Companion è un viaggio disturbante nell’alienazione tecnologica
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Companion è un viaggio disturbante nell’alienazione tecnologica

Companion esplora il lato oscuro delle relazioni umane mettendo in scena una società dipendente da androidi, tra manipolazione e perdita di controllo. Un erede dall’umore nero di Westworld che richiama le implicazioni etiche sull’uso dell’intelligenza artificiale.

Companion è un viaggio disturbante nell’alienazione tecnologica
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27 Gennaio 2025 - 21.40 Culture


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di Lorenzo Lazzeri

Il cinema di fantascienza e horror ha sempre esplorato le paure più profonde dell’umanità, dal timore dell’ignoto all’invasione tecnologica della sfera personale. Companion (2025), diretto da Drew Hancock e prodotto da Zach Cregger, si inserisce in questa tradizione, provando ad offrire una visione disturbante e a tratti esilarante dell’interazione tra uomo e androide in un mondo sempre più alienato.

Il film, che abbiamo potuto vedere in anteprima, difficilmente entrerà negli annali della storia della settima arte, si apre con una scena apparentemente innocente e romantica: Josh e Iris si incontrano per caso in un supermercato, dove un banale incidente al banco della frutta dà inizio alla loro storia d’amore. Tuttavia, questa leggerezza si rivela presto un’illusione. Durante una vacanza nella lussuosa villa sul lago di proprietà del misterioso Sergey, la coppia si unisce ad amici come Kat, Patrick ed Eli, ignari del fatto che il soggiorno si trasformerà rapidamente in un incubo di sangue.

L’ambiente idilliaco della villa diventa il palcoscenico per una serie di eventi sempre più inquietanti. Josh, il protagonista, inizia a mostrare comportamenti strani e inspiegabili, e gradualmente si scopre che la sua presenza non è affatto casuale. Senza rivelare troppo, il film si sviluppa in un crescendo di tensione e di mistero mal celato, lasciando lo spettatore in bilico tra commedia nera e horror psicologico, che tale non riesce ad essere mancando spesso della necessaria empatia tra la protagonista e lo spettatore.

Uno degli aspetti più interessanti di Companion è il modo in cui affronta il tema delle relazioni artificiali e artificiose, uno sguardo alla realtà di oggi e alla crescente alienazione sociale. Senza entrare nei dettagli della trama, il film esplora l’idea di robot umanoidi sempre più sofisticati, progettati per essere i compagni perfetti, ma che finiscono per diventare strumenti di controllo, violenza e sfruttamento.

Nel film, vediamo come alcuni personaggi siano attratti dalla possibilità di “modificare” questi robot a proprio piacimento, trasformandoli in oggetti di divertimento sadico o in surrogati di relazioni reali per supplire alla loro incapacità di gestione nella vita quotidiana. Questa deriva, che ricorda episodi di Black Mirror o il classico Westworld, sottolinea una critica feroce alla società contemporanea, incapace di affrontare le proprie emozioni senza ricorrere alla tecnologia. La possibilità di modificare i comportamenti di questi esseri artificiali attraverso tecniche di hacking o sfruttando bug di sistema diventa metafora di un’umanità ossessionata dal controllo, incapace di rispettare confini etici e morali.

Se da un lato il film si presenta come una horror-comedy, dall’altro affronta in modo intelligentemente banale il tema della sicurezza tecnologica. I robot umanoidi presenti in Companion sono vulnerabili a manipolazioni e alterazioni, evidenziando come l’avanzamento dell’IA porti con sé opportunità e rischi inquietanti.

In questo senso, il film diventa una parabola sull’hacking e sull’insicurezza informatica: cosa succede quando un dispositivo progettato per obbedire viene forzato a infrangere le regole? Come possiamo fidarci di macchine che possono essere manipolate per compiere atti imprevedibili e pericolosi? La risposta, suggerisce Companion, risiede nel confine sempre più labile tra l’essere umano e l’intelligenza artificiale, in cui il fattore imprevedibile diventa non la macchina, ma chi la utilizza.

Il cuore pulsante del film risiede pertanto più nella sua critica sociale che non in una trama innovativa; mostra come l’umanità, di fronte a relazioni sempre più complesse e a un mondo alienante, si rifugi in una tecnologia che promette compagnia e controllo e questo con un risultato ulteriore, l’isolamento e una perdita di empatia. Il personaggio di Josh, in particolare, diventa simbolo di questa dipendenza: inizialmente presentato come un uomo comune, si svela gradualmente, inquietante, incapace di distinguere tra realtà e simulazione, bene e male, un calcolatore anaffettivo.

L’inserimento di flashback e citazioni alla cultura pop – come l’omaggio a Terminator 2 – non è probabilmente solo un gioco nostalgico, ma un monito: l’idea che le macchine possano ribellarsi, un tempo confinata alla fantascienza, è oggi una preoccupazione sempre più tangibile.

Dal punto di vista registico, Drew Hancock costruisce un film che gioca con le aspettative del pubblico. La narrazione è strutturata come una serie di rivelazioni a catena, che provano a mantenere alto il livello di tensione e sorpresa, pur senza riuscire pienamente nell’intento. Ciò che distingue bene Companion da altri film del genere è il suo umorismo oscuro e l’ironia tagliente, che rendono la visione un’esperienza divertente e inquietante.

Le performance del cast, che include attori noti per le loro esperienze televisive come Jack Quaid (The Boys) e Sophie Thatcher (Yellowjackets), provano ad aggiungere autenticità alle dinamiche di gruppo, nel tentativo di creare un’atmosfera credibile e al tempo stesso surreale.

Al di là della sua facciata di horror-comedy, della sua incapacità di raggiungere i livelli di tensione ricercati, Companion rimane una produzione provocatoria che riesce a descrivere un ipotetico prossimo futuro, il nostro rapporto con la tecnologia e come essa influenzi le nostre relazioni interpersonali. In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale si sta insinuando in ogni aspetto della nostra vita, il film ci pone di fronte a domande scomode: fino a che punto siamo disposti a delegare la nostra umanità alle macchine?

Questa produzione riesce a districarsi male con la suspense, la trama mal costruita è prevedibile, ma l’humor e la critica sociale giungono al colpire nel segno. Il vero orrore, sembra dirci il film, non è nella tecnologia in sé, ma nell’incapacità umana di gestirla con responsabilità e consapevolezza.

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