di Lorenzo Lazzeri
Il cibo, fondamento della vita, della sussistenza e dell’autodeterminazione di ogni popolo, è per alcuni divenuto una effimera chimera, simbolo sfuggente di sopravvivenza, tra continenti schiacciati da un’avanzata carestia che, lungi dall’essere un fenomeno spontaneo, sorge come risultato del disordine umano, dell’avidità sorda e della profonda disuguaglianza economica. E’ quanto emerge dal rapporto studio FAO 2024 – The State of Food Security and Nutrition in the World 2024 Financing to end hunger, food insecurity and malnutrition in all its forms .
Se in passato il dramma della fame si confinava nei paesaggi remoti dell’arretratezza coloniale, oggi esso emerge come cifra di un moderno tradimento della promessa di civiltà. Il rapporto stilato dalla Fao e dal Programma Alimentare Mondiale (WFP) grida una verità che dovrebbe inquietare le coscienze di noi tutti e porci dinanzi a una realtà che travalica la banale incapacità di accesso al cibo che si manifesta in un’espressione desolata e mortale.
Le proiezioni fornite dalla FAO rivelano come la sottoalimentazione continuerà ad aumentare fino al 2030, secondo modelli economici avanzati come MIRAGRODEP. Variabili economiche chiave, come il PIL pro capite, il coefficiente di Gini per la disuguaglianza di reddito e l’indice dei prezzi reali degli alimenti, tracciano un quadro in cui le disuguaglianze e le difficoltà di accesso ai beni primari sembrano destinate a persistere, colpendo duramente le fasce più deboli.
L’odierna crisi alimentare che osserviamo in Palestina, Sudan, Sud Sudan, Haiti e Mali non rappresenta una parentesi storica, bensì il risultato di un equilibrio infranto, dove guerra, disordini economici e scompensi climatici rivelano in tutta la loro spietata efficacia il fallimento di un modello di sviluppo incapace di garantire persino le risorse più essenziali alla vita.
Nei campi profughi del Darfur settentrionale, l’immagine delle popolazioni è quella di un deserto umano abbandonato alla sua stessa rovina. A Zam Zam, il filo sottile tra sopravvivenza e privazione si tende sempre più verso il nulla, si assiste alla trasformazione del dolore individuale in un’agonia collettiva. In queste aree, il cibo non è che un’ombra lontana, un miraggio sospeso su una comunità pronta ad essere inghiottita dall’oblio.
Parallelamente, emerge una disparità preoccupante nel costo e nell’accessibilità di una dieta sana. Le stime della FAO mostrano come il prezzo di una nutrizione adeguata resti irraggiungibile per milioni di persone, con indici che evidenziano il divario economico tra paesi, soprattutto in quelli a basso reddito, dove i costi dei beni di consumo essenziali crescono a ritmi insostenibili.
La situazione in Palestina, oggi intrappolata tra politiche di controllo, guerra e terrorismo è imprigionata in blocchi permanenti, e vive una sofferenza senza tregua e senza fine all’interno della Striscia di Gaza, tra case distrutte e suoli sfruttati fino all’esaurimento, il nutrimento si trasforma in oggetto di lotta, strappato con forza alla comunità che se ne serve non più per vivere, ma per sopravvivere a giorni di attese, assedi e uccisioni.
Anche Haiti, esposto alle intemperie di un clima divenuto oramai ostile, si accascia sotto il peso di una fame ormai cronicizzata, di malattie come il colera ed il tifo, che non sono più l’eccezione, ma il ritmo sordo e inarrestabile delle giornate vissute da un popolo in povertà e costante pericolo.
Secondo le analisi Fao, inoltre, l’insicurezza alimentare presenta sfumature diverse in contesti urbani e rurali, evidenziando come l’accesso al cibo sia influenzato dalla densità abitativa e dalla lontananza geografica dai centri di distribuzione alimentare. Questa divisione offre una prospettiva più chiara sulle difficoltà che le comunità periurbane e rurali affrontano per garantirsi una nutrizione minima, allargando l’ombra della fame a un numero sempre crescente di persone.
In Sud Sudan, dove la violenza degli scontri tra ribelli e governativi si mescola alla carestia come pioggia e fango in una stagione senza fine, la fame si espande come fiamma nel vento. Le popolazioni rimangono vittime di una povertà che non è naturale né accidentale, ma costruita da decisioni errate e assenza di volontà politica se non quello della guerra e del potere. In Mali, il nord è sinonimo di desolazione, i conflitti interni rendono inaccessibili i rifornimenti, il cibo stesso è una presenza rarefatta, portatrice di angosce infinite in cui il futuro si riduce a un unico pensiero, un solo bisogno, trovare il pasto per il giorno successivo o per i figli.
Il quadro non si limita a una geografia accidentata di conflitti e privazioni; si allarga, ingloba le devastazioni di una crisi climatica che si fa sempre più incombente. Il fenomeno della Niña, con la sua promessa di stagioni invertite e piogge implacabili e distruttive come quelle che abbiamo visto devastare la Spagna, aspetta in un’inquietante tregua instabile, ma che lascia presagire nuove devastazioni sempre più drammatiche.
Le proiezioni per il prossimo anno dipingono uno scenario fosco, mentre i raccolti già esigui sono in balia di un clima sempre più volubile. Eppure, la Fao evidenzia come le risorse finanziarie destinate alla sicurezza alimentare, sebbene abbondantemente annunciate, rimangano ben al di sotto di quanto necessario, segnalando una cronica insufficienza della volontà politica e delle risorse destinate a contrastare la fame. Le strutture agroalimentari, incapaci di reggere agli assalti di un clima alterato, crollano come palazzi di sabbia di fronte a un’agricoltura sempre più minacciata dalla deriva ecologica.
C’è in questa fame acuta e senza pietà un ammonimento per le generazioni future, un monito amaro di una civiltà incapace di nutrire coloro che popolano i suoi confini.