Dopo un mese di lockwown ecco di cosa dobbiamo preoccuparci e di cosa no
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Dopo un mese di lockwown ecco di cosa dobbiamo preoccuparci e di cosa no

L'epidemiologo Pier Luigi Lopalco spiega come sta andando la curva epidemica e le misure che si prevedono per la ripresa. Mascherine sì, anche sciarpe . Guanti no, possono essere controproducenti.

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6 Aprile 2020 - 19.47


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Si avvicina Pasqua e un mese di lockdown per contenere la diffusione del nuovo coronavirus: l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco spiega come sta andando la curva epidemica. E il professore, ordinario di Igiene a Pisa, volato a Bari per aiutare la sua Puglia, ci dice anche quello di cui dobbiamo davvero preoccuparci e quello di cui invece, a sorpresa, non dobbiamo.
“A livello nazionale il trend è abbastanza stabile, un trend in diminuzione che ovviamente trova un ostacolo a diminuire velocemente per una semplice ragione: fino ad ora l’epidemia italiana era trainata dalla Lombardia, in questo momento stiamo osservando in modo più evidente il contributo all’epidemia che tutte le regioni stanno dando, poiché nelle altre regioni fin dall’inizio abbiamo avuto una curva piuttosto appiattita, quello che si vede ora è soprattutto questa curva appiattita, una curva che scende molto lentamente”. E questo è lo specchio di come è circolato diversamente il virus: “Al sud le epidemie sono state per trasferimento di casi dal Nord, il virus nel nord si è diffuso per continuità, come una macchia d’olio. Al Sud ci sono state scintille che hanno causato altri focolai”.
Significa che anche in uscita dal lockdown si dovranno usare strategie diverse per il Nord e Sud: “Non è detto, alla fine dei conti gli andamenti epidemici si allineeranno, diventeranno un po` sincroni. Anche nella stessa Lombardia ci sono regioni più colpite e altre con un andamento più simile al Piemonte o all’Emilia e Toscana. C’è una situazione molto variegata. Io credo che alla fine si arriverà alla chiusura della curva epidemica in maniera abbastanza sincrona”.
E quando la curva epidemica si chiuderà “si potrà avviare una ripartenza con una strategia che già in questi giorni sono certo si sta ragionando”. Ma la ripartenza “è un problema complesso – avverte Lopalco – non si può semplificare, non sarà una App che risolverà la vita degli italiani. Bisognerà mettere in sicurezza tutti i settori produttivi che dovranno ripartire per primi, bisognerà evitare che ci siano focolai nella popolazione, mettere in sicurezza ospedali e Rsa, le residenze per anziani e con persone con disabilità, si è visto quanto sono state fragili. Dobbiamo imparare da quello che è successo dalla prima ondata per evitare che se ne verifichi una seconda”.
E mascherine per tutti? “Ovviamente. L’utilizzo delle mascherine, il fatto di coprire naso e bocca quando si è a meno di un metro di distanza da un’altra persona farà parte della parte della nostra vita per i prossimi mesi”.
Ma senza mascherina vanno bene anche mezzi di fortuna come foulard o sciarpe? “Assolutamente sì, meglio che niente”, assicura l’epidemiologo, e non solo lui: “C’è un bel video – ricorda – che ha diffuso il Cdc, Centro di controllo per le malattie americano, dove fanno vedere come con un foulard e due elastici gli abitanti di New York possono simulare l’effetto di una mascherina chirurgica. Quindi un foulard ben ripiegato con più strati tenuto alle orecchie con due elastici che copra naso e bocca può fare tranquillamente il mestiere di una mascherina chirurgica. Chiaro che le mascherine chirurgiche sono meglio, sono fatte apposta, ma in assenza anche un foulard ripiegato va bene”.
Difficile da accettare per tutti quelli che ormai hanno una cultura (fai-da-te) sulle mascherine Ffp2, Ffp3… davvero funziona il foulard? Ma la dimensione micron del virus non passa? “Attenzione, non bisogna filtrare il virus, staremmo freschi, bisogna fermare le droplets, le goccioline. Il virus si trasmette perché è contenuto in queste goccioline, queste dobbiamo filtrare”.
“I filtri Ffp2, Ffp3 – spiega l’epidemiologo – servono per chi assistendo i malati deve proteggersi non soltanto dalle droplets ma anche dagli aerosol, che sono goccioline sottilissime che rimangono anche sospese nell’aria e che possono essere emesse dal malato in ospedale che tossisce quando ha una polmonite o durante alcune manovre che si fanno in ospedale, manovre invasive come l’intubazione con cui si va direttamente nei bronchi e lì possono generarsi degli aerosol”.
E per chi non è convinto Lopalco ribadisce: “L’infettività di un malato di polmonite che tossisce è completamente diversa, un medico che è a contatto con un malato di polmonite che ha un accesso di tosse la quantità di virus che emette è enorme, è completamente diverso da quello che può succedere in comunità con una persona che parla e che non ha sintomi”.

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Di converso neanche si può sottovalutare la vicinanza di chi apparentemente sta bene perché “parlando si trasmette”, dice l’epidemiologo, sulla stessa riga del massimo esperto Usa Anthony Fauci. “Io -spiega Lopalco – quando parlo emetto droplets e proprio lì il problema anche parlando, io sono asintomatico, magari avrò la febbre tra 24-48 ore, mi faccio una bella chiacchierata, mi faccio una bella risata, alzo la voce, magari qualche colpetto di tosse, e in questo modo io emetto una bella quantità di droplets a favore del mio interlocutore. Non a caso nei paesi orientali, come Giappone, Sud Corea dove si portano le mascherine la malattia non si è trasmessa così tanto non ci si sono stati così tanti problemi. Uno degli elementi di successo del contenimento dell`epidemia è il fatto che tutti sono abituati da anni a indossare le mascherine in pubblico”.
I guanti? “I guanti è meglio di no, sono deleteri se non si sanno usare, qui ammetto la mia personale antipatia nei confronti dei guanti utilizzati da chi non li sa usare, danno un falso senso di sicurezza e protezione. E poi uno magari dimentica di non lavare le mani.
Cosa quindi da ribadire: “Lavate le mani”, non a caso il direttore dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus si è speso molto per la campagna #SafeHandsChallenge.
Infine, qualche gatto, due tigri, forse un cane infettati dal coronavirus… prof Lopalco – come è conosciuto sui social – quasi non ne vuole parlare: “Io direi di sorvolare su questo. E` una questione di lana caprina quella degli animali. Lo sappiamo tutti, lo abbiamo sempre saputo che gli animali hanno i recettori per il coronavirus, i coronavirus sono più diffusi fra gli animali che nell’uomo. Ma questo cosa vuol dire? Il mio cagnolino, ammesso che abbia il coronavirus, da chi se lo prende? Da me e chi dovrebbe andare ad infettare? Anche volendo qual è il significato epidemiologico di questa cosa? E` un’evidenza, e un’evidenza a cui non bisogna dare valore: perché altrimenti rischiamo che un imbecille non capisce quello di cui stiamo parlando e abbandona cani e gatti per la paranoia del coronavirus. Il cane – chiosa Lopalco – è un membro della famiglia, quindi anche ammesso che si sia infettato da chi lo ha preso il virus? Se il cane ha il coronavirus il primo ad avere il coronavirus è il padrone”.

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