Disastro arbitri: Nicchi, se questo calcio le fa così schifo perché ci resta?
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Disastro arbitri: Nicchi, se questo calcio le fa così schifo perché ci resta?

Il presidente degli arbitri intervenuto a Radio anch'io spara a zero sui giocatori stranieri e sui giornalisti che accusano i pessimi arbitraggi italiani.

Marcello Nicchi
Marcello Nicchi
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11 Febbraio 2014 - 10.08


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di Xavier Jacobelli

In una delle sue frequenti discese da Marte, pianeta sul quale abitualmente dimora, stamane il presidente degli arbitri è intervenuto a Radio anch’io lo Sport, in onda su Radiorai Uno e ha sparato a palle incatenate contro chi osa dire la verità, cioè che il disastro arbitrale italiano continua senza fine. Potete leggere nell’articolo correlato a questo editoriale le perle di saggezza che ci sono state rifilate. C’è dell’altro.

Non pago dell’exploit, con lo stile e l’eleganza che lo contraddistinguono, il signor Marcello Nicchi ha attaccato i giocatori stranieri che militano in serie A; la serie A medesima che non lo diverte per colpa dei troppi stranieri; i giornalisti e i mezzi d’informazione che raccontano ciò che vedono, cioè gli errori in quantità industriale di arbitri, assistenti e giudici di porta; le proteste dell’Inter che, dall’8 maggio 2013, non riceve un rigore a favore.

In un Paese normale, ce ne sarebbe abbastanza perchè il capo degli arbitri rassegnasse le dimissioni, in base a un ragionamento apodittico, se non per un’elementare questione di pudore: poichè questo Sistema di cui è parte integrante essendone uno dei più autorevoli rappresentanti, gli fa così schifo, il minimo che possa fare è andarsene.

Invece no. Nicchi resta al suo posto e non solo. Ci fa sapere che gli arbitri parleranno solo quando lo deciderà lui, solo se i giornalisti e le tv faranno i buoni. “Non vedo l’ora di far parlare gli arbitri e non vedo l’ora di venire ascoltato, ma lo potremo fare quando le tv smetteranno di andare a mettere i microfoni sotto il naso degli allenatori che ogni volta che perdono lo fanno per un fallo laterale invertito… Fin quando non verrà riconosciuta la bellezza del calcio, ovvero che vinci o che perdi per merito o per colpa tua, non faremo parlare gli arbitri. Se questo mondo cambierà, anche domattina manderò a parlare gli arbitri”.

Ma chi chi si crede di essere Nicchi? Ma dove vive? Cos’è, stabilisce lui la linea editoriale dei mezzi d’informazione, che cosa debbano o non debbano scrivere? Chi debbano o non debbano intervistare? “Non vedo l’ora di venire ascoltato”? Ma ringrazi Radio anch’io lo sport che stamane gli ha concesso lo spazio per sparare le sue sentenze, così gli appassionati di calcio possono giudicare se abbia torto o ragione.

Ancora: “Oggi il calcio non mi diverte e non mi appassiona più: ci sono troppi stranieri in campo, di cui non conosciamo la cultura, nè la storia; ci sono giocatori di cui non si è mai sentito parlare e ce li ritroviamo in Serie A. Dobbiamo trasmettere loro la cultura e il rispetto delle regole che magari nei rispettivi Paesi d’origine vengono applicate in modo leggero. Non mi appassiono più a vedere partite dove ci sono 22 stranieri”.

Se Nicchi non si diverte, non ce ne può fregare di meno. Già che c’è, rispetti tutti i professionisti stranieri che vengono a giocare in serie A e lasci stare “la cultura e il rispetto delle regole”, perché, se cominciamo ad aprire il libro del modo in cui la cultura e il rispetto delle regole vengono applicati nel calcio italiano, gli stranieri ci fanno a pezzi.

Certo, ci divertiremmo senz’altro di più se la moviola in campo aiutasse arbitri, assistenti, giudici di porta ad evitare le immani cantonate che scandiscono troppe direzioni di gara.

Ma la moviola in campo per Nicchi è Belzebù. La aborrisce. La nega. La stronca, come se non sapesse – e come se non lo sapesse la Fifa – che è nata ufficialmente il 9 luglio 2006 a Berlino, durate la finale mondiale fra Italia e Francia, quando il quarto uomo avvertì l’arbitro della testata di Zidane a Materazzi.

“Io dico che se domani dovesse arrivare il calcio elettronico potremmo cominciare a dire che il calcio è finito e possiamo parlare di qualcosa che non è più calcio, perché ci sono una serie di problemi che andrebbero affrontati e che sono irrisolvibili. Ad esempio, come si recupera il tempo effettivo. Il dubbio, sempre incombente anche nelle immagini tv. La decisione finale a chi compete, all’arbitro o a chi vede la tv e dà il suggerimento? Ci fosse un giudice esterno, la sua parola prevarrebbe su quella dell’arbitro? Quali casi andremmo a vedere? Quando si ferma il gioco? Tutte le volte che l’arbitro lo ritiene necessario, quando lo chiede una delle squadre? Chi è il proprietario dell’emittente che lo riprende? E infine, lo svolgimento dell’azione: mettiamo che si tratta di un’azione discussa in una delle due aree, la squadra che difende poi va in rete, cosa facciamo? Si annulla quel gol? Non andremmo più a vedere una partita di calcio, ma una partita elettronica. E la bomboletta spray per segnare la distanza sui calci di punizione (che verrà utilizzata al Mondiale, ndr) è una grande sciocchezza, una spettacolarizzazione del gioco del calcio. In Italia, vedendo l’approccio degli arbitri con le barriere è del tutto inutile, visto che la distanza viene fatta rispettare con facilità. È uno spettacolo coreografico? Va bene, facciano pure, andare a fornire gli arbitri di questa zavorra è antiestetico e antiatletico, ma facciano loro, non è questo il problema”.

Ma chi è Nicchi per arrogarsi il diritto di negare la moviola in campo? E’ un membro dell’International Board? E’ il nuovo Blatter? Ma li segue Nicchi il rugby, il baseball, il tennis, il football americano e tutti gli altri sport che, grazie alla tecnologia, sono diventati sempre più trasparenti, facilitando enormemente il compito degli ufficiali di gara? Ma lo sa Nicchi che in Italia uno cudetto del basket è stato assegnato con la moviola in campo?

Ce n’è anche per l’Inter, letteralmente massacrata dai torti arbitrli e senza un rigore a favore dall’8 maggio 2013. “Una casualità: è possibile che ci siano stati errori, ma questo non vuol dire che un arbitro parta da casa vedendo lo score della società in base a chi ha avuto 3 o 30 rigori. Non si può fare. Ci sono delle squadre che entrano meno in area di rigore, ci sono squadre che meritano rigore, ma un errore arbitrale glielo nega. È il calcio”.

No, questa è la negazione del calcio. Come Tagliavento che, due settimane fa, all’indomani del rigore inventato contro l’Atalanta a Torino, ha ammesso di avere sbagliato. Peccato l’abbia detto a Braschi, ma non l’abbia scritto a referto come errore tecnico, sennò la partita sarebbe stata ripetuta e la carriera del fischietto umbro sarebbe finita. O no?

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