Nel corso di un intervento alla “Scuola di formazione politica” della Lega, Matteo Salvini ha commentato l’uso delle manette per accompagnare al Centro per i rimpatri alcuni migranti irregolari con la frase: “Se degli irregolari, clandestinamente presenti sul territorio nazionale, in via di espulsione, con precedenti penali, vengono accompagnati in un centro per rimpatri in manette dov’è il problema? Gli devo mettere l’uovo di Pasqua in mano?”.
Un’espressione volutamente provocatoria, in pieno stile trumpiano, che rientra in una strategia comunicativa sempre più esplicita: mostrare il volto feroce della destra, giustificare l’uso della forza anche quando entra in tensione con i diritti umani, e costruire consenso agitando lo spettro dell’“invasione” e della “tolleranza zero”.
Salvini non fa mistero di ispirarsi al modello statunitense di Donald Trump, sia nei toni sia nei contenuti. Anche in questo caso, l’immagine delle manette diventa un simbolo, un messaggio diretto a un elettorato che chiede “ordine” e “sicurezza”, ma a scapito del rispetto delle garanzie fondamentali. È una linea che punta più alla propaganda che alla reale efficacia amministrativa.
Ed è proprio questo il nodo centrale: chi punta a governare il Ministero dell’Interno, come Salvini ambisce a fare di nuovo, dovrebbe avere come primo obiettivo la tutela dei diritti, l’equilibrio istituzionale e il rispetto della legalità in ogni sua forma, anche – e soprattutto – quando si tratta dei più vulnerabili. Una concezione opposta a quella dell’attuale leader della Lega, che continua a piegare la legalità a una narrazione muscolare e divisiva.
Per questo Salvini, più che una garanzia per la sicurezza, appare ogni giorno di più come il meno adatto a tornare al Viminale.
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