Valditara propone classi di "transizione" per gli studenti stranieri: "Dobbiamo pensare al bene dei ragazzi"

Valditara propone classi di transizione per gli studenti stranieri: "Il bene dei ragazzi deve prevalere rispetto all'ideologia. Oggi tanti studenti immigrati non hanno un futuro: dobbiamo restituirglielo".

Valditara propone classi di "transizione" per gli studenti stranieri: "Dobbiamo pensare al bene dei ragazzi"
Giuseppe Valditara
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29 Febbraio 2024 - 13.37


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Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara propone classi separate “di transizione” per i bambini e ragazzi stranieri. Intervistato da Libero Quotidiano, l’esponente del governo Meloni ha parlato dell’idea, che sembra un modo per accarezzare il proprio elettorato in vista dei prossimi appuntamenti elettorali.

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«Il bene dei ragazzi deve prevalere rispetto all’ideologia. Oggi tanti studenti immigrati non hanno un futuro: dobbiamo restituirglielo. C’è un problema perché l’attuale sistema scolastico penalizza gli studenti stranieri. Sia per quanto riguarda le performance sia per quanto riguarda la dispersione scolastica che secondo l’Istat raggiungerebbe tassi del 30,1 per cento, per i giovani immigrati contro il 9,8 per cento degli studenti italiani. Guardiamo anche ai test Invalsi 2023: in italiano gli immigrati di prima generazione registrano una differenza di rendimento in negativo del 21,9 per cento. In matematica del 13,4. Su queste materie dobbiamo intervenire».

«Dobbiamo capire cosa si fa all’estero per trovare delle soluzioni efficaci. Nei paesi dell’Unione Europea esistono tre modelli: in alcune nazioni gli stranieri vengono inseriti direttamente nelle classi ordinarie, in altre gli studenti provenienti dall’estero seguono per un certo periodo un’offerta scolastica distinta (classi di accoglienza o di transizione)».

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«In molti Paesi infine viene utilizzato un approccio combinato tale per cui gli alunni seguono alcune lezioni nella classe ordinaria e altre nell’ambito di un’offerta separata. L’Italia è nel primo gruppo, assieme a Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Germania e Francia hanno un sistema misto-flessibile, cioè si frequenta solo una parte delle lezioni nelle classi ordinarie. Poi ci sono Paesi più rigidi».

«Ogni scuola dovrebbe verificare all’atto di iscrizione le competenze dei ragazzi immigrati. Dopodichè dovremmo lasciare alle scuole la scelta fra tre percorsi. La prima possibilità ovviamente è quella dell’inserimento tout court nelle classi esistenti, se il tasso di apprendimento della lingua italiana è buono. Se invece ci sono dei deficit molto rilevanti dovremmo pensare a due soluzioni alternative. Il ragazzo straniero viene inserito come tutti in una determinata classe, tuttavia le lezioni di italiano ed eventualmente anche quelle di matematica le frequenta in una classe di accompagnamento con docenti specializzati e una didattica potenziata». L’altra ipotesi potrebbe prevedere di «seguire al pomeriggio attività obbligatorie di potenziamento linguistico extracurricolare. Ovviamente prima di introdurre queste soluzioni occorre avviare un confronto ampio, tenendo sempre presente che per noi l’autonomia scolastica è un punto fermo». 

Alcuni saranno contrari per principio: «Perchè? Noi vogliamo il bene di questi ragazzi, non siamo affezionati a ideologie astratte. I giovani stranieri continueranno a frequentare con tutti gli altri loro compagni le lezioni di storia, di inglese e così via. I test Invalsi ci dicono per esempio che gli stranieri hanno risultati migliori degli italiani in inglese. Ricordo che all’estero si scelgono percorsi molto più drastici. Penso al modello della Svezia, dove ci sono classi collaterali di accompagnamento per tutte le materie e per periodi prolungati. Lo stesso avviene in Belgio».

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«Stiamo ragionando sull’organico necessario. Gli uffici sono già al lavoro per delineare alcune ipotesi. Intanto ci sono risorse nostre per 85 milioni di euro e risorse del ministero dell’Interno dal Fondo asilo migrazione integrazione che gestiamo noi e sono altri 70 milioni di euro. Questa può essere una base di partenza per studiare un progetto realmente inclusivo», conclude Valditara. 

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