Intorno a don Carlos: prove d’autenticità è il lavoro che Marco Filiberti, regista e drammaturgo milanese da anni in Val d’Orcia, ha messo in scena di recente al Teatro dei Rozzi. Un lavoro essenziale, senza scenografia, incentrato sul lavoro d’attore, per corpi e voci, che ha confrontato le solitudini dei personaggi e ha riscosso successo a Siena, grazie alla bravura degli attori Pietro Bovi, Diletta Maselli, Luca Tatangeli, Massimo Odierna e Giacomo Mattia. Un testo scritto da Filiberti nel 2017 e ispirato al capolavoro di Schiller che tratta di potere, amore, amicizia, in un teatro da camera chiaroscurale che richiede attenzione allo spettatore e coniuga danza e recitazione.
“In un tempo apocalittico come il nostro, credo che voci come la mia siano fondamentalmente necessarie. Se poi arriva a dieci, cento o a mille persone è un aspetto che non dipende da me”. Le basi sono giuste, ma la provocatorietà di queste parole arriva netta, e si scaglia contro un certo teatro odierno che ricerca il botteghino facile.
Dichiara Filiberti: ”Non ho mai creduto in un’arte meramente di intrattenimento o che deresponsabilizzi i fruitori – ha spiegato a Luciano Fioramonti di Ansa. Il senso di responsabilità è diverso tra l’artista e gli spettatori ma ridotta solo a strumento di intrattenimento per me svilisce ontologicamente il suo mandato. Deve rigenerare l’umanità, essere uno strumento di salvezza come credevano Schiller, Goethe, Holderlin, Novalis, espressione della visione laica e spirituale del Romanticismo, l’ultima grande manifestazione antropoculturale dell’Occidente”.
La ripresa del suo Don Carlos nasce infatti da una riflessione sul declino culturale dei nostri tempi, vista dal teatro che vuole ormai spettacoli agili, da allestire e smontare velocemente, al passo con una velocità che ormai pervade la realtà ma che non siamo costretti a seguire, perché il dissenso rimane un’arma valida, anche se pare, ormai, in mano a pochi, e pertanto maggiormente importante.
Filiberti continua ”Tutto quello che ha cercato di imbavagliarmi nella vita sicuramente è presente nelle relazioni eversive di quest’opera: avere un binario stretto con un cuore grande è una dialettica con la quale ho dovuto avere a che fare. Schiller, in cui convergono idealismo e una istanza di spiritualità, vedeva l’uomo per quello che avrebbe potuto essere e non è stato e riassume il senso del mio essere artista in un contesto storico come questo. Non importano i fallimenti e i successi, c’ è qualcosa che è più forte”.
Il suo prossimo impegno riguarderà Proust e i suoi Cahiers d’écriture, parte di un progetto più ampio dedicato alla Récherche, con prima prevista a Padova per giugno.
Oltre al teatro, il cinema e la scrittura: ”Sto anche lavorando alla costruzione del mio nuovo film ambientato nell’alta borghesia torinese e milanese degli anni Settanta e devo terminare il mio primo romanzo intitolato Canto d’estate”.