JD Vance alfiere del cattolicesimo sovranista che ha smesso di servire i poveri per benedire i troni dei potenti
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JD Vance alfiere del cattolicesimo sovranista che ha smesso di servire i poveri per benedire i troni dei potenti

Vance è stato tra i principali sostenitori della “grande sostituzione”, la teoria cospirazionista secondo cui le élite starebbero favorendo l’immigrazione per cancellare l’identità dei popoli occidentali. Una visione che trova terreno fertile nella destra radicale

JD Vance alfiere del cattolicesimo sovranista che ha smesso di servire i poveri per benedire i troni dei potenti
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19 Aprile 2025 - 10.41


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È apparso assorto, lo sguardo rivolto verso l’altare maggiore di San Pietro, mentre gli inni dei fedeli salivano verso la Cupola. JD Vance, vicepresidente degli Stati Uniti, era tra i fedeli durante il Triduo pasquale in Vaticano, accompagnato dalla moglie e dai figli. Una presenza che a prima vista potrebbe sembrare solo un atto di devozione. Ma il contesto, e soprattutto le idee che Vance rappresenta, raccontano una storia diversa.

La sua è una fede che divide. Convertitosi al cattolicesimo nel 2019, Vance ha da subito abbracciato una visione profondamente conservatrice del cristianesimo, intrecciata con le pulsioni del nazionalismo americano. Nei suoi discorsi, e ancor più nei contesti che frequenta, emerge un disegno ideologico ben preciso: un’America cristiana, bianca, tradizionalista, chiusa al mondo e guidata da una presunta missione divina. Un cristianesimo, però, che non assomiglia a quello del Vangelo.

Una Pasqua tra simboli e contraddizioni

Il contrasto tra la solennità della liturgia pasquale e le posizioni pubbliche di Vance non è passato inosservato. Proprio nei giorni in cui Papa Francesco ha nuovamente richiamato la Chiesa a farsi “rifugio per i poveri e i migranti”, Vance riaffermava – in un’intervista a Fox News – la sua convinzione che la protezione dei confini venga “prima dell’universalismo astratto”.

Non è un caso isolato. Vance è stato tra i principali sostenitori della “grande sostituzione”, la teoria cospirazionista secondo cui le élite starebbero favorendo l’immigrazione per cancellare l’identità dei popoli occidentali. Una visione che trova terreno fertile nella destra radicale americana e che negli ultimi anni ha preso in prestito il lessico religioso per guadagnare legittimità morale.

Il cuore teologico del conflitto

Secondo il Guardian, Vance è oggi uno dei volti più visibili di quel che viene definito “Christian nationalism”, un movimento che promuove l’idea di una nazione cristiana fondata su valori presuntamente biblici – patriarcato, autorità, appartenenza razziale – e che rifiuta la laicità, la diversità religiosa e i diritti civili come frutti di un modernismo decadente.

IGlobalist.it ha recentemente tracciato le connessioni tra questo nazionalismo religioso e l’estrema destra suprematista, mostrando come simboli cristiani vengano strumentalizzati per alimentare retoriche identitarie. Non più la croce come segno di misericordia e riconciliazione, ma come emblema di appartenenza culturale da contrapporre all’altro: il musulmano, il migrante, il “non-bianco”.

Eppure, la contraddizione è evidente. Perché i Vangeli, al netto delle interpretazioni, parlano chiaro: “Ero straniero e mi avete accolto”, dice Gesù nel Vangelo di Matteo. “Non c’è né giudeo né greco, né schiavo né libero… voi siete tutti uno in Cristo”, scrive Paolo ai Galati. La fede cristiana, nella sua essenza, è radicalmente inclusiva. È una Buona Notizia per tutti, non un privilegio per alcuni.

Tra Roma e l’America profonda

La presenza di Vance al Vaticano mette in luce due anime oggi in conflitto all’interno del cristianesimo stesso. Da una parte il pontefice gesuita che predica ponti, misericordia e accoglienza. Dall’altra, leader politici che evocano Dio per rafforzare frontiere, muri e gerarchie etniche.

È un conflitto che attraversa non solo la Chiesa, ma l’intera società occidentale. La retorica del “cristianesimo militante” che Vance incarna affascina ampi settori della base conservatrice americana, ma si sta diffondendo anche in Europa, dall’Ungheria di Orbán all’Italia dei “valori tradizionali”. È un cristianesimo che vuole tornare a essere egemone, ma rinuncia – nel farlo – alla radicalità dell’amore evangelico.

Fede o ideologia?

Vance ha tutto il diritto di professare la sua fede. Ma quando la fede diventa strumento di potere, quando la croce diventa arma culturale, quando la dottrina si piega per giustificare esclusione e dominio… allora qualcosa si spezza. E non solo nella politica, ma nell’anima stessa della Chiesa.

La sua presenza a San Pietro, accolta senza clamore, è una cartolina inquietante del nostro tempo: il volto gentile di un cristianesimo che rischia di perdere se stesso, inseguendo le sirene della forza, dell’identità e del sangue. Un cristianesimo che ha smesso di lavare i piedi ai poveri per benedire i troni dei potenti.


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