Se la politica distorce la storia: il caso Europa
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Se la politica distorce la storia: il caso Europa

Da un po’ di tempo si sta assistendo a episodi di incauta e improvvisata rivisitazione della storia. Sarà per mancanza di conoscenza specifica, quella che qualcuno chiama ignoranza, o forse per opportunità politica che vengono esternate vere e proprie ere

Se la politica distorce la storia: il caso Europa
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni ed altri azionisti a Ventotene
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6 Giugno 2024 - 16.28


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di Pierluigi Franco

Da un po’ di tempo si sta assistendo a episodi di incauta e improvvisata rivisitazione della storia. Sarà per mancanza di conoscenza specifica, quella che qualcuno chiama ignoranza, o forse per opportunità politica che vengono esternate vere e proprie eresie storiche. E si tratta di eresie pericolose. Ancor più pericolose poiché, in un contesto politico sempre più superficiale e disattento, nessuno obietta e censura questa rilettura audace che tende a portare acqua al mulino di chi vuole riscrivere i fatti a vantaggio delle proprie idee. Ma in un contesto che sembra ormai anestetizzato tutto sembra passare, assai incomprensibilmente, senza indignazione alcuna.

Ne è esempio ciò che si sta ascoltando sull’Europa, con il chiaro intento di dare il colpo di grazia a una realtà che sarebbe dovuta essere forte e che invece è sempre più in affanno, se non addirittura in agonia. Per esempio la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha colto l’occasione del 2 giugno per affermare che la Festa della Repubblica <<ci ricorda anche la prima idea di Europa, che era una idea di Europa che immaginava che la sua forza, la forza della sua unione, fosse anche la forza e la specificità degli Stati nazionali; forse dovremmo tornare a quell’embrione di idea europea e di sogno europeo>>. Peccato che l’idea europea e di sogno europeo di cui parla Giorgia Meloni sia in realtà, da Kant in poi, quella di federalismo e, quindi, di un’Europa concepita come Stato federale e come superamento dei nazionalismi.

Ma c’è anche chi, come Matteo Salvini, scomoda spesso il ricordo di un federalista convinto come Alcide De Gasperi per sostenere tesi anti-degasperiane. Ha ragione il Segretario della Lega a dire che l’Europa che voleva De Gasperi non è certo questa accozzaglia di Stati sovrani senza guida e senza obiettivi, ma dimentica di dire che quel grande statista voleva l’Europa Unita come entità politica federale e sovranazionale.

Allora proviamo a ripercorrere la storia vera, nella speranza che qualcuno nel confuso contesto politico sappia tornare a mettere ordine. Cominciamo col dire che quella di un’Europa politicamente unita è un’idea antica. In un’ottica storicistica pura prende le sue mosse in periodo medievale con il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, caratterizzato da una solida autorità centralizzata e dalla coscienza che un’Europa coesa è garanzia di pace e prosperità. Ma è nel XVIII secolo che la moderna idea di Europa comincia a prendere una forma più decisa grazie alla spinta fornita dall’Illuminismo. Di fronte ai conflitti dei secoli precedenti, i pensatori settecenteschi cominciano infatti a elaborare scientificamente un progetto finalizzato a garantire la pace in Europa. Uno di questi è Jean Jacques Rousseau che riporta alla pubblica attenzione, sia pure in chiave critica, il prezioso lavoro di Charles Irénée Castel de Saint-Pierre, meglio conosciuto come l’Abbé de Saint-Pierre, dal titolo più che esplicito: Projet pour rendre la paix perpétuelle en Europe.

Proprio l’Abbé de Saint-Pierre ispira anche Immanuel Kant con il quale si ha la definitiva messa a fuoco del concetto di pace legato strettamente al federalismo europeo. Non a caso Kant pubblica nel 1795 un lavoro che sembra ricalcare nel titolo quello di Saint-Pierre: Per la pace perpetua. Kant elabora con chiarezza il concetto di federazione di Stati in un contesto di diritto internazionale che possa essere garante di equilibri, di crescita e di pace. In realtà, quando il filosofo tedesco pubblica questo lavoro, è già nato il primo Stato federale, con la Costituzione americana scaturita dalla Convenzione di Filadelfia nel 1787, racchiudendo in un corpo unico ben 13 nazioni.

Di certo la situazione americana è favorita dal fatto di essere una realtà nuova, creata da coloni europei di stampo anglosassone. Assai differente è la situazione europea, erede di una storia e di una cultura millenaria troppo frammentata e legata a interessi territoriali e nazionali, come conflitti e invasioni hanno sempre dimostrato. Per questo in Kant quello della pace resta il punto chiave, l’ideale principale da far valere in un auspicabile rapporto giuridicamente paritetico fra gli Stati. Un punto dal quale scaturisce anche lo sviluppo positivo del contesto economico-sociale.

Su queste basi, già all’inizio del XIX secolo, il concetto di federalismo viene ripreso dagli esponenti del “socialismo utopistico”. In qualche modo di federalismo parla Henri de Saint-Simon propugnando, assieme al suo segretario e collaboratore Augustin Thierry, un’Europa nella quale tutte le nazioni possano riconoscere la supremazia di un Parlamento generale posto al di sopra di tutti i governi nazionali. 

Non sono pochi i pensatori che a metà dell’Ottocento ritengono realizzabile un programma federalista. La posizione più chiara è senz’altro quella espressa da Carlo Cattaneo che parla della possibilità di arrivare agli Stati Uniti d’Europa su modello di quanto è avvenuto in America. Il suo pensiero, che nega sostanzialmente il concetto di “contratto sociale” elaborato da Thomas Hobbes e da Rousseau, ritiene la società fondata sul “federalismo delle intelligenze umane” garantito dal confronto delle idee. Partendo da questo concetto, Cattaneo elabora allo stesso modo il concetto di “federalismo degli Stati europei” ritenendolo fondamentale per garantire la libertà del popolo e la libertà economica che garantiscono crescita e benessere. I suoi esempi di riferimento, condivisi da Giuseppe Mazzini, sono gli Stati Uniti d’America e la Confederazione Svizzera. 

Nella prima metà del Novecento le basi del pensiero per un’Europa unita le getta un nobiluomo austriaco, Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi. Prendendo in considerazione la tragedia della Prima Guerra Mondiale, egli elabora l’idea della “Paneuropa” e, nel 1923, fonda il movimento “Unione Paneuropea Internazionale” nella convinzione che l’Europa uscita dalla guerra non è al sicuro e i nazionalismi rischiano di riaccendere i conflitti se non si arriverà a una unione degli Stati europei. Con lui si torna a parlare dell’idea di Stati Uniti d’Europa. Il movimento di Coudenhove-Kalergi ha un notevole seguito tra le personalità di cultura del tempo. A dargli fortemente credito tra i politici è il diplomatico francese Aristide Briand, già Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, presentando nel 1929 il progetto di “Paneuropa” a Ginevra in sede di Società delle Nazioni. Briand crede fortemente nella possibilità di arrivare a costituire gli Stati Uniti d’Europa e continua a battersi per la pace tanto da ricevere nel 1926 il “Premio Nobel” assieme al Ministro degli Esteri tedesco Gustav Stresemann. Ideali di pace e sogni europeisti che si infrangeranno di lì a poco con l’avvento del Nazismo, mentre il Fascismo sta già prendendo piede.

A Coudenhove-Kalergi si deve anche il progetto di un’autorità europea in grado di gestire carbone e acciaio, con l’idea di far superare la reciproca ostilità di Germania e Francia sulle risorse contese, gettando così le basi per quella che diventerà nel 1952 la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca). È sempre lui, nel 1929, ad avere l’idea di creare un inno europeo e di adottare l’Inno alla gioia di Friedrich Schiller musicato da Ludwig van Beethoven nel quarto movimento della sua Nona sinfonia in re minore op. 125, che sarà anche l’ultima del grande musicista.

I timori di Coudenhove-Kalergi si avverano con l’apoteosi dei nazionalismi che dagli anni ‘30 riaccendono i focolai di odio in Europa interrompendo ogni possibilità di dialogo costruttivo e sfociando, nel settembre 1939, nell’invasione della Polonia da parte della Germania nazista che dà il via alla Seconda Guerra Mondiale.

Ma anche l’Italia ha federalisti europei assai autorevoli. Il 20 agosto 1897 compare sul quotidiano torinese La Stampa un articolo che parla dell’idea di Stati Uniti d’Europa. A firmarlo è il futuro Presidente della Repubblica italiana Luigi Einaudi. All’epoca Einaudi ha soltanto 23 anni e, anche se lo scritto non ha ancora i caratteri di maturità, è un punto di riferimento per rilanciare il discorso di Europa unita.  Nell’articolo Einaudi traccia quella che, a suo modo di vedere, è la differenza tra “federalismo”, inteso come entità politica che unisce, e “confederalismo”, ritenuto invece divisivo. Per questo comincia a schematizzare quel progetto federalista europeo che sarà poi sviluppato ritenendolo strumento ineludibile per la pace in un’Europa vittima di conflitti e di odio nazionalistico.

In due articoli pubblicati sul Corriere della Sera il 5 gennaio e il 28 dicembre 1918, Einaudi insiste sulla inefficacia delle coalizioni di Stati, portando a dimostrazione la storia di tutte quelle aggregazioni create nel passato e sciolte a fronte di inevitabili contrasti tra enti che hanno potere decisionale nazionale. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, probabilmente convinto che quella devastazione abbia favorito il ritorno al buonsenso, Luigi Einaudi torna sul superamento in Europa delle logiche statalistiche nazionali. Egli invita la politica ad avviarsi verso una federazione europea che ponga al suo vertice un Governo sopranazionale al quale devono essere demandate le politiche più importanti dal punto di vista strategico, come quelle economiche e di difesa. Da economista è convinto che uno Stato europeo, quindi uno Stato più grande, possa portare quello sviluppo produttivo e sociale che è invece precluso a uno Stato piccolo. Il 4 aprile 1948, in un articolo apparso sul Corriere della Sera con il titolo Chi vuole la pace?, Einaudi invita i politici ad appoggiare l’idea di Stati Uniti d’Europa: <<Se la risposta è affermativa e alle parole seguono i fatti, voi potete veramente, ma allora soltanto, dirvi fautori della pace. Il resto è menzogna>>. 

Luigi Einaudi si colloca dunque tra i più importanti propugnatori del federalismo europeo. Come riferirà Altiero Spinelli, dal suo pensiero e dai suoi scritti prenderà spunto il Manifesto di Ventotene con il quale viene tracciato con precisione il programma per la realizzazione dello Stato federale europeo e viene dato il via a quel “Movimento federalista europeo” che vedrà Einaudi tra i primi aderenti.

Ma nella prima metà del XX secolo un altro grande pensatore, Benedetto Croce, si fa portavoce dell’europeismo. D’altra parte il concetto di Europa come entità culturale di riferimento è presente in Croce fin dalle prime manifestazioni di pensiero. È però nella sua Storia d’Europa nel secolo decimonono che lancia a chiare lettere il messaggio di superamento dei nazionalismi tradizionali e deleteri a favore di una <<nuova nazionalità>> europea. È la filosofia storicistica, il ragionamento minuzioso e fondato sui fatti politici e culturali, che porta Benedetto Croce a elaborare il concetto di Europa come ideale superiore che deve garantire <<pace ed alleanza tra gli Stati dell’Europa>> attraverso una distinzione netta tra i due concetti di nazionalismo e patriottismo. Per Croce, infatti, se il patriottismo rappresenta fondamentalmente amore per la libertà, spinta al superamento della sopraffazione e attaccamento alla propria terra, il nazionalismo rappresenta invece l’esatto contrario, sempre teso al soffocamento delle libertà, all’aggressione e alla sopraffazione degli altri popoli. È dunque nel superamento del nazionalismo che Benedetto Croce vede la condizione per arrivare alla Patria Europa, intesa come entità statuale superiore, ma sempre formata da tante piccole patrie in cui ogni popolo potrà riconoscere e mantenere la propria cultura e i propri costumi.

Sulla base di questa evoluzione di pensiero è Altiero Spinelli ad avere l’idea di mettere mano a un programma preciso di Europa federale. Così il Manifesto di Ventotene prende forma nell’inverno 1940-1941 con la proposta di Spinelli a Ernesto Rossi, confinato con lui nell’isola di Ventotene, di stilare insieme un Manifesto per un’Europa libera e unita da immettere nei canali della clandestinità antifascista sul continente. I due lavorano al documento assieme a Eugenio Colorni, altro illustre confinato sull’isola, e in sei mesi arrivano alla stesura definitiva. Come si è visto, a ispirare il manifesto è soprattutto la lettura degli scritti di Luigi Einaudi. Dopo la liberazione dal confino seguita alla caduta del fascismo, Spinelli non vuole perdere tempo nel dare concretezza al Manifesto attraverso una struttura organizzativa sia pure ancora clandestina. Appena otto giorni dopo la liberazione da Ventotene nasce così il “Movimento federalista europeo” frutto di una riunione segreta tenuta il 27 e 28 agosto 1943 a Milano, nell’abitazione di Mario Alberto Rollier. Con Spinelli, Rossi, Colorni e Hirschmann, al Movimento federalista aderiscono presto personalità di rilievo tra i quali lo stesso Luigi Einaudi, Adriano Olivetti, Leone Ginzburg, Vittorio Foa, Ignazio Silone e Leo Valiani. Subito dopo prende forma in Svizzera il primo nucleo di “Movimento federalista internazionale” e nel maggio del 1944 si arriva alla “Dichiarazione di Ginevra”, frutto di riunioni clandestine in casa del teologo olandese e Segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese, Willem Visser’t Hooft, riparato in Svizzera per la sua attività antifascista e antinazista. La Dichiarazione punta alla <<creazione di una Unione federale fra i popoli europei>>, ricalcando i punti già individuati da Einaudi e dal Manifesto di Ventotene. In pratica, secondo la “Dichiarazione di Ginevra”, l’Europa federale dovrà avere un Governo sovranazionale, un Esercito comune che escluda ogni altro Esercito nazionale e un Tribunale supremo che dovrà giudicare tutte le questioni relative all’interpretazione di una Costituzione federale e risolvere i contrasti tra gli Stati membri o fra gli Stati e la Federazione. Tra i nomi di personaggi di cultura che aderiscono al pensiero europeista già nel 1945 ci sono il filosofo cattolico Emmanuel Mounier e lo scrittore Albert Camus, ma anche lo scrittore britannico Eric Arthur Blair, meglio conosciuto con lo pseudonimo di George Orwell.

Vale la pena ricordare anche l’importante discorso di Winston Churchill all’Università di Zurigo nel settembre del 1946, forse dimenticato dai più ma assai attuale. Per il grande statista britannico l’Europa non deve più guardare al terribile passato di odio e pensare ancora alle vendette, ma guardare avanti per <<costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa>> e ricreare in tal modo le condizioni per <<una grande famiglia europea>>. 

Passa qualche anno e quell’idea di Europa Unita riprende slancio. È il Ministro degli Esteri francese, Robert Schuman, che il 9 maggio 1950, in un discorso passato alla storia come “Dichiarazione Schuman” elaborato con Jean Monnet, propone la creazione di un’Alta Autorità per mettere in comune le risorse di carbone e acciaio di Francia e Germania al fine di superare definitivamente le storiche rivalità tra i due Paesi che sono state fonte di conflitti. Si tratta della prima posizione politica ufficiale nella quale si parla di unione economica e, in prospettiva, di unione politica tra i vari Stati d’Europa. Di fatto è il punto di partenza del processo di integrazione europea, subito recepito come tale dalla Germania che ha in tal modo la possibilità di rientrare nel contesto internazionale postbellico, dall’Italia, dal Belgio, dall’Olanda e dal Lussemburgo. L’idea di unione comincia così a prendere forma con quella che viene definita la “Piccola Europa” dei sei.

Appena un mese dopo, il 20 giugno 1950, cominciano a Parigi, sotto la presidenza di Jean Monnet, i negoziati che porteranno alla stesura del trattato della Comunità economica del carbone e dell’acciaio. L’entusiasmo del momento, che appare particolarmente positivo per gli sviluppi del percorso verso l’unione politica europea, porta il Primo ministro francese, René Pleven, in collaborazione con il collega italiano Alcide De Gasperi e ancora una volta su indicazione di Monnet, a proporre una Comunità europea di difesa (Ced). Ma il progetto di Esercito comune, che prevede la possibilità di riarmo anche della Germania Ovest, fallisce al momento della realizzazione a causa del ripensamento proprio della Francia, impegnata militarmente nella disastrosa guerra in Indocina. Il 30 agosto 1954, sulla base di una semplice mozione di procedura, l’Assemblea nazionale francese respinge il progetto di Comunità europea di difesa. Tale azione fa crollare anche l’idea di una Costituzione per la nascita della Comunità politica europea sulla quale stavano già lavorando De Gasperi, Schuman e il tedesco Konrad Adenauer su mandato del Consiglio dei ministri della Ceca.

In ogni caso l’azione diplomatica non si ferma. E ancora una volta il merito è di Jean Monnet che incoraggia il Ministro degli Esteri olandese, Jan Willem Beyen, a lanciare nel maggio del 1955 la creazione di un Mercato comune europeo proponendolo, su mandato anche dei governi di Belgio e Lussemburgo, a Italia, Francia e Germania. Così il 25 marzo 1957, grazie anche all’opera del Primo Ministro belga Paul-Henri Spaak, vengono firmati a Roma i due Trattati con i quali nasce ufficialmente il primo nucleo di Europa unita: il primo trattato segna la nascita della Comunità economica europea (Cee), il secondo istituisce la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). L’obiettivo dei firmatari è quello di avviare, dopo l’unione economica, anche l’iter di quella politica per arrivare al famoso Stato federale tanto auspicato. 

Nei primi anni ‘60 chi sembra credere nella possibilità di arrivare presto agli Stati Uniti di Europa è il Presidente americano, John Fitzgerald Kennedy. Parlando il 4 luglio 1962 a Filadelfia per la ricorrenza della Dichiarazione di Indipendenza americana, Kennedy fa infatti proprie le tesi della corrente “europeista” di una parte (molto esigua) dei politici statunitensi e si dice chiaramente favorevole a un legame diretto e non di dipendenza delle due sponde dell’Atlantico affermando che gli Usa <<non considerano un’Europa forte e unita come rivale, ma come partner>>.  Per Kennedy gli Stati Uniti sono pronti a confrontarsi e a discutere con <<un’Europa Unita i modi e i mezzi per costituire una concreta partnership atlantica, un’associazione di reciproco vantaggio tra la nuova Unione in via di formazione in Europa e la vecchia Unione americana>>. Un discorso di collaborazione paritetica che, nel futuro, non troverà facile applicazione per quella potente parte di America che, consapevole del proprio vantaggio, non accetta l’idea di un’Europa forte. Dunque, venga pure un’unione europea “di facciata” composta ancora da tanti Stati indipendenti, ma un’unione politica è senz’altro da temere per chi è consapevole della forza contrattuale che il Vecchio Continente potrebbe assumere. Sarà questo, dietro le quinte, il vero problema dell’Europa che vuole unirsi ma non ci riesce, condannata a restare uno strano ibrido istituzionale.

Il processo di integrazione riprende nel 1973 con l’adesione di Danimarca, Irlanda e Regno Unito. Nel dicembre 1974, al vertice di Parigi, viene deciso di cominciare ad avviare l’iter per l’elezione di un Parlamento Europeo a suffragio universale e diretto. La decisione è confermata e messa a punto l’anno successivo a Roma, dove i nove componenti della Cee si riuniscono sotto la presidenza di turno italiana guidata da Aldo Moro. L’idea è, ovviamente, quella di dare in ogni caso una svolta importante alla quale far seguire necessariamente un rilancio del progetto federalista. Così il 7 e il 10 giugno 1979 i 180 milioni di cittadini dei Paesi Cee eleggono il primo Parlamento europeo. In realtà, nonostante l’importanza sotto il profilo dell’immagine, il Parlamento Europeo resta uno strumento poco incisivo in assenza di uno Stato vero e proprio.

Intanto si allarga la famiglia europea e nel 1981 anche la Grecia aderisce alla Cee, seguita nel 1986 da Spagna e Portogallo. 

Ma è alla fine degli anni ‘80 e nei primi anni ‘90 che si hanno una serie di svolte destinate a pesare sul futuro dell’Europa. Nel 1989, infatti, cade il muro di Berlino con la conseguente riunificazione della Germania. Due anni dopo si ha la disgregazione dell’Unione Sovietica e della Jugoslavia, con la fine degli Stati comunisti. Nella ex Jugoslavia, in particolare, si accentuano i conflitti sulla spinta di un pericoloso ritorno ai nazionalismi sui quali pesano, come sempre accade in questi casi, forti interessi geopolitici esterni. 

In ogni caso l’Europa continua sulla sua strada e il 7 febbraio 1992 a Maastricht, nei Paesi Bassi, viene firmato il “Trattato sull’Unione europea”. È un evento che viene salutato con grande entusiasmo. Certamente si tratta di una tappa importante, costituendo le basi di un programma politico che sarà però destinato ancora una volta a rimanere sostanzialmente confuso in mancanza di uno Stato federale. Il trattato stabilisce infatti le regole per la creazione di una moneta unica, di una politica estera e di sicurezza comunitaria e di una maggiore cooperazione su giustizia e affari interni senza prevedere nel concreto una connotazione statuale. Il “Trattato di Maastricht” entra in vigore nel novembre 1993 facendo nascere ufficialmente l’Unione Europea. Le speranze sono tante, ma il tempo dimostrerà che non si tratta certamente dell’Unione Europea che era nelle idee dei padri fondatori. Le decisioni di Maastricht saranno successivamente modificate con il Trattato di Nizza del 2001 e con il Trattato di Lisbona del 2007 che prova a dettare in qualche modo le linee di una Carta costituzionale in sostituzione di una Costituzione europea bocciata nel 2005 dai referendum in Francia e Olanda.

Nel 1995 il quadro delle adesioni all’Unione europea sembra completarsi con l’ingresso di Austria, Finlandia e Svezia. In realtà qualcuno, magari non in Europa, sta già lavorando all’ingresso in massa di altri Paesi che forse non hanno alcuna idea di quella famosa coscienza europeista tanto cara ai padri fondatori. 

Pur non esistendo ancora uno Stato europeo sovranazionale, sulla soglia del terzo millennio, il 1° gennaio 1999, nasce una moneta comune: l’euro. È la prima volta nella storia che una moneta nasce prima dello Stato. Nel maggio 2004 si ha un enorme e frettoloso allargamento dell’Unione Europea. Con Cipro e Malta entrano per la prima volta Paesi che facevano parte del blocco dell’Est: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Nel 2007 è la volta anche di Bulgaria e Romania e ultima, nel 2013, arriva la Croazia. Qualcuno solleva il dubbio che non tutti questi Paesi sembrano rispondere ai canoni e agli standard previsti per accedere all’Ue ma, incredibilmente, a Bruxelles si chiude un occhio, anzi due. Allargamenti presi con molta leggerezza, senza tener conto che alcuni di questi Stati sono intrisi di nazionalismo e per loro l’Unione europea è soltanto occasione di ricchi finanziamenti. Ma, forse, a decidere è qualcun altro, ben sapendo di minare in tal modo il futuro dell’Unione e precludere definitivamente ogni possibilità di Stato federale. Nonostante sconsiderati entusiasmi per questi nuovi ingressi, il sogno degli Stati Uniti d’Europa sembra paradossalmente essere molto più lontano di quanto non lo fosse cinquant’anni prima.

Intanto, nel giugno 2016, il Regno Unito va alle urne per un referendum che deve decidere sull’uscita del Paese dall’Ue. Il 52% degli elettori vota a favore dell’uscita e il 31 gennaio 2020 Londra lascia l’Unione europea.

La nuova Ue comincia così il suo moderno cammino costellato di ostacoli e contraddizioni favoriti da una politica sostanzialmente inetta, priva di veri statisti, e da indaffarati burocrati senza obiettivi. 

Anche per questo, forse, i novelli politici farebbero meglio a studiare la storia prima di parlare di Europa con troppa faciloneria e superficiale supponenza. E sarebbe ora che qualcuno torni a considerare l’Unione Europea per quello che dovrebbe realmente essere, senza travisare e offendere lo spirito di quei “padri fondatori” nei confronti dei quali sarebbe doveroso rispetto e gratitudine.

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