che sostengono la Moratoria Universale delle Esecuzioni, ribadendo l’impegno dell’Italia per aprire un dialogo e “convincere” i paesi retenzionisti ad una apertura in questo senso.
Questo Congresso si colloca in una società sempre più frammentata, fatta di individui soli, rassegnati, spaventati del futuro. Si diffonde la paura dell’altro e c’è chi ne trae vantaggio, creando capri espiatori. Una conferenza internazionale per sviluppare una narrazione diversa, per resistere insieme. Siamo inondati da una narrazione che presenta la diversità non come una ricchezza ma come un motivo in più di paura: tutto il male di là, tutto il bene di qua. Una società – ha sostenuto Mario Marazziti – «dove il male va sradicato fisicamente, dove gli oppositori sono chiamati e visti come nemici, dove la guerra torna nell’immaginario collettivo come un normale mezzo per la risoluzione dei conflitti non ha futuro». Anche le guerre tra fratelli, la violenza diffusa, vivono della cultura del nemico, creano nemici e invece sono solo persone come noi. Serve disarmare il mondo e le coscienze, noi stessi. Siamo da anni – ripete Papa Francesco – in mezzo a una “guerra mondiale a pezzi”, che rischia di diventare guerra nucleare, ma dobbiamo lottare e lavorare anche contro “la pena di morte a pezzi”. È importante che il mondo faccia a meno della pena capitale, e che lo faccia presto: come è accaduto già nella storia, almeno nelle leggi e nella coscienza morale dell’umanità, per la schiavitù e la tortura.
Ma c’è un’altra faccia della storia, ripetono a Sant’Egidio. Bella. Erano solo 16 i paesi che avevano abolito la pena di morte nel 1976. Oggi ne contiamo 144 che non la usano più, 55 che la mantengono negli statuti, 16 che l’hanno utilizzata davvero nell’ultimo anno. È una svolta della storia. Ma in un mondo polarizzato e sempre più diviso. Mentre si restringe nel mondo, e anche in paesi che usano la pena di morte, il consenso verso la pena capitale, l’anno che è passato mostra che si uccide di più ma in meno paesi del mondo. Le esecuzioni conosciute sono risalite, da 883 a 1153. Ma 9 esecuzioni conosciute su 10, nel mondo, avvengono in due paesi, l’Iran e l’Arabia Saudita. Il resto avviene in altri 14 paesi. Non è – osserva Marazziti – un percorso lineare, è contraddittorio: «tornano a crescere le esecuzioni in Bielorussia e Somalia, e tornano in Sud Sudan, dove più di 100 condanne a morte erano appena state commutate per la visita di Papa Francesco, per il desiderio di pace del popolo sud-sudanese, in sintonia con il processo di pace e riconciliazione nazionale a Roma prima e oggi a Nairobi della Comunità di Sant’Egidio, assieme al Kenya». Continuano a non realizzare esecuzioni Myanmar e Giappone. In Pakistan la pena capitale non è più prevista per i reati legati al traffico di droga. È una strada che altri possono intraprendere, anche perché – spiega Marazziti – traffico di droga e terrorismo sono la grande motivazione per quasi tutte le esecuzioni comminate nel mondo.
I ministri di Kenya e Zimbabwe presenti al Congresso hanno informato che sono deposte in Parlamento proposte per l’abolizione definitiva della pena capitale. Il ministro del Gambia ha sostenuto che si avvicina il divieto costituzionale della pena di morte. Quello dello Zambia ha informato che è vicina la firma del Secondo Protocollo opzionale sui Diritti civili e Politici, l’unico documento internazionale che vincola al ripudio della pena di morte.
A Sant’Egidio sono convinti che la vittoria verso l’abolizione definitiva della pena capitale non ha paura del gradualismo attraverso l’umanizzazione della vita concreta in carcere, rompendo l’isolamento, riducendo i reati passibili di pena di morte. Inoltre, diminuendo l’esclusione dei vulnerabili dal numero di chi può essere giustiziato, a partire dalle donne con bambini, i disabili mentali, i bambini. Commutando sentenze capitali in pene certe ma senza morte, attuando una moratoria di fatto delle esecuzioni, iniziative legislative per moratorie per legge, incoraggiando il voto favorevole per una Moratoria Universale all’ONU, lavorando per la ratifica di Trattati internazionali come il Secondo Protocollo Opzionale sui diritti civili e politici, sostenendo l’abolizione della pena capitale dal codice penale, dal codice di guerra, il divieto di reintroduzione dopo la sua abolizione all’interno della Costituzione. Così si comincia ad assaggiare una vita senza pena di morte.
In questo senso anche umanizzare la vita nelle carceri e nei bracci della morte è una tappa importante, un inizio. Per non infliggere e aggiungere una pena aggiuntiva, non scritta a quella già comminata. E per non umiliare i nostri sistemi giudiziari producendo altra rabbia e violenza.
Dall’Africa arrivano le notizie più rilevanti. In pochi anni da 4 sono diventati 24 i paesi africani che hanno abolito la pena di capitale in tutti i casi e due per i reati comuni. Lo scorso anno, su 55 paesi dell’Unione Africana solo Somalia ed Egitto hanno compiuto esecuzioni capitali. Tuttavia, ci sono anche spinte al contrario. In Burundi e Burkina Faso alcuni vorrebbero reintrodurla e molti sono i luoghi senza pace, in Africa. Ma con il rifiuto della pena capitale il continente africano sarà protagonista della speranza del mondo. A Sant’Egidio ne sono certi: dall’Africa può venire un nuovo protagonismo che fa la storia. Un paese alla volta. Ogni paese che abolisce la pena capitale in Africa, ma anche in Asia, diventa decisivo e assume un pezzo della leadership morale del mondo. In un mondo polarizzato – afferma Marazziti – «ogni paese che riafferma la cultura della vita aiuterà il mondo a uscire da questa “normalità malata”. Il multipolarismo della dignità della vita può aiutare il mondo a uscire dalla smania di guerra. Come quando Cambogia, Ruanda, Burundi sono usciti dalla desolazione e dall’odio dei genocidi senza più pena di morte, rompendo quella catena di morte e di vendette. Come quando il Sudafrica è uscito dal regime disumano dell’apartheid senza pena di morte, attraverso la riconciliazione e il perdono».
La giustizia giusta è una ricerca comune, con gradualità. Non esiste il sistema giudiziario perfetto. Anche per questo non può essere mai tolto quello che non si può restituire, la vita. L’abolizione della pena di morte rende più credibili, i sistemi giudiziari, li difende da sé stessi. Lo sappiamo: la pena di morte è una scorciatoia militare – e politica, per offrire all’opinione pubblica una sicurezza che non c’è – tutte le volte che non si sanno risolvere problemi sociali. È l’illusione di tagliare l’arto malato per fare vivere il corpo sano, che invece sano non è, e andrebbe curato. La pena di morte è l’uso terribile della violenza al massimo livello, quella di un intero stato a nome di un’intera società contro un individuo. Non rappresenta la forza di uno stato, ma la sua impotenza, la sua debolezza pronta a collassare di fronte allo scorrere della vita.
Ne è convinto fortemente Papa Francesco che ha messo a disposizione del mondo una pietra angolare, una consapevolezza definitiva, con parole inequivoche: «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona umana». Sempre.