Lo studio su Lancet: la variante inglese più contagiosa ma non più pericolosa per i giovani
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Lo studio su Lancet: la variante inglese più contagiosa ma non più pericolosa per i giovani

Il fatto che più pazienti di età pari o inferiore a 18 anni siano stati ricoverati "potrebbe essere dovuto", secondo gli autori, "alla maggiore prevalenza di Sars-CoV-2 all'interno della nostra comunità locale.

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26 Febbraio 2021 - 15.10


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Un gruppo di esperti del King’s College Hospital di Londra ha pubblicato uno studio su The Lancet Child and Adolescent Health che la mutazione del Coronavirus detta ‘variante inglese’ è sì più contagiosa ma non più pericolosa per i più giovani. 
I dati raccolti dalla struttura, che risultano “in linea” con i primi a livello nazionale, suggeriscono che “l’infezione con la variante B.1.1.7” di Sars-CoV-2, il mutante britannico, “non si traduce in un decorso clinico sensibilmente diverso” rispetto a quello causato “dal ceppo originale” di nuovo coronavirus. Sviluppare Covid con forme respiratorie acute gravi “rimane un evento raro nei bambini e nei giovani”.

L’impatto clinico della variante Uk sugli under 18 “deve ancora essere definito con completezza”, spiegano gli autori dell’articolo, sottolineando che le notizie diffuse dai media in merito all’aumento dei ricoveri in ospedale e di malattie più gravi in bimbi e giovani “hanno creato confusione nel pubblico”. Una situazione di “incertezza” che “ha reso necessaria una dichiarazione pubblica del Royal College of Paediatrics and Child Health”, ricordano.

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Gli esperti evidenziano che il mutante inglese di Sars-CoV-2 “rappresenta, secondo le stime, il 70% delle infezioni nella regione di Londra nel gennaio 2021”. E’ quindi “importante chiarire rapidamente il reale impatto della seconda ondata epidemica su bambini e giovani, nel contesto di un’elevata prevalenza della variante B.1.1.7”. Il King’s College Hospital, che è “situato nel sud di Londra in un’area ad alta prevalenza di malattie” e che “ha ricoverato un gran numero di pazienti in entrambe le ondate”, ha così deciso di offrire il suo contributo.

“Tra il 1 marzo e il 31 maggio 2020 – riportano i firmatari dell’intervento – 20 bambini e giovani (età pari o inferiore a 18 anni) positivi a Sars-CoV-2 sono stati ricoverati al King’s College Hospital, mentre tra il 1 novembre 2020 e il 19 gennaio 2021 la struttura ha ricoverato 60 bambini e giovani positivi al virus. Non sono state riscontrate differenze significative” in termini di età, percentuale di pazienti con altre patologie concomitanti o con particolari caratteristiche di etnia e stato sociale. Le situazioni di Covid-19 che richiedevano ossigenoterapia o supporto ventilatorio “erano rare in entrambe le ondate”, e anzi la proporzione di questi casi gravi rispetto al totale ricoveri appariva “inferiore nella seconda ondata rispetto alla prima”.

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Il fatto che più pazienti di età pari o inferiore a 18 anni siano stati ricoverati in ospedale nel periodo novembre-gennaio “potrebbe essere dovuto”, secondo gli autori, “alla maggiore prevalenza di Sars-CoV-2 all’interno della nostra comunità locale. In effetti – puntualizzano – anche il numero di pazienti adulti ricoverati al King’s College Hospital nella seconda ondata è aumentato di circa un terzo”.

 

 
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