Migranti, brava Elly Schlein: hai affondato la "dottrina Minniti"
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Migranti, brava Elly Schlein: hai affondato la "dottrina Minniti"

Discontinuità. Parola chiave, bussola politica per chi intendere davvero operare una svolta di sinistra nel Partito democratico. Ad esempio sulla dottrina Minniti

Migranti, brava Elly Schlein: hai affondato la "dottrina Minniti"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Giugno 2023 - 17.59


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Discontinuità. Parola chiave, bussola politica per chi intendere davvero operare una svolta di sinistra nel Partito democratico.

Discontinuità su temi cruciali, come è quello dei migranti. 

Discontinuità vo praticando

Su questo terreno, Elly Schlein ha operato una discontinuità importante col passato: ha posto fine alla “dottrina Minniti”.

Scrive Luca Pons su fanpage.it: “l Partito democratico abbandona il passato, o perlomeno conferma una tendenza che aveva preso spazio nel partito nell’ultimo periodo: sul memorandum con la Libia e il finanziamento della cosiddetta Guardia costiera libica, la posizione è un secco ‘no’. A sei anni dall’accordo, siglato nel 2017 proprio da un governo a trazione Pd – presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e ministro dell’Interno Marco Minniti – il partito guidato da Elly Schlein ha proposto in commissione una mozione per sopprimere il supporto dell’Italia alle milizie libiche. La maggioranza lo ha bocciato, come era prevedibile, ma resta la decisione politica dei dem di schierarsi contro.

La cosiddetta Guardia costiera libica si è resa protagonista in più di un’occasione di episodi controversi, sollevando il forte sospetto che collabori con gli scafisti e i trafficanti che gestiscono il passaggio di esseri umani nel Mediterraneo. Numerosissime Ong hanno attestato i suoi metodi violenti, e anche le Nazioni unite hanno accertato che in Libia le condizioni delle persone migranti sono inaccettabili dal punto di vista dei diritti umani. Tuttavia, dal 2017 in avanti i governi italiani hanno sempre rinnovato l’accordo su base triennale.

Certo, quello del Pd non è un cambio di linea che si può attribuire solamente alla nuova segretaria. Anche l’anno scorso le commissioni Difesa e Esteri si erano riunite per discutere delle missioni internazionali dell’Italia – come avviene ogni anno, perché va approvato il decreto del governo sul tema. E in quell’occasione i dem, insieme a Movimento 5 stelle e Italia viva, non avevano votato il finanziamento alla cosiddetta Guardia costiera della Libia.

Era stato una sorta di passaggio intermedio, un primo passo: non c’era stata una mozione contraria, ma i rappresentanti del partito avevano lasciato l’aula in segno di protesta. Il deputato Erasmo Palazzotto aveva detto che si trattava di un “segnale forte” e che il Pd si era “dissociato dall’assumere impegni con la Libia”, sottolineando che c’era ancora “molta strada da fare”. D’altra parte, il memorandum è da anni un argomento divisivo anche all’interno dello stesso Pd. L’anno scorso, la ‘fazione’ di chi si opponeva aveva ottenuto l’uscita dall’aula. Quest’anno si è fatto il passo successivo.

L’arrivo di Elly Schlein alla guida dei dem ha infatti confermato, e rinforzato, questa posizione. Già a marzo, poco dopo l’elezione, Schlein aveva dichiarato di voler rappresentare un “Pd che non rifinanzi mai più la Guardia costiera libica”. Oggi, dopo il voto, ha scritto in una nota: “Il Pd oggi in Commissioni riunite Esteri e Difesa ha votato compatto contro il supporto alla Guardia costiera libica”.

“Ancora una volta la maggioranza, bocciando la nostra proposta di soppressione, ha dimostrato di non voler vedere la realtà e si è ostinata ad andare avanti con la sua consueta assenza di una politica migratoria seria e degna di un Paese civile”, ha aggiunto la segretaria. L’esultanza è arrivata anche da Giuseppe Provenzano, responsabile Esteri per il Pd, sui social media”.

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Un’alleanza proficua

E’ quella che su questo terreno è possibile realizzare tra i Dem e i 5Stelle. La missione bilaterale di supporto alla Guardia Costiera libica presenta forti criticità. Siamo da sempre convinti che sia giusto rimanere impegnati su questo fronte, perché se abbandoniamo a loro stesse queste forze libiche, magari lasciando che siano altri Paesi ad approfittare del vuoto che lasciamo, la situazione non può che peggiorare, sia per i migranti oggetto di tratta e trattamenti disumani, sia per il controllo dei flussi migratori. E allora, giusto continuare a esserci, ma nel modo corretto, cioè facendo sì che il nostro aiuto migliori veramente le cose. Come stanno le cose oggi lo sappiamo, non più solo dalle inchieste giornalistiche, ma da un rapporto ufficiale delle Nazioni Unite che certifica una situazione inaccettabile. Un corposo rapporto pubblicato a fine marzo e trasmesso al Consiglio di Sicurezza e acquisito dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja, che determina un prima e un dopo in termini di consapevolezza di quanto sta accadendo in Libia. Alla luce di queste evidenze, abbiamo chiesto al Governo di proseguire il nostro supporto alla Guardia Costiera libica a condizione che venga rivisto il Memorandum Italia-Libia del 2017 in modo da garantire il rigoroso e pieno rispetto dei diritti umani dei migranti, il libero accesso dell’Onu ai centri che li ospitano e la loro progressiva chiusura. La nostra richiesta è stata rifiutata dal Governo”.

Lo ha dichiarato il deputato M5S Arnaldo Lomuti, componente della Commissione Esteri di Montecitorio, intervenendo in aula in discussione generale sulle missioni militari all’estero.

Un buon viatico per un fronte comune antisecurista.

Motovedette a gogò

Da un lancio di agenzia: “L’Italia ha consegnato alle autorità libiche altre due motovedette, nell’ambito del programma “Support to integrated Border and Migration Management in Lybia” dell’Unione Europea.I mezzi – due non specificate unità della classe Carrubia – saranno destinati all’attività di “contrasto ai traffici illegali di migranti e di controllo delle frontiere”, come le molte altre unità di vario tipo già fornite dallo Stato italiano a questo scopo al paese.

Le due imbarcazioni sono state oggetto di un intervento di refitting e rimessa in efficienza condotto dalle maestranze di Agenzia Industrie Difesa, ente controllato dal ministero della Difesa costituito per razionalizzare e ammodernare le unità industriali del dicastero. Verosimilmente le attività si sono svolte nell’arsenale marittimo di cui Aid dispone proprio a Messina.Alla cerimonia, ha aggiunto l’ente, hanno partecipato “rappresentanti della Direzione generale della Politica di vicinato e dei negoziati di allargamento (Dg Near) della Commissione Europea, della Direzione centrale dell’Immigrazione e Polizia delle Frontiere, delle commissione tecnica libica, dell’Agenzia Industrie Difesa e della Guardia di Finanza”.

Riarmiamo i respingitori

Così Dario Prestigiacomo per EuropaToday, in un documentato report del 10 febbraio: “: “Il nuovo memorandum d’intesa con la Libia sul contrasto all’immigrazione illegale si è già attirato le condanne, tra gli altri, di Parlamento europeo e Consiglio d’Europa. Ma adesso a puntare il dito contro gli accordi rinnovati dal governo Meloni per potenziare il lavoro della guardia costiera di Tripoli e bloccare le partenze dei migranti, ci sono anche i pescatori siciliani. L’accusa è che le motovedette libiche, più che controllare i barconi dei trafficanti, servono per minacciare i pescherecci italiani e scacciarli dalle acque internazionali. Con il tacito consenso di Roma. 

L’ultimo caso è stato raccontato da Avvenire: il 3 febbraio, pochi giorni dopo il viaggio della premier a Tripoli, una motovedetta libica ha raggiunto quattro imbarcazioni siciliane, partite da Mazara del Vallo e Pozzallo, che stavano pescando nelle acque internazionali del Canale di Sicilia, intimando agli occupanti di spegnere i motori. Cosa che i membri dell’equipaggio si sono guardati bene dal fare, temendo di finire come i loro colleghi che nel 2020 sono stati sequestrati per 108 giorni dalle milizie del generale Haftar. 

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A quel punto, nello specchio di mare sopraggiunge una nave militare italiana. La nostra Marina, però, anziché respingere indietro la guardia costiera libica, secondo quanto emerge anche da immagini video e dall’audio delle conversazioni tra nave e pescherecci pubblicati da Avvenire, invita i pescatori ad allontanarsi verso nord, ossia di tornare in acque italiane.  “Tutto è durato circa un’ora, con i libici che intimavano di fermare i motori, per far salire qualcuno di loro armato, e la Marina militare italiana che chiedeva di non farlo. I libici volevano portare le barche a Tripoli”, ha raccontato Matteo Ruta, armatore di uno dei motopesca fermati dalla guardia costiera libica. “La cosa più grave – prosegue Ruta – è che se è vero che la Marina militare ci ha dato assistenza, è altrettanto vero che ci ha fatti allontanare per altre 1520 miglia verso nord. Da 80 a oltre 100 miglia: una cosa eccessiva. C’è qualcosa che non va se delle vecchie motovedette non si fanno intimorire da una nave militare, forse ci sono altri interessi economici dell’Italia”, conclude l’armatore. Un riferimento forse ai nuovi accordi tra l’Eni e Tripoli per lo sfruttamento dei giacimenti di gas del Paese, siglati in contemporanea con il memorandum d’intesa.

A rendere la situazione ancora più paradossale è il fatto che la motovedetta libica fosse una classe Bigliani donata dall’Italia alcuni anni fa, sempre nell’ambito degli accordi per contrastare la migrazione clandestina. E che mentre minacciavano i pescatori siciliani, racconta sempre Avvenire, i guardacoste libici abbiano lasciato andare via, indisturbato, proprio un barcone di migranti.  “Le immagini e le registrazioni audio di quanto avvenuto venerdì scorso in acque internazionali a quattro pescherecci siciliani rivelano una situazione inaccettabile: l’Italia che cede alle pressioni dei guardacoste libici”, attacca l’eurodeputato del Pd, Pietro Bartolo. “Per ammissione della stessa Marina italiana i pescherecci si trovavano in acque internazionali. Avevano tutto il diritto di gettare le reti in mare ma la stessa Marina militare dice loro di allontanarsi e seguire le direttive impartite dai libici”, continua Bartolo. “Una situazione gravissima e non più tollerabile”, conclude”.

Alarm Phone: “Cinquanta migranti dalla Libia in difficoltà”

“Siamo ancora in contatto con le circa 50 persone in difficoltà in acque internazionali. La barca è alla deriva. Il peschereccio Alba Chiara si trova nelle vicinanze, ma non riusciamo a comunicare direttamente. Abbiamo chiesto alle autorità libiche di lanciare l’Sos, ma hanno dichiarato di essere in vacanza il venerdì”. Così si legge in un tweet delle scorse ore. Poche ore dopo, in un altro post su Twitter, Alarm Phone ha aggiunto: “Li abbiamo chiamati. Sono disperati e attendono di essere soccorsi. L’acqua sta entrando nella barca. La situazione è critica. Abbiamo bisogno di tutte le autorità rilevanti: non lasciateli annegare!”. Il tweet risale alla sera del 23 giugno e per il momento, purtroppo, non ci sono aggiornamenti sui migranti a bordo.

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Un’alternativa esiste

Così la declina Carlo Lania su Il Manifesto all’indomani dell’ecatombe di Pyros: “Eppure un modo per evitare che tragedie come quella di ieri in Grecia, o quella avvenuta del 26 febbraio scorso a Cutro, si ripetano ci sarebbe. O quanto meno per limitarle. Basterebbe che l’Unione europea si decidesse a ripristinare una missione navale che raccogliesse i naufraghi in mare portandoli in salvo, in modo da consentire di chiedere asilo alle persone bisognose di protezione e nel caso rimpatriare chi non avesse diritto di restare. Invece non si fa, preferendo spendere inutili parole di dolore di fronte alle ultime decine di morti affogati.

Eppure l’Europa, e l’Italia in particolare, per fermare i migranti le navi in mare le mette, e non solo quelle. Anche jeep, camion, droni, attrezzature elettroniche, uomini per addestrare gli equipaggi di cosiddette Guardie costiere il cui unico compito non è salvare, bensì fermare chi fugge attraverso il Mediterraneo. Come poi questo compito venga svolto non importa, come dimostrano le ripetute violenze compiute dai libici su uomini, donne e bambini, o le bastonate assestate dai tunisini su altri uomini, donne e bambini come denunciato due giorni fa da Repubblica.

Gli ultimi equipaggiamenti sono stati consegnati proprio ieri dal nostro ministero degli Esteri alla Tunisia del presidente Kais Saied, uno che imprigiona gli oppositori e che ha accusato i migranti subsahariani di volersi sostituire ai tunisini: 82 mezzi che – hanno spiegato fonti del Viminale – serviranno per rafforzare la capacità operativa del paese nordafricano per il controllo delle frontiere.

Non sono gli unici. Le motovedette con cui Tripoli insegue i migranti per riportarli nell’inferno dei centri di detenzione, le fornisce l’Italia. E il Viminale si starebbe preparando a rifornire il generale Kalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica dalla quale da mesi partono i barconi, con cinque motovedette, radar, droni e fondi per sostenere l’agricoltura.

Fermare i migranti, impedire che attraversino il mare è diventato l’unico obiettivo. A Bruxelles come a Roma dove se non si trova una soluzione all’impennata di sbarchi (55.560 dal primo gennaio al 14 giugno, contro i 22.071 dell’analogo periodo del 2022) il governo Meloni rischia di veder crollare tutta la narrazione sui migranti che ha contribuito non poco alla vittoria elettorale delle destre. Dal blocco navale più volte promesso e oggi finalmente accantonato, all’impegno di difendere i confini esterni dell’Ue, passando dall’imperativo «Se l’Europa non si muove facciamo da soli», al più realistico «L’Europa ci aiuti, non possiamo fare da soli».

Peccato che è dal 2015 che sui migranti l’Unione europea è divisa, incapace di trovare una politica comune. Come conferma la spaccatura registrata giovedì scorso sul nuovo Patto immigrazione e asilo che non riconosce niente di quanto avrebbe voluto l’Italia: no ai ricollocamenti obbligatori, resta la responsabilità dei paesi di primo approdo ai quali si chiede di realizzare centri chiusi per accogliere i richiedenti asilo e maggiori controlli per evitare i movimenti secondari. In cambio il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha ottenuto il via libera alla possibilità di rimandare i migranti nell’ultimo paese di transito sicuro non europeo. Misura che  – conclude Lania – bisognerà vedere quanto realmente applicabile e che rischia di mettere in discussione il principio di asilo”.

Più che un rischio, è una certezza.

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