Il Caso Dreyfus e la persistente ingerenza dei servizi segreti
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Il Caso Dreyfus e la persistente ingerenza dei servizi segreti

130 anni fa il capitano veniva portato nella Guayana francese. La ricostruzione di una vicenda che divise la Francia per mezzo secolo. Il ruolo di Emile Zola.Il tema è, dopo il caso Almasri e lo spionaggio contro i gionalisti, quantomai attuale.

Il Caso Dreyfus e la persistente ingerenza dei servizi segreti
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19 Febbraio 2025 - 14.25 Culture


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di Manuela Ballo

In tutte le vicende delle ultime settimane (dal caso Almasri a quello della tecnologia usata per spiare giornalisti e personalità pubbliche, all’accumulo improprio dei dati) emerge un ruolo crescente dei servizi segreti.  Sono solo vicende di questi nostri tempi dominati dal peso delle nuove tecnologie e dalla rilevanza economica dei dati? Magari, verrebbe da dire. Purtroppo quello che sta accadendo oggi è già, seppure in forme diverse, accaduto.

Il 21 febbraio del 1895, cioè centotrenta anni fa, l’ex capitano dell’esercito francese,  viene imbarcato per la Guayana francese dove rimarrà per molti anni. Non è la fine della sua complessa vicenda ma la definitiva svolta di un processo, “Affaire Dreyfus”, che segnerà per sempre la storia del rapporto tra informazione, potere giudiziario, antisemitismo e potere politico. 

E’ difficile ricapitolare una storia lunga, complessa e fatta di colpi di scena, dal ruolo dello spionaggio e di un giornalismo militante. Tutto ebbe inizio nell’autunno del 1894 quando Dreyfus fu arrestato per effetto di una serie di procedure dubbie e anomale. Fu, come si sa, accusato di tradimento e trasferito al carcere militare del Cherche-Midi, impedendogli ogni contatto con l’esterno, famiglia compresa. A porte chiuse, immediatamente dopo, il Tribunale sulla base di un dossier segreto dei suoi rapporti con l’addetto militare tedesco, che alla fine si scoprirà esser stato costruito ad arte, viene degradato, umiliato, ritenuto pericolo perché di un’altra razza. 

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La vicenda è rimasta nella storia per il ruolo che ebbe un grande scrittore come Emile Zola ma fu uno scrittore ebreo, Bernard Lazare,  tra i primi a schierarsi per l’innocenza del prigioniero pubblicando in Belgio il pamphlet L’Affaire Dreyfus – Une erreur judiciaire (L’Affare Dreyfus – Un errore giudiziario). Così i difensori di Dreyfus presero coraggio e tanti intellettuali aderirono alla campagna innocentista che stava crescendo. Ciò che accadde poi si trova in tutti i libri di storia del giornalismo.

Il 25 novembre 1897, Emile Zola, da giornalista libero, prenderà una forte posizione a favore di Dreyfus  e scriverà sul quotidiano Le Figaro che finalmente : «La verità è in marcia». Il movimento che mira a favorire un processo libero da storture e preconcetti continua in Francia e in tutti i paesi d’Europa.  Il direttore de L’Aurore ospita sulla prima pagina del suo giornale la famosa lettera di Zola al Presidente della Repubblica intitolata J’accuse! seguita dall’altrettanto famosa “Petizione degli intellettuali” firmata da grandi artisti come Emile Gide, Jules Renards, Anatole France e il giovane Marcel Proust– che si impegnavano a far firmare il manifesto nel quale si dichiarano dalla parte di Zola e quindi di Dreyfus. La risposta del potere politico e giudiziario fu dura inquisendo subito lo stesso Emile Zola per vilipendio delle forze armate.

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Solo nel 1900 lo scrittore beneficiò dell’amnistia. Non serviva alla Francia una cattiva immagine, proprio nell’anno in cui si inaugurava l’ Esposizione universale, quella della Tour Eiffel.  In quello stesso anno, a Maggio, la Camera dei deputati vota a stragrande maggioranza contro qualsiasi ulteriore revisione del caso Dreyfus che portò, nel 1906,  alla fine della vicenda e alla riabilitazione del capitano con la cancellazione della condanna e la riammissione nell’esercito col grado di maggiore.

Il 12 giugno di quell’anno, a mezzogiorno  fu nominato Cavaliere della Legion d’Onore. Durante la cerimonia, Dreyfus rimane «immobile, quasi stecchito, la testa alta, lo sguardo smarrito come in un sogno», scrisse il corrispondente del Corriere della Sera. «Passarono altri anni durante i quali il capitano riprese servizio prima di andare in pensione e morire nel 1935. Morirà senza aver ricevuto mai un’assoluzione piena in processo vero. 

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