Lunedì scorso un comunicato stampa dell’Università di Hong Kong ha diffuso la notizia che un uomo di 33 anni “ha avuto un secondo caso di infezione, diagnosticato 4 mesi e mezzo dopo il primo episodio” di Covid-19. Lo studio verrà pubblicato sulla rivista Clinical Infectious Diseases e l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ha diffuso conferme né conclusioni. Nell’attesa di conoscere dati e informazioni scientifiche completi, abbiamo chiesto un parere al professor Roberto Cauda, ordinario di Malattie Infettive all’Università Cattolica.
Ecco l’intervista di Federica Mancinelli sull’www.huffingtonpost.it/
Professore, da lunedì la domanda che tutti si fanno è: ci si può contagiare di nuovo con il coronavirus responsabile di Covid-19? E quanto dura, dunque, l’immunità? Al momento il caso di Hong Kong è l’unico a essere documentato. È possibile il caso di reinfezioni con altri coronavirus?
In linea teorica vista anche questa recente, al momento, singola segnalazione è possibile la reinfezione con Sars-CoV-2, tenuto conto anche che in letteratura sono apparsi articoli scientifici che dimostrano un progressivo calo della concentrazione degli anticorpi neutralizzanti Sars-Cov-2 soprattutto nelle persone che hanno sofferto di una malattia lieve rispetto a quelle che hanno avuto forme più gravi. Ritengo tuttavia, sulla base della rarità delle segnalazioni, che questa re-infezione sia assai infrequente per Sars-Cov-2, mentre sappiamo che non è poi così rara per gli altri coronavirus, dal momento che, causando forme cliniche assai modeste, l’immunità è di breve durata.
La notizia che tutti aspettiamo è quella di un vaccino contro la Covid-19: a questo punto, se altri casi di re-infezione venissero confermati, sorge il dubbio sulla durata della protezione e sulla possibilità di raggiungere la sperata immunità di gregge
Al momento non ci sono dati che assicurino circa la durata della protezione e quale sia la percentuale di soggetti protetti per raggiungere l’immunità di gregge. Non conosciamo quale sia il titolo anticorpale protettivo e non sappiamo se entrano in gioco anche altri meccanismi di protezione immunitaria, come l’immunità cellulare. Pur tenendo in debita considerazione questo, ripeto singolo, caso di re-infezione segnalato ad Hong Kong non credo che questo intacchi la validità di un futuro vaccino anti Covid-19. Va infatti segnalato che il caso documenta la re-infezione ma con assenza di malattia il che non è un particolare trascurabile. E’ come se il soggetto che si re-infetta mantenesse una sorta di “protezione” che non impedisce l’infezione, ma non dà luogo alla malattia. Esistono già esempi di vaccini che agiscono in questo modo.
In caso di “doppio contagio”, anche una persona precedentemente ammalata e poi guarita dovrebbe dunque vaccinarsi e, comunque, continuare ad applicare come tutti le raccomandate misure di prevenzione: distanziamento sociale, igiene delle mani e degli ambienti, uso delle mascherine.
Per quanto attiene la vaccinazione al momento non essendo disponibile alcun tipo di vaccino non si può esprimere alcun parere circa la necessità o meno di questa. Nella fattispecie del caso di una re-infezione, se si dimostra la presenza del virus nel tampone è prudente mettere in atto tutte le misure di prevenzione al fine di impedire il contagio.
Alla vigilia della riapertura di scuole e università e del rientro al lavoro, in ufficio e nei luoghi comuni, di milioni di persone sono aumentate attenzione e apprensione: alla luce di tutto, quali sono le indicazioni e le misure da osservare e applicare per i prossimi mesi?
In attesa di una protezione vaccinale che non sarà verosimilmente disponibile nell’immediato, è importante che i singoli, con grande senso di responsabilità, osservino scrupolosamente le misure di prevenzione, cioè: uso della mascherina, distanziamento di sicurezza, lavaggio delle mani, evitare gli assembramenti. Sarà inoltre importante, previo confronto con il proprio medico, attuare la vaccinazione anti-influenzale che, pur non proteggendo da Covid-19, riduce il rischio di una patologia respiratoria che potrebbe essere confusa con quest’ultima creando problemi di diagnosi differenziale e nel contempo portare ad un “ingorgo” delle strutture sanitarie.
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