La sinistra in questo dibattito globale non c’è: eppure sarebbe il suo momento
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La sinistra in questo dibattito globale non c’è: eppure sarebbe il suo momento

Il confronto politico ci ha portato in una fase delicatissima e decisiva per il nostro immediato futuro. Si nota però un’assenza: la sinistra in questo dibattito globale non c’è.

La sinistra in questo dibattito globale non c’è: eppure sarebbe il suo momento
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

7 Marzo 2025 - 19.16


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Il confronto politico ci ha portato in una fase delicatissima e decisiva per il nostro immediato futuro. Si nota però un’assenza: la sinistra in questo dibattito globale non c’è. Eppure sarebbe il suo momento:  non ha mai amato l’idea di Occidente e, nonostante la famosa intervista di Berlinguer nella quale affermò che sotto l’ombrello della Nato si sentiva più sicuro, non ha mai amato la Nato. Non si può dire che li abbia rifiutati, questo no; ma credo che chiunque riconosca che non sono mai stati questi i suoi “simboli”, le “parole forti” nelle quali riconoscersi. Se è così, e credo che sia così, come mai la sinistra sembra incapace di dire qualcosa di convincente a questo tempo che ci porta nel “dopo occidente”, nel “dopo Nato” e lo fa con assoluta evidenza? Una risposta può essere che non abbia capito dove siamo; può essere, ma ritengo deleteria l’idea che io capisca e gli altri no. 

Il problema può essere che dopo la lunga stagione del “no” (“la risposta non è l’occidente”, “la risposta non è la Nato”) si sia giunti al momento in cui è necessaria la stagione del “si”, ( la risposta è l’Europa”, “ la risposta è la force de frappe”).  Non si è avuto tempo di pensare al “sì” mentre si ripetevano i propri “no”? Anche dire questo mi sembra spocchioso, presuntuoso: tutti pensano. Il problema a me sembra un altro: la sinistra vive ancora nel mondo dei partiti e si presenta sulla base di mediazioni politico-ideologiche tra i maggiorenti di questo “sistema partito”. Questo ci sarà sempre, ma da tempo, piaccia o no, la politica si fa sulla base della narrazione. Per capire la centralità della narrazione si deve partire dalla scoperta che la politica oggi si fa, purtroppo, intrecciando la politica con la comunicazione. E quello che era il “congresso” è stato sostituito dal momento in cui si sceglie “il candidato” e dal suo modo di presentarsi agli elettori.

 “Mamma mi racconti una favola?” Gli elettori nella democrazia contemporanea sono trattati così. Il candidato è una storia (che molte volte è una favola). Non c’è più un’ideologia da spiegare e usare per vincere. Oggi il candidato, il leader, è una storia. Lo capì alla perfezione Berlusconi, quando mandò a casa di tutti gli italiani una rivista patinata, corredata da tante fotografie, nella quale raccontava la sua storia. La sua storia di imprenditore fattosi dal nulla e che poi aveva fatto tante cose, questo era il suo programma: “io sono come te, ho avuto successo, ma ti propongo un Paese in cui tutti possano tentare questa strada, grazie alla Libertà (il liberismo)”. Era un programma, come lo è stato quello di Obama, che alla sua prima campagna elettorale presentò una storia, la sua, corredata da un metodo, il porta a porta.

Oggi esiste soltanto una storia che piace e che è chiara, quella di Giorgia Meloni. L’ha spiegata lei: è la storia dell’underdog. Ci sono altre storie? L’armocromista di Elly Schlein non è riuscita a incarnare un sinistra moderna, libera dalle pastoie del passato, dal pauperismo e dai suoi riti ormai grigi, lontani. Ma è stata cavalcata soprattutto dagli oppositori, non dagli amici, per farla apparire una storia snob: ne hanno colto il punto debole e lo hanno amplificato, altrimenti quella poteva essere una chiave d’accesso alle cosiddette “persone ordinarie”.

Se la sinistra resta nel mondo delle idee e non delle storie, perde, ma la cosa grave è che resta nel mondo delle idee senza un’idea chiara per il nuovo oggi. Vuoi la Nato? Pensi che il binomio “Occidente e Nato” sia la sola idea per il futuro? Vuoi delegare la forza a Washington e mettere da una parte noi e dall’altra loro? A me sembra che questa idea a Washington non interessi più in questi termini, la accetterebbe se rinunciassimo al nostro unico punto di forza, l’unione economica. La buttiamo a mare per restare con Trump? Oppure pensi che la tua idea sia l’Europa, l’incontro delle diversità che per essere tale deve per forza di cose avere anche una sua deterrenza atomica, una difesa cibernetica e forte di questo andare all’incontro, non allo scontro con gli altri?

Premesso che le idee servono sempre, anche oggi, la storia (o la favola) che si sceglie è quella che deve esprimere queste idee in modo persuasivo, efficace.  Se la sinistra leggesse i romanzi saprebbe che i personaggi dei romanzi che più amiamo ci restano dentro anche se non esistono, modificano il nostro mondo, allargano la nostra realtà. Il dottor Zivago, per fare un esempio, fa parte del mondo di chi lo ha letto.

Non sono tanto gli umori degli ambienti pacifisti, ambientalisti, wookisti che vanno recepiti, mediati, amalgamati in ibridi incomprensibili ai più perché  sbagliare l’impegno per i diritti di tutte le minoranze può portare a dover riconoscere ogni indipendentismo, sbagliare l’impegno per la pace può confonderla con la resa, sbagliare il modo di essere ecologisti può portare a milioni di disoccupati. Dunque il problema è aver un messaggio, un ‘idea davanti alla complessità e gravità del momento e poi trovare un volto, una storia, che la incarni. Ma davvero può funzionare solo così? 

Ai leader della sinistra che usano il papa argentino molto spesso senza capirlo, senza leggerlo, perché gli sembra “vicino”, consiglierei di leggere la sua biografia, “Spera”. Se fosse stato per me l’avrei intitolato “Galleria Bergoglio”: questo libro infatti ci presenta i personaggi, umili per lo più, ma anche grandi, come i campioni di football argentino che andava a vedere allo stadio, che hanno fatto la sua vita. La sua storia alla fine emerge come il prodotto di queste storie, di questi incontri; non ci sono libri, teologi, è una storia fatta di carne, o di carni. Dunque il leader non è necessariamente solo se stesso, un singolo, da pescare qua o là. Questa “Galleria Bergoglio”  ci spiega che può emergere anche così; la sua leadership morale globale si è costruita perché la sua è una storia che esprime e tiene insieme tutte le storie che racconta, anche se a volte divergenti, conflittuali. Più che le nebulose mediazioni tra “diverse sensibilità” – come suol dirsi, lui indica un altro metodo: rispettare le visioni anche conflittuali, capendo che servono entrambe, per portarlo ad un livello più alto, per poi proseguire su questa strada. Perché che delle opposizioni non bisogna aver paura, se non sono contraddittorie. Essere per la difesa ed essere per la pace non è contraddittorio. La storia di Bergoglio ci dice che le  conosce e comprende entrambe. Emerge di qui la sua capacità di leadership morale globale. Come? Non con un documento, ma con la sua storia. 

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