Treccani invita a superare termini discriminatori quando si parla di persone con disabilità
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Treccani invita a superare termini discriminatori quando si parla di persone con disabilità

Nella nuova voce 'Disabilità' si chiede di superare termini come "minorato" presente nell'art. 38 della Costituzione

Treccani invita a superare termini discriminatori quando si parla di persone con disabilità
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13 Marzo 2025 - 15.05 Culture


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L’Istituto Treccani ha invitato a lasciarsi alle spalle termini lessicali discriminatori come “handicappato” e “minorato”, in quanto considerati offensivi. Nello specifico il termine minorato viene utilizzato nell’articolo 38 della Costituzione che recita: “Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale”.

Nella nuova Appendice XI dell’Enciclopedia Italiana Treccani, nella voce “disabilità” curata da Elena Vivaldi professoressa di diritto costituzionale presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, dove insegna anche ‘Diritti e politiche sociali nella storia repubblicana’, la storia della diversità viene ricostruita accuratamente.

Viene sottolineato come oggi è considerata una ricchezza che sta alla società saper tradurre, e la crucialità dell’uso di un linguaggio consono che tuteli le persone con disabilità. Sostiene la Treccani, come il linguaggio sia uno degli strumenti fondamentali per raggiungere l’eguaglianza e fare sì che le situazioni di svantaggio in cui le persone con disabilità si ritrovano svaniscano, e che possano avere pari opportunità, a partire dal mondo del lavoro con adeguata formazione e soluzioni per l’accesso e avanzamento professionale.

La Treccani commentando il linguaggio utilizzato nell’art. 38 afferma che esso “va considerato coerente con la mentalità dell’epoca in cui la Costituzione fu scritta, ma non più conforme, oggi, allo spirito e alle finalità proprie della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità”.

La ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli ha commentato “è un’iniziativa importante che va nella direzione che abbiamo iniziato a percorrere nel decreto 62 del 2024 con l’abolizione da tutte le leggi ordinarie del nostro Paese dei termini ‘handicappato’, ‘portatore di handicap’, ‘diversamente abile’, per sostituirli con ‘persone con disabilità’. Credo che i tempi siano maturi anche per modificare l’articolo 38 della nostra Costituzione, eliminando il termine ‘minorato’, che è superato e non più accettabile”, dice all’Adnkronos. Aggiunge poi: “Dobbiamo riconoscere che siamo tutti persone e tutti con gli stessi diritti. Il linguaggio e l’utilizzo di parole giuste accompagnano il salto culturale e di civiltà che dobbiamo promuovere con costanza e determinazione per vedere in ogni Persona le potenzialità e non i limiti”.

Il presidente onorario dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, nonché direttore della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche dell’Accademia delle Scienze di Torino e professore emerito di Storia della Lingua italiana nell’Università del Piemonte Orientale, dichiara riguardo il rilievo dell’Enciclopedia Treccani sull’uso del termine ‘minorato’ nell’art.38 “è indiscutibilmente vero e non si può non sottoscriverlo. Ognuno usa le parole del suo tempo, per forza di cose, volente o nolente”. Continua poi Marazzini “Sta di fatto che i Padri costituenti (oggi anche ‘padri e madri’, secondo alcuni), con le parole del loro tempo hanno introdotto cambiamenti radicali nella vita civile. Speriamo che i revisori di parole di oggi riescano a incidere sulla realtà almeno con la stessa efficacia, visto che i cambiamenti linguistici da soli non bastano, anzi spesso sono un modo per far bella figura a buon mercato. E soprattutto speriamo che non si torni anche in questo caso alla proposta di ritoccare ‘alla moderna’ le parole della Costituzione”.

Giuliano Amato, presidente emerito della Corte costituzionale e due volte presidente del Consiglio dei ministri, sottolinea che “la nostra è una Costituzione che si è rivelata capace di reggere al passare degli anni, ma questo è uno dei punti sui quali è più prigioniera della cultura del suo tempo. Altri ce ne sono, a volte superati in via interpretativa (per esempio la tutela dei figli nati fuori dal matrimonio ‘compatibile’ con i diritti dei figli legittimi: art.30). Ma qui sarebbe davvero meglio togliere quel termine”.

Come ha dichiarato all’Adnkronos il professor Andrea Simoncini -ordinario di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Firenze- “le parole sono lo specchio del mondo in cui viviamo, non sono mai neutre. Si riempiono di vita e di valore a seconda di chi le usa; per questo l’effetto che hanno cambia nel tempo. Una parola che cinquant’anni fa era usata comunemente, oggi può apparire oscena; così come una parola che appariva orribile e offensiva, oggi può essere utilizzata come lessico comune. Le espressioni ‘minorato’ o ‘handicappato’ appartengono a questo tipo di parole. Oggi ci ripugna usare queste espressioni e quando questo accade, spesso, è per offendere deliberatamente l’interlocutore”.

“Può sorprendere, allora, la lettura dell’articolo 38 della nostra Costituzione in cui è scritto che ‘gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale’. Puntuale l’Enciclopedia Italiana Treccani è scesa in campo per affermare, nella voce ‘Disabilità’ curata dalla bravissima Elena Vivaldi, che questa espressione è coerente con la mentalità dell’epoca in cui la Costituzione fu scritta -continua  il costituzionalista Simoncini – ma oggi non è più conforme allo spirito ed alle finalità delle convenzioni internazionali. La questione ricorda il dibattito che non molto tempo fa si è scatenato sull’uso della parola ‘razza’ nell’articolo 3”.

“L’assunto è senza dubbio condivisibile: le parole sono indicatori dell’uguaglianza – spiega il professor Simoncini – possono stigmatizzare le differenze come patologie o ricordarci la ricchezza della nostra stessa umanità che si manifesta in tantissime forme, tutte ugualmente umane. Non vorrei però che questa pur giusta richiesta ottenesse un effetto paradossale – avverte l’illustre giurista – Potrebbe accadere, infatti, che, concentrati sul fatto che la nostra Costituzione parla di ‘minorati’ e non di ‘disabilità’, si dimenticasse il dato straordinario: e cioè che ne parla. Vorrei, dunque, cogliere questa occasione, per ricordare che l’articolo 38 della nostra Costituzione nel 1948 ha rappresentato un unicum assoluto per le costituzioni del secondo dopoguerra. Non tanto perché prevede il diritto costituzionale al sistema previdenziale ed assistenziale – già conosciuti da Bismarck in poi – ma proprio per questa concezione ‘personalista’ su cui si fonda e che emerge come carattere distintivo proprio in quel comma. Lì si dice, infatti, che la persona ‘inabile o minorata’ – e oggi lo diremmo in maniera certamente diversa – ha diritto all’educazione e ad imparare un lavoro! Non solo quindi ad una provvidenza economica assistenziale perché non potrà mai svolgere un impiego, ma si riconosce che partecipa a pieno titolo a quelle formazioni sociali in cui esprime la sua personalità, come afferma l’articolo 2 per tutti, indipendentemente dalle capacità. È un cittadino, non un assistito; e per questo ha il diritto di sviluppare tutte le sue potenzialità attraverso le due relazioni fondamentali che consentono lo sviluppo umano: la scuola e il lavoro”.

Il professor Andrea Simoncini ricorda poi che da quel comma dell’art. 38 sono derivate, oltre alla legislazione generale sull’assistenza e la previdenza, sono derivate in questi anni le politiche sull’inserimento e il sostegno a scuola dei ragazzi e delle ragazze con disabilità e “rendendo effettivo questo diritto’, più volte ha ribadito la Corte costituzionale in questi anni; così come le politiche per l’inserimento lavorativo obbligatorio di quelle che – con lo stesso stigma linguistico che oggi vogliamo combattere – sono state chiamate ‘categorie protette’; ma che mirava comunque ad un passo in avanti rivoluzionario rispetto alla logica assistenziale e ‘pietistica’ con cui la disabilità è stata affrontata fino all’avvento della Repubblica”.

Simoncini conclude “Giusto, dunque, rilevare che la parola ‘minorato’ usata dalla Costituzione oggi appaia fuorviante e debba essere cambiata. Ma attenzione a non alimentare, quand’anche involontariamente, una percezione svalutativa nei confronti di una Costituzione che sul tema della persona e della sua dignità integrale, rappresenta ancora oggi un riferimento imprescindibile per una società a misura d’uomo e per dettare la strada ad un legislatore non sempre all’altezza”.

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