Il cuore degli astronauti è a rischio
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Il cuore degli astronauti è a rischio

L'apparato cardiocircolatorio è quello più sollecitato in condizioni proibitive come quelle che si incontrano in orbita nella Stazione Spaziale Internazionel.

Il cuore degli astronauti è a rischio
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23 Luglio 2014 - 21.13


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di Eleonora Ferroni

Tra tutti gli apparati e gli organi del nostro corpo, è forse il cuore quello più studiato dagli scienziati. Non sono sulla Terra, ma soprattutto nello spazio. Ebbene sì, gli astronauti che passano mesi e mesi nella Stazione Spaziale Internazionale, e che in futuro viaggeranno anche su navicelle dirette verso altri pianeti, subiscono serie sollecitazioni e cambiamenti in tutto il corpo, ma soprattutto nell’apparato cardiovascolare. Da tempo ormai i viaggiatori dello spazio sono monitorati ogni singolo giorno della missione per controllare il flusso sanguigno, il ritmo cardiaco e l’atrofica del muscolo cardiaco. Pochi mesi fa era stato anche dimostrato dalla NASA che dopo 6 mesi di permanenza nello spazio il loro cuore diventa più sferico. Le conseguenze a lungo termine di questi cambiamenti potrebbero essere molto serie e portare anche a problemi cardiaci più gravi.

Per la prima volta, però, gli scienziati che si occupano dell’esperimento della NASA Cardio Ox si sono chiesti come lo stress ossidativo e le infiammazioni causate dalle condizioni del volo spaziale influenzino i cuori degli astronauti fino a cinque anni dopo il termine della missione sulla Stazione Spaziale Internazionale. Lo stress ossidativo corrisponde a uno squilibrio nella capacità del corpo di gestire i sottoprodotti tossici dal normale metabolismo cellulare. Questo squilibrio produce perossidi e radicali liberi che contribuiscono ad una serie di condizioni degenerative dei tessuti. I dati raccolti in numerosi esperimenti indicano che lo stress ossidativo e la conseguente infiammazione possono accelerare lo sviluppo di patologie come l’aterosclerosi, una malattia in cui la placca si accumula all’interno delle arterie rallentando o bloccando il flusso sanguigno, il che, come è noto, può portare ad attacchi di cuore e ictus. Gli astronauti sono esposti contemporaneamente a tanti fattori dannosi per il corpo, incluse le radiazioni, lo stress psicologico, la ridotta attività fisica (nonostante siano obbligati a praticarla ogni giorno) e, nel caso di attività extraveicolare, maggiore esposizione all’ossigeno.

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L’obiettivo primario dell’esperimento Cardio Ox è proprio comprendere cosa succede al cuore degli esseri umani quando sono in orbita a migliaia di chilometri sopra la Terra. Gli scienziati coinvolti nello studio cercheranno nei fluidi corporei le tracce di questo stress e terranno sotto controllo struttura e funzionalità delle arterie. A capo della ricerca c’è Steven Platt: “Si tratta del primo studio cardiocircolatorio che copre un così lungo periodo di tempo”. Quello che otterranno sarà una “fotografia” di come il cuore e l’apparato cardiovascolare cambiano nel corso del tempo. Dai risultati si potrà constatare se gli effetti dello stress ossidativo peggiorano nel tempo o se gli astronauti soffrono di una forma di infiammazione cronica post-volo.


L’esperimento
. Il gruppo di ricercatori del Johnson Space Center della NASA, in Texas, userà dei biomarcatori specifici nel sangue e nelle urine che indicano l’infiammazione e lo stress ossidativo. Gli stessi campioni biologici saranno prelevati dagli astronauti prima del volo, 15 e 60 giorni dopo il lancio, 15 giorni prima di tornare sulla Terra e, infine, pochi giorni dopo l’atterraggio. L’equipaggio effettuerà anche delle ecografie alla carotide per controllare spessore e dilatazione dell’arteria brachiale. Gli stessi controlli saranno ripetuti su tutti gli astronauti a uno, tre e cinque anni dal volo ritorno sulla Terra. Lo studio a bordo della stazione coinvolgerà un totale di 12 astronauti in tutto per 5 anni. I dati pre-volo forniranno il dato di partenza su cui poi costruire tutto l’esperimento prima dell’esposizione a radiazioni e altri fattori dannosi nello spazio.

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La particolarità di questo studio innovativo, a cui è stata addestrata anche Samantha Cristoforetti (la prossima italiana a raggiungere la SSI), è che molti fattori presi in considerazione che si trovano nello spazio possono influenzare anche altri ambienti di lavoro sulla Terra. Pensiamo a piloti di jet o ingegneri ferroviari, oppure operai che lavorano in una piccola stanza per tutto il giorno in un impianto di radiazioni, o in condizioni uniche come l’Antartide. In tali condizioni l’essere umano è sottoposto a uno stress simile a quello sperimentato dagli astronauti.

Conoscere più dettagli su come lo spazio può causare cambiamenti drastici nel funzionamento del cuore e degli apparati aiuterà gli scienziati a sviluppare misure volte a contrastare gli effetti negativi, sia nello spazio che sulla Terra.

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