Le stragi di migranti e la vergogna di quei "memorandum fotocopia"

Globalist non si stancherà mai, mai, di denunciarlo, supportati da quanti – Ong, associazioni umanitarie, giornalisti dalla schiena dritta – non si accodano al coro della informazione (sic) di regime.

Le stragi di migranti e la vergogna di quei "memorandum fotocopia"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Agosto 2023 - 14.45


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Le stragi “fotocopia” accompagnate e alimentate dai “memorandum fotocopia”.

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Globalist non si stancherà mai, mai, di denunciarlo, supportati da quanti – Ong, associazioni umanitarie, giornalisti dalla schiena dritta – non si accodano al coro della informazione (sic) di regime.

La denuncia di Save The Children dopo la strage a largo di Lampedusa

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“A pochi giorni dall’ultimo naufragio si registra un’altra terribile tragedia in mare. Secondo le testimonianze che si stanno raccogliendo a Lampedusa dai 4 sopravvissuti, decine di persone avrebbero perso la vita la scorsa settimana, tra cui alcuni minori, lungo la rotta del Mediterraneo centrale”. Lo afferma Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro.

“Si teme – dice Save the Children – che oltre 2.000 persone siano morte o disperse nel tentativo di attraversare il Mediterraneo dall’inizio del 2023. Questi numeri rischiano di far diventare quest’anno il peggiore in termini di vittime dal 2016“. Dal naufragio di Cutro a quello al largo delle coste della Grecia, alle ripetute tragedie verificatesi nelle ultime settimane al largo di Lampedusa, troppe persone in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e povertà estrema stanno pagando con la vita il sogno di un futuro possibile per sé e per i propri figli, in assenza di canali sicuri e legali di accesso in Europa. “Tutto ciò è inaccettabile e, in gran parte, evitabile: l’Italia e l’Europa si assumano la responsabilità di creare un sistema coordinato e strutturato di ricerca e soccorso in mare per salvare la vita delle persone e aprano canali sicuri e legali di ingresso”, chiede l’organizzazione.

Il team di Save the Children è attivo sull’isola, in partnership con Unicef, fin dal primo momento dello sbarco, per fornire supporto psicosociale, ascolto e risposta ai bisogni primari ai minori soli, ai nuclei familiari e alle donne con bambini che approdano dopo la traversata del Mediterraneo”.

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Quei nefasti “memorandum fotocopia”

Ne scrive così Riccardo Noury, storico portavoce di Amnesty International Italia: “L’ennesimo naufragio nelle acque mediterranee (41 morti, secondo i quattro sopravvissuti) chiama direttamente in causa l’accordo di metà luglio col presidente tunisino Kais Saied, frutto di quell’autentica ossessione della politica europea costituita dalla necessità di fermare le partenze di migranti e richiedenti asilo verso la sponda nord del Mediterraneo.

Il memorandum d’intesa tra Unione europea e Tunisia, che ha visto l’Italia interessata promotrice, è una fotocopia di quello tra Italia e Libia promosso nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti: soldi in cambio della promessa di non far salpare, trattenere, riacciuffare, rimandare indietro.

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Nessuno, in questi mesi, né tantomeno ora ha fatto presente al presidente Saied che quella situazione che egli viene pagato per gestire l’ha creata lui, col ricorso al discorso d’odio dei primi mesi dell’anno che ha generato un’ondata di violenza contro i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati dell’Africa subsahariana.

Ricordiamo le parole pronunciate da Saied il 21 febbraio, durante una riunione del Consiglio per la sicurezza nazionale: «Orde di migranti irregolari provenienti dall’Africa subsahariana [sono arrivati in Tunisia] con la violenza, i crimini e i comportamenti inaccettabili che ne sono derivati»; una situazione «innaturale», parte di un disegno criminale per «cambiare la composizione demografica» e trasformare la Tunisia in «un altro stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico».

Nessuno stupore se, immediatamente dopo, folle di facinorosi sono scese in strada aggredendo «i neri». Decine e decine sono stati arrestati e poi espulsi. Per arrivare agli ultimi giorni, quando centinaia di migranti, bambine e bambini inclusi, sono stati abbandonati al loro destino nelle aree desertiche alle frontiere con Libia e Algeria.

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«Notizie false», ha attaccato Saïed riferendosi ad Amnesty International e ad altre organizzazioni non governative. Tutto, purtroppo, vero. Tragicamente vero”.

La rotta della morte

Ne dà conto Eleonora Camilli in un documentato report per La Stampa: “Dei 93.685 migranti arrivati dall’inizio dell’anno 58.488 sono stati registrati infatti come partenze dalla Tunisia, un numero quintuplicato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando erano appena 12 mila. A questi si aggiungono i 30.495 arrivi dalla Libia, più o meno in linea con le cifre del 2022, i 4.315 dalla Turchia e i 387 dall’Algeria, per un numero complessivo 93.685 migranti approdati sulle coste italiane: il 109% in più rispetto allo scorso anno. L’obiettivo del governo di «fermare le partenze» attraverso una serie di accordi con i Paesi di origine e transito dei migranti, vacilla così davanti alla realtà dei dati, che parlano di un aumento degli sbarchi, dei naufragi e dei morti in mare. A tre settimane dalla firma del Memorandum of understanding tra Ue e Tunisia e dalla conferenza di Roma, cha ha visto proprio il presidente tunisino, Kais Saied, come ospite d’onore, l’andamento dei flussi non è cambiato. Per il governo Meloni l’accordo di partenariato raggiunto e le interlocuzioni di questi mesi sono il primo passo di un processo a lungo termine per governare l’immigrazione irregolare. Il titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, continua a ripetere che un risultato è già stato ottenuto: dall’inizio dell’anno la guardia costiera tunisina ha intercettato in mare e riportato indietro oltre 30 mila persone. Ma gli incontri tra i due Paesi, iniziati in primavera, avrebbero dovuto scongiurare il picco degli arrivi in questi mesi estivi. Un obiettivo ambizioso e difficile da raggiungere per l’instabilità sulla questione migratoria nel Paese nord africano. 

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«Non era mai successo che ci fossero così tante partenze dalla Tunisia», sottolinea Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). «La rotta ha iniziato a intensificarsi già a fine 2022, tra ottobre e novembre, ma l’incremento maggiore c’è stato tra gennaio e febbraio, dopo le dichiarazioni di Saied contro i migranti nel Paese, il 21 febbraio scorso». L’accusa rivolta agli stranieri di «sostituzione etnica» ha generato infatti un’ondata di discriminazioni e una vera e propria caccia al nero. «Sono aumentati così gli arrivi soprattutto di cittadini subsahariani, provenienti da Guinea e Costa D’avorio. Le persone hanno iniziato a scappare in maniera consistente dal Paese. La maggior parte di quelle con cui abbiamo parlato non aveva intenzione di intraprendere un viaggio verso l’Europa. Molti migranti, grazie ai visti facilitati per alcuni paesi, erano arrivati a Tunisi per lavorare. Ma da quando sono iniziate le discriminazioni e la situazione in Tunisia è deteriorata sono stati costretti a prendere la via del mare. – continua Di Giacomo -. L’ unico mese in cui abbiamo registrato una diminuzione è stato maggio, ma solo perché in quel periodo ci sono state condizioni meteomarine proibitive. A giugno le partenze sono ricominciate e la rotta ha mantenuto gli stessi ritmi fino a oggi, non abbiamo notato cambiamenti». 

Ad aumentare oltre agli arrivi è anche il numero delle vittime del mare: 1844 da gennaio. Una cifra che l’Oim per le migrazioni considera al ribasso. Potrebbero essere molti di più perché i natanti utilizzati per le partenze dai porti di Sfax sono spesso barchini di ferro inadatti alla navigazione. Una volta in alto mare si spezzano o si ribaltano. In termini assoluti i dati sono simili all’andamento degli anni 2016 e 2017. «Non siamo in emergenza, 93 mila arrivi sono numeri alti ma gestibili – aggiunge il portavoce di Oim -. Il problema è che in mancanza di una missione coordinata di salvataggio in mare i migranti vengono portati tutti a Lampedusa e l’isola torna sotto pressione». Nelle ultime ore l’hotspot dell’isola ha registrato il numero record di 2250 presenze, tra cui 550 minori (400 dei quali non accompagnati). 

Stando ai dati, a lasciare il Paese tunisino sono anche tante famiglie stremate da una condizione economica e sociale, ormai deteriorata nel paese. «Si pensa che dando dei soldi alla Tunisia i migranti smettano di venire in Italia e in Europa. Non è così» spiega Sara Prestianni, esperta di politiche migratorie e direttrice advocacy dell’organizzazione EuroMed rights -. La deriva autoritaria, l’instabilità politica, sociale ed economica, la repressione della libertà di espressione e l’aumento di razzismo e dei discorsi d’odio non potevano che far aumentare il numero di persone in fuga. Era impossibile pensare il contrario. Eppure questi elementi non vengono mai presi in considerazione nelle trattative tra i paesi. Non si risolve il problema dando delle motovedette per intercettare in mare e rimandare indietro i migranti verso la Tunisi, perché queste persone cercheranno di nuovo di tentare il viaggio e ripartire. Sono le situazioni di vita nei paesi di origine e transito che spingono le migrazioni. Invece, la soluzione che viene venduta di dare fondi per rafforzare il controllo delle frontiere non funziona. Quello che abbiamo assistito in questi mesi è solo la legittimazione di un potere autoritario, che deporta i migranti al confine con la Libia lasciandoli morire nel deserto. In cambio di un risultato che non sarà raggiunto: quello di fermare le partenze”. 

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Stop ai rapporti con un regime autoritario e razzista

In queste ore una denuncia sul “regime autoritario e razzista” del presidente tunisino arriva anche da 270 accademici europei, americani o tunisini che in una petizione pubblica hanno chiesto il ritiro della laurea honoris causa conferita nel 2021 dall’Università italiana La Sapienza. L’accusa per il capo di Stato tunisino è “di aver commesso gravi abusi nei confronti dei migranti che risiedono o transitano nel Paese”. Tra i firmatari, Mouna Balghouthi, coordinatrice tunisina dell’Ong Mobilizing for rights associates (Mra) e ricercatrice in filosofia all’Università El Manar di Tunisi, Sana Ben Achour, attivista femminista e professoressa di diritto pubblico, e il matematico francese Cédric Villani. Gli accademici condannano anche le riforme costituzionali “intese a concentrare il potere nelle sue mani, a minare i fondamenti istituzionali essenziali per i diritti umani, anche a minare l’indipendenza della magistratura e il diritto alla libertà di espressione”.

L’inferno libico

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Vite umane ancora una volta appese a un filo. Un barchino con 24 migranti a bordo che si trovava in zona Sar (search and rescue, ndr) maltese sarebbe stato respinto in Libia. A denunciarlo è Alarm Phone.  “La barca si era persa durante una tempesta ed è stata successivamente scoperta da una nave mercantile che ha salvato le persone ma Malta, Italia e Grecia si sono tutte rifiutate di assegnare un porto sicuro e alla nave mercantile è stato detto di riportare le persone in Libia”, denuncia l’ong, spiegando che i migranti adesso sono in prigione.  “Il gruppo è ora a Misurata, recluso separatamente in due centri – dicono da Alarm Phone -. Alcuni di loro sono malati e temono la deportazione in Siria ed Egitto. Tra loro ci sono 9 bambini. Chiediamo alle autorità di rilasciarli immediatamente”.

Scrive Nello Scavo su Avvenire: “ Cosa facciano le cosiddette guardie costiere libiche per le agenzie delle Nazioni Unite è fin troppo chiaro. Il rapporto annuale dell’Unsmil, la missione Onu a Tripoli, punta il dito sia contro le operazioni di intercettazione in mare dei migranti, sia sulle fasi successive. La filiera degli abusi, infatti, continua a tenere insieme gli uomini con la divisa e gli affiliati senza mostrine. «Durante queste operazioni e al momento dello sbarco in Libia – si legge -, i migranti e i rifugiati hanno continuato ad affrontare gravi problemi di diritti umani e protezione». L’elenco è noto: «Detenzione arbitraria in condizioni disumane con assistenza umanitaria limitata e alto rischio di tortura, lavoro forzato, estorsione, violenza sessuale e traffico di esseri umani» che viene perpetrato da una rete composta da «gruppi armati, contrabbandieri transnazionali e attori statali».

Il sostegno pressoché incondizionato di Paesi come l’Italia non viene subordinato al potenziamento dei diritti umani e neanche delle libertà civili. Pochi giorni fa l’inviato delle Nazioni Unite a Tripoli ha denunciato davanti al consiglio di sicurezza Onu che “l’Agenzia per la sicurezza interna ha introdotto una nuova procedura che limita la libertà di movimento delle donne, richiedendo a quante partono da sole dagli aeroporti libici della regione occidentale di compilare un modulo sulle ragioni del viaggio all’estero senza un accompagnatore maschile”.

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La conferma che «per quanto riguarda la situazione dei diritti umani, i diritti e le libertà fondamentali si sono erosi», insiste l’Unsmil. E se le cose non vanno bene per i libici, figurarsi per gli stranieri, che subiscono «le diffuse violazioni e gli abusi, con i gruppi armati che operano al di là del campo di applicazione della legge e commettono violazioni impunemente, tra cui arresti e detenzioni arbitrarie su larga scala, uccisioni illegali, sparizioni forzate, uso eccessivo della forza contro manifestanti pacifici, violazioni contro i migranti e i rifugiati, tra cui il traffico di esseri umani e il lavoro forzato». Un inferno che le foto opportunity della politica non riescono a cancellare”.

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