Così Papa Francesco ha archiviato il tradizionalismo e lo definisce 'paganesimo del pensiero"
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Così Papa Francesco ha archiviato il tradizionalismo e lo definisce 'paganesimo del pensiero"

In occasione del viaggio in Canada Papa Francesco ha incontrato un gruppo di gesuiti e - tra le altre cose- ha sottolineato come la tradizione sia ben altra cosa rispetto al tradizionalismo

Così Papa Francesco ha archiviato il tradizionalismo e lo definisce 'paganesimo del pensiero"
Papa Francesco in Canada
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

4 Agosto 2022 - 18.55


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Come sempre, in occasione dei suoi viaggi, papa Francesco anche in Canada ha incontrato un gruppo di gesuiti lì residenti. E il loro colloquio è stato pubblicato on line in queste ore da La Civiltà Cattolica. Ne emergono alcuno concetti molti importanti, alcuni di assoluta rilevanza. Ma cerchiamo di presentarli nel loro ordine.

Il papa comincia esprimendo soddisfazione per il suo viaggio in Canada, per il nuovo rapporto, dopo gli orrori del passato, con i popoli indigeni canadesi. Ma il suo discorso sottolinea che se c’è un vero cambiamento non è merito suo, ma del lavoro che si è saputo fare a livello di vescovi. Ci sono voluti anni sottolinea il papa, ma alla fine il discorso ha coinvolto tutto l’episcopato, non solo quelli direttamente interessati dallo scandalo delle scuole residenziali cattoliche che furono complici di politiche assimilazioniste.

Questo ha consentito il risultato vero: “Vedete, la cosa più importante è proprio il fatto che l’episcopato si sia trovato d’accordo, abbia raccolto la sfida, e sia andato avanti. Questo del Canada è stato un esempio di episcopato unito. E quando un episcopato è unito, allora può affrontare bene le sfide che si presentano. Sono testimone di quel che ho visto. Questo, dunque, voglio sottolineare: se tutto sta andando bene non è a causa della mia visita. Io sono solamente la ciliegina sulla torta. Sono i vescovi ad aver fatto tutto con la loro unità. Poi è bene ricordare con umiltà che la parte indigena è davvero capace di affrontare bene la questione, ed è in grado di impegnarsi. Ecco, insomma, sono i miracoli che si possono fare quando la Chiesa è unita. E ho visto familiarità tra vescovi e indigeni. Certo, è inutile nasconderselo, ci sono alcuni che lavorano contro la guarigione e la riconciliazione, nella società come nella Chiesa. Anche stasera ho visto un piccolo gruppo tradizionalista che protestava, e diceva che la chiesa è un’altra cosa… Ma questo fa parte delle cose”.

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Il discorso può essere riferito molto facilmente a episcopali che si dividono sulla necessità della trasparenza, o che in parte si dimostrano recalcitranti. L’esempio canadese da questo punto di vista dice molto su come affrontare altre gravi emergenze. E marginalizzare ambienti o ideologie contrarie alla riconciliazione.

La seconda domanda ha riguardato il sinodo, cioè quel processo decisionale aperto a tutti i battezzati che il papa diventi il vero meccanismo che fa camminare la Chiesa. A chi gli ha chiesto di questa Chiesa sinodale conta tutto, ma soprattutto le fortissime prime parole della risposta: “ Guarda, a me dà fastidio che si usi l’aggettivo «sinodale» come se fosse la ricetta dell’ultima ora per la Chiesa. Quando si dice «Chiesa sinodale» l’espressione è ridondante: la Chiesa o è sinodale o non è Chiesa. Per questo siamo arrivati a un Sinodo sulla sinodalità, per ribadire questo. Certamente possiamo dire che la Chiesa in Occidente aveva perso la sua tradizione sinodale. La Chiesa d’Oriente l’ha conservata. Si può discutere sulle modalità del vivere la sinodalità, certamente. Paolo VI ha istituito la Segreteria del Sinodo dei vescovi perché intendeva andare avanti su questo tema. Sinodo dopo sinodo si è andati avanti, a tentoni, migliorando, comprendendo meglio, maturando”.

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Andare avanti… Vuol dire, appunto, che il sinodo, il camminare insieme, non deve limitarsi ai soli vescovi, ma coinvolgere tutti il popolo di Dio, cioè tutti i battezzati: “Mi sembra fondamentale ribadire, come faccio spesso, che il sinodo non è un incontro politico né un comitato per decisioni parlamentari. È l’espressione della Chiesa dove il protagonista è lo Spirito Santo. Se non c’è lo Spirito Santo non c’è neanche il sinodo. Ci potrà essere democrazia, parlamento, dibattito, ma non c’è «sinodo». Se volete leggere il libro migliore di teologia sul sinodo, allora rileggete gli Atti degli Apostoli. Lì si vede chiaramente che il protagonista è lo Spirito Santo. Questo si sperimenta nel sinodo: l’azione dello Spirito. Accade la dinamica del discernimento. Si sperimenta, ad esempio, che a volte si va veloci con una idea, si litiga e poi avviene qualcosa che riaccomuna le cose, che le armonizza in modo creativo. Per questo mi piace chiarire che il sinodo non è una votazione, un confronto dialettico di una maggioranza e una minoranza. Il rischio è anche quello di perdere il quadro d’insieme, il senso delle cose”.

La domanda successiva porta al tema degli abusi e alle riforme di alcune importante norme penale nel diritto ecclesiastico. Questa per me è la risposta più importante di tutte: “ Si è constatato che bisognava fare dei cambiamenti, e sono stati fatti. Il diritto non si può tenere in frigorifero. Il diritto accompagna la vita e la vita va avanti. Come la morale: si va perfezionando. Prima la schiavitù era lecita ora non più. La Chiesa oggi ha detto che anche il possesso dell’arma atomica è immorale, non solo l’uso. Prima non si diceva questo. La vita morale va progredendo nella stessa linea organica.” A chi parla di “immodificabilità”, di norme, leggi, morale, Francesco ricorda la storia, e quindi la realtà. Le ideologie tradizionaliste sono chiaramente l’opposto della sua visione: “ La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è sbagliata. Per questo è importante avere rispetto per la tradizione, quella autentica. Diceva uno che la tradizione è la memoria viva dei credenti. Il tradizionalismo invece è la vita morta dei nostri credenti. La tradizione è la vita di chi ci ha preceduto e che va avanti. Il tradizionalismo è la loro memoria morta. Dalla radice al frutto, insomma: questa è la strada. Bisogna prendere come riferimento l’origine, non un’esperienza storica particolare assunta a modello perpetuo, come se bisognasse fermarsi là. «Ieri si è fatto così» diventa «sempre si è fatto così». Ma questo è paganesimo del pensiero! E quello che ho detto vale anche per la materia legale, per il diritto”. 

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Un punto così chiaro sulla sterilità del tradizionalismo, sull’importanza di capire bene cosa sia “tradizione” raramente era stato offerto al lettore. Archiviare il tradizionalismo in favore della tradizione intesa come memoria viva dei credenti è il contributo più evidente che questo testo ci offre. E che chiarisce la portata davvero universale ed epocale di questo pontificato.  

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