La miocardite è il grande pericolo per chi si vaccina contro il Covid?
“In tempi non sospetti, con una miocardite che aveva tutti i criteri per essere diagnosticata come tale si poteva arrivare anche ad aver bisogno di un trapianto. Parliamo di forme gravi che potevano anche avere prognosi infauste. Quelle che vediamo oggi negli ambulatori, in ragazzi vaccinati contro Covid o in persone che hanno avuto un contatto con il virus Sars-CoV-2, al di là dell’attribuzione causa-effetto, sono forme blande e molto sfumate. I numeri sono irrisori, peraltro. Mi sento di ridimensionare il problema”.
A dirlo è Serenella Castelvecchio, responsabile del Laboratorio di ecocardiografia e follow-up dell’Area cardiochirurgica-cuore-adulto all’Irccs Policlinico San Donato di Milano.
Lei che di cuori ne ha visti tanti, e che ha vissuto la prima ondata di Covid-19 da vicino, sulla base della sua esperienza quotidiana con i pazienti conferma quello che raccontano i numeri contenuti nel Rapporto annuale Aifa sulla sicurezza dei vaccini anti-Covid. Numeri che, come spiegato dagli autori, rassicurano sulla rarità del fenomeno delle miocarditi e pericarditi segnalate dopo vaccino a mRna nei giovani. “Alcuni ragazzi attenzionati in tal senso – racconta – li ho mandati ad eseguire una risonanza magnetica cardiaca e avevano parametri perfettamente nella norma. Dire che alcuni hanno avuto bisogno di 1-2 giorni di ricovero è come dire che praticamente non c’era bisogno di niente di più che tenerli in osservazione. In passato ho visto miocarditi da forme virali con interessamento diffuso del miocardio in persone che hanno viaggiato in Paesi tropicali. Sono situazioni devastanti rispetto a quelle descritte adesso”.
Per quanto riguarda le pericarditi, continua Castelvecchio, “quello che vediamo con l’ecocardiografia sono dei minimi versamenti pericardici, esito di una blanda infiammazione del pericardio, nella stragrande maggioranza dei casi completamente asintomatici. Qualcuno lamenta dolore toracico. Nella maggior parte dei casi non richiedono cure. Si tratta di un reperto comune che vediamo in giovani e meno giovani, qualcosa che non ha impatto sulla prognosi delle persone. Io li chiamo scollamenti pericardici. Si vede che il pericardio, che è una membrana trasparente, è stato in qualche maniera interessato da un minimo processo infiammatorio, ma non sono forme di pericardite franca”.
Perché si parla di miocarditi e pericarditi post vaccino, e quale potrebbe essere il meccanismo che scatta? “Si ritiene che la vaccinazione, che induce una risposta anticorpale, possa produrre un risentimento infiammatorio, ma è veramente minimo. Questo è ciò che si vede nella pratica clinica quotidiana”, approfondisce la specialista.
L’Agenzia italiana del farmaco Aifa, osserva, “ha ribadito nel report che i casi di miocardite e pericardite sono veramente rari. Se n’è discusso tanto in relazione alla vaccinazione degli adolescenti di
12-18 anni. E’ vero che nei giovani l’infezione da Sars-CoV-2 si è rivelata più leggera, ma anche loro possono essere in alcuni casi colpiti in maniera importante. E quando si parla di comorbidità che aumentano i rischi non dobbiamo dimenticare che queste comorbidità possono riguardare pure i ragazzi. Ragazzi con patologie di vario tipo, infiammatorie o su base autoimmune, con diabete, obesità o altro. Scongiurare l’infezione è fondamentale”.
Soprattutto nel corso della prima ondata, ricorda Castelvecchio, “il virus induceva una cascata infiammatoria abnorme con complicanze gravi o perfino letali. Oggi si fa presto a dire che il vaccino non serve.
Se lo avessimo avuto ai tempi delle prime ondate, probabilmente molte vite si sarebbero salvate. Al momento mi preoccuperei di più dell’eredità che la pandemia ci lascerà in termini di postumi nelle persone che sono state gravemente colpite dal virus. Lo vedremo nei prossimi anni”.
Ma i riflettori al momento sono puntati sugli eventi avversi post vaccinazione. E in particolare sulle miocarditi e pericarditi. “Negli ultimi mesi in ambulatorio vediamo persone che hanno avuto Covid, con o senza postumi da long Covid, persone che hanno fatto anche il vaccino, persone che potrebbero aver avuto l’infezione senza saperlo – elenca Castelvecchio – Stabilire un nesso col vaccino o con la malattia è in tutti i casi difficile. Al netto di questo, le forme che vediamo, lo ribadisco, sono molto sfumate”.
L’Agenzia europea del farmaco Ema, conclude l’esperta, “segnala dopo il vaccino Pfizer una frequenza di 1 caso su 175mila dosi: è un’incidenza bassissima, per una condizione assolutamente non grave.
Quanti vaccini invece abbiamo fatto tutti noi e abbiamo fatto fare ai nostri figli normalmente senza porci problemi? E’ vero, trattasi di vaccini sperimentati in tempi più lunghi, ma è pur vero che il problema degli eventi avversi non è mai stato così sentito. Perché farlo con questi – chiede – di fronte a una vera emergenza sanitaria?”.
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