di Lorenzo Lazzeri
Questo articolo non intende in alcun modo promuovere l’uso dell’LSD, né suggerirne un impiego al di fuori di rigorosi contesti clinici e scientifici. È doveroso ricordare che l’assunzione della dietilamide dell’acido lisergico, in soggetti predisposti o in assenza di supervisione medica, può condurre a stati psicotici, derealizzazione persistente come il disturbo percettivo persistente da allucinogeno (HPPD) e possibili danni neurologici irreversibili. La presente riflessione si propone piuttosto di indagare, con mente aperta, ma non priva di senso critico, la storia di una sostanza che la politica e l’ideologia hanno confinato ai margini del discorso scientifico prima che se ne comprendessero a fondo le potenzialità. È un invito allo studio, non all’esperienza. Perché la conoscenza – soprattutto quella farmacologica e psichiatrica – non può restare prigioniera del sospetto e né della paura.
La storia della dietilamide dell’acido lisergico, nota come Lsd, è un ordito complesso di intuizioni scientifiche, di rivoluzioni creative, ma anche dilemmi etici. Dal laboratorio svizzero di Albert Hofmann, nel 1938, agli esperimenti psichedelici degli anni ‘60, fino alla sua recente riabilitazione nel panorama della ricerca medica, l’Lsd ha attivato “viaggi” nelle menti più brillanti del XX e XXI secolo, lasciando dietro di sé tracce di genio, catarsi, ma anche, in alcuni casi, discese negli inferi dell’inconscio, spesso, per rinascere al mondo ed apprezzarlo con occhi nuovi.
Kary Mullis, Premio Nobel per la Chimica, in varie interviste, raccontò più volte con candida schiettezza come le sue esperienze con l’Lsd avessero ampliato la sua capacità di pensare in modo non convenzionale. Una notte, mentre guidava lungo una strada californiana, ebbe una visione: nella sua mente le molecole prendevano vita, frammenti di Dna, proteine ed enzimi, danzavano in uno schema perfetto. In preda a quello stato di serendipità, Mullis frenò, accostò l’auto e, su una ricevuta del distributore di benzina, iniziò a scribacchiare quelle intuizioni allucinatorie che avrebbero dato origine alla Pcr, la tecnica che oggi permette di studiare il Dna.
Mullis non fu il solo a cercare nella psiche risposte scientifiche. Francis Crick, lo scopritore della doppia elica del Dna, secondo alcune fonti non confermate, avrebbe avuto intuizioni fondamentali proprio sotto l’effetto della “sostanza”.
Steve Jobs, con la sua proverbiale chiarezza, dichiarò senza mezzi termini che l’Lsd fu una delle esperienze più importanti della sua vita, una finestra aperta su un mondo di possibilità che avrebbero guidato la sua visione imprenditoriale. La Apple, in un certo senso, nacque da un’allucinazione. Anche Pall Allen e Bill Gates, fondatori di Microsoft, nel loro garage sperimentarono l’acid trip così come lo stesso Federico Fellini, nel pieno della sua parabola creativa, conobbe “l’acido” e ne trasse immagini e ispirazioni, nutrimento per le sue opere e visioni oniriche.
Oltre ai salotti artistici e ai laboratori di ricerca, l’Lsd trovò spazio nella medicina. Dagli anni ‘50 in poi, alcuni psichiatri esplorarono il suo potenziale per trattare depressione, ansia, dipendenze e traumi. Cary Grant, il raffinato protagonista di Hollywood, si sottopose volontariamente a sessioni di psicoterapia con Lsd per superare traumi profondi e l’alcolismo, definendole “un’esperienza di rivelazione interiore”.
Aldous Huxley, già affascinato dalla mescalina, abbracciò l’Lsd negli ultimi anni della sua vita, giungendo a scrivere un testo che rimane una pietra miliare nella riflessione sulle droghe psichedeliche, Le porte della percezione. Sul letto di morte, chiese alla moglie di somministrargli una dose elevata di acido, forse per attraversare la soglia o con maggiore lucidità o in uno stato di trascendenza. (L’Lsd è stata usata dai tanatologi per aiutare i pazienti, malati terminali a prepararsi al trapasso – Studio di Gasser – n.d.r.)
Jack Nicholson, in giovane età, partecipò a un film sperimentale intitolato The Trip (1967), in cui descrisse con estrema lucidità gli effetti dell’Lsd. Il film, scritto da un altro noto sperimentatore, Peter Fonda, cercava di catturare il viaggio psichedelico, tra espansione della coscienza e visioni oniriche. Nicholson raccontò in seguito di aver esplorato la sostanza per approfondire le sfumature psicologiche dei suoi personaggi.
Anche André Previn, il leggendario compositore, ne sperimentò gli effetti per spingere la creatività musicale in direzioni nuove.
Oggi, dopo decenni di demonizzazione, la ricerca ha iniziato a riabilitare l’Lsd come strumento terapeutico per pazienti con depressione resistente, Ptsd e dipendenze. Gli studi dimostrano che una singola dose, in contesto controllato, può produrre effetti benefici duraturi. Eppure, la dietilamide dell’acido lisergico resta tabù, prigioniero di un’anacronistica legislazione che lo equipara a sostanze molto più pericolose.
Nonostante l’assenza di morti per overdose, la paura che il suo abuso possa scatenare episodi psicotici in soggetti predisposti permane. Alcune testimonianze riportano, a dosaggi estremamente elevati, effetti prolungati per mesi, in rari casi persino permanenti. Emerge qui il vero punto etico, se sia giusto negare l’accesso a una sostanza che potrebbe migliorare la vita di molti per il solo timore che pochi ne abusino, quando il solo abuso da benzodiazepine è certamente più grave e pericoloso, in un dilemma che pone la conoscenza e la libertà scientifica davanti a un bivio.
La storia dell’Lsd è ancora in bozza, il suo libro non è lungi dall’essere chiuso, e i suoi intrecci che tra i fili del genio creativo, storie di redenzione e controversie non vedranno forse mai fine e forse, un giorno, sarà ricordata non come la storia di una droga proibita, ma come quella di uno strumento che la società non era ancora pronta a comprendere.