Il caso-Rupnik, il famosissimo pittore e mosaicista gesuita dimesso dal suo ordine religioso dopo le gravissime accuse relative ad abusi sessuali ai danni di numerose donne, continua a tenere banco nel mondo cattolico per le ombre che ha sollevato. Ma a me sembra che la priorità oggi sia quella di recuperare trasparenza.
La fama di padre Marko Rupnik è stata mondiale, tanto che 2021 gli erano stati affidati i lavori di restauro e di rinnovamento della cappella del Seminario Romano Maggiore di San Giovanni in Laterano, a Roma. Le prime denunce nei suoi confronti, da parte di nove suore, sono ufficialmente emerse alla fine del 2022 e riguardavano episodi che sarebbero avvenuti fino al 2015: Rupnik era stato sottoposto a restrizioni come il divieto di confessare e di accompagnare esercizi spirituali. Pochi mesi fa, prima che venisse estromesso dall’ordine dei gesuiti, il quotidiano dei vescovi, Avvenire, il 22 febbraio scorso, ha scritto «che diverse tessere si vanno ad aggiungere al mosaico della vita nascosta di padre Marko Ivan Rupnik, il 68enne gesuita sloveno, teologo, direttore spirituale e mosaicista di fama, di cui l’opinione pubblica ha cominciato a essere informata solo agli inizi dello scorso dicembre. Ieri di prima mattina la Compagnia di Gesù ha dato conto con un comunicato di nuove denunce arrivate nei confronti di Rupnik negli ultimi due mesi, grosso modo – da quando cioè è stato costituito un “team referente” apposito per raccogliere queste testimonianze – da parte di “persone singole che si dichiarano abusate in coscienza, spiritualmente, psicologicamente o molestate sessualmente durante personali esperienze di relazione con padre Rupnik”, religiose della Comunità di Loyola e persone che hanno fatto parte del Centro Aletti, realtà queste ultime di cui Rupnik è stato fondatore a Lubiana e Roma. Il numero delle denuncianti è stato poi specificato in 15, che si va ad aggiungere a un numero indefinito di altre donne che negli anni si sono rivolte a varie autorità ecclesiatiche. “Molte di queste persone non hanno conoscenza le une delle altre” specifica il comunicato, “perciò il grado di credibilità di quanto denunciato o testimoniato sembra essere molto alto”. I comportamenti di Rupnik denunciati “hanno avuto luogo in diversi periodi tra la metà degli anni ’80 e il 2018», coprono quindi «un arco temporale di più di trent’anni”.
Questi sono gli elementi indispensabili per farsi un’idea del caso. E per lui si è parlato, e si parla di scomunica. Proprio su questo il 18 settembre scorso, è intervenuto il vicariato di Roma che ha sorpreso molti perché ne prende in larga parte le difese. Il comunicato comincia così: “ In seguito alle notizie diffuse da agenzie di stampa e dai comunicati a firma di p. Johan Verschueren, Delegato del p. Generale per le Case Interprovinciali di Roma, in merito ad alcune vicende riguardanti p. Marko Rupnik e collegate anche al Centro Aletti, il 16 gennaio 2023 il Cardinale Vicario ha disposto l’avvio di una Visita Canonica presso l’Associazione Pubblica di Fedeli della Diocesi di Roma Centro Aletti, eretta in data 5 giugno 2019, al fine di indagare “sulle dinamiche associative e sulla reale consistenza degli interrogativi sollevati da alcune istanze”. Dell’indagine è stato incaricato il Rev.mo Sac. Giacomo Incitti, Professore Ordinario di Diritto Canonico presso la Pontificia Università Urbaniana”.
Già qui è lecito porre due domande: la riforma del Vicariato varata da Francesco e operativa dall’inizio dell’anno dal nome “In Ecclesiarium Communione”, articolo 11, dispone che il Vicario “in particolare, non intraprenderà iniziative importanti o eccedenti l’ordinaria amministrazione senza aver prima a me riferito”. Essendo il papa vescovo di Roma e il Vicario, appunto, un vicario, la cosa sembra normale. Ma nel comunicato del Vicariato non si ha conferma, né smentita ovviamente, che le cose siano effettivamente andate così. Cioè: il papa sapeva, era stato formalmente e ufficialmente informato?
Sempre la riforma decisa dal papa induce a porsi la seconda domanda: il testo di “In Ecclesiarium Comunione” infatti chiarisce , all’articolo 21, che “il cardinale vicario nella sua funzione di coordinamento della pastorale diocesana agisce sempre in comunione con il Consiglio Episcopale, per cui si discosti dal suo parere concorde solo dopo aver valutato la questione con me.” Dunque a me sembra che andasse o andrebbe chiarito se la decisione di affidare l’incarico al professor Incitti fosse stata convenuta con i vescovi ausiliari, che insieme al cardinale costituiscono il Consiglio Episcopale.
Torniamo al comunicato. Verso la sua conclusione si legge nel testo: “ Sulla base della relazione finale, il Cardinale Vicario, verificata la non sussistenza di alcun presupposto per ulteriori provvedimenti di propria competenza, ha decretato la chiusura della Visita Canonica. Come da esplicita richiesta formulata nel decreto di nomina, tenuto conto delle ricadute sulla vita dell’Associazione, il Visitatore ha doverosamente esaminato anche le principali accuse che sono state mosse al p. Rupnik, soprattutto quella che ha portato alla richiesta di scomunica. In base al copioso materiale documentario studiato, il Visitatore ha potuto riscontrare e ha quindi segnalato procedure gravemente anomale il cui esame ha generato fondati dubbi anche sulla stessa richiesta di scomunica. In considerazione della gravità di tali riscontri, il Cardinale Vicario ha rimesso la relazione alle Autorità competenti”.
Anche qui, stante la rilevanza del caso e l’interesse dei fedeli, andrebbe probabilmente chiarito se il Consiglio Episcopale fosse unanimemente concorde con la comunicazione data, in base alle risultanze del lavoro del professor Incitti.
Questi chiarimenti potrebbero ovviamente far emergere che tutto ha seguito le norme vigenti, ma a me sembra sarebbe comunque importante perché oltre che alla collegialità la riforma mira chiaramente alla trasparenza, e questa a me sembra la priorità.