25 aprile: La Russa e Meloni celebrano la vendetta dai ruoli più alti della Repubblica democratica antifascista

Inutile sperare in un ravvedimento evolutivo delle loro coscienze. La svolta di Fini a Fiuggi (“il fascismo male assoluto”) purtroppo è rimasto un atto di coraggio isolato. Nessuno dei post-fascisti oggi al potere l’ha più pronunciata.

25 aprile: La Russa e Meloni celebrano la  vendetta dai ruoli più alti della Repubblica democratica antifascista
Giorgia Meloni e Ignazio La Russa
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Claudio Visani Modifica articolo

23 Aprile 2023 - 10.50


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Tengono la fiamma nel simbolo e a casa il busto del Duce. Dicono che a Via Rasella i partigiani spararono su “una banda musicale di semi-pensionati”, mica sui nazifascisti. E che i 335 delle Fosse Ardeatine “furono uccisi solo perché italiani”, non perché antifascisti ed ebrei. Celebrano Almirante come grande leader democratico. Non riconoscono la responsabilità del terrorismo nero nelle stragi a cominciare da quella di Bologna. Dicono che l’antifascismo è superato, un fatto storico, per di più nemmeno citato nella Costituzione. Che la Resistenza è stata manipolata dai comunisti che volevano fare come in Unione Sovietica. Mentre loro sono per la pacificazione, che significa parificazione tra i partigiani e i repubblichini di Salò, tra chi ha combattuto il fascismo e chi il comunismo, ugualmente caduti per un ideale. Tanto che la seconda carica dello Stato annuncia che il 25 aprile sarà a Praga per rendere omaggio a Jan Palach, simbolo dell’opposizione all’invasione di Mosca.  

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Se la si guardasse con gli occhi della politica attuale, verrebbe da pensare che le provocazioni siano un’operazione di distrazione di massa. Di fronte alla sequela di figure imbarazzanti e “zero tituli” dei primi sei mesi dell’esecutivo Dio Patria e Famiglia, si punta sull’orgoglio identitario e sulla provocazione per parlar d’altro e buttarla in caciara. Perché, diversamente, bisognerebbe spiegare i motivi della crescente irrilevanza dell’Italia nel contesto europeo e internazionale, come mai i migliori discepoli di Putin oggi vestono i panni dei paladini della libertà e della democrazia, perché i pasticci sul Pnnr non sono colpa del loro dilettantismo bensì di Conte, Draghi e del Pd. Per motivare il fallimento totale delle politiche migratorie dovrebbero trovare scuse più plausibili che dare la colpa alle navi Ong, a chi parte, agli scafisti da perseguire nel Globo Terracqueo.

Dovrebbero spiegarci dov’è la novità e qual è il vantaggio per la Nazione a togliere ai poveri (reddito di cittadinanza, salario minimo, pensioni) per dare ai ricchi (flat-tax), a chi serve prendersela con i rave, essere ossessionati dal popolo Lgbt, contrastare i diritti civili invece dell’illegalità e della corruzione diffuse (condoni, nuovo codice degli appalti). 

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Se così fosse, occhio alla trappola: sotto sotto potrebbe esserci chi alimenta la tensione sperando nell’incidente, che gioverebbe solo a chi vuole sminuire il valore del 25 aprile e riscrivere la storia. Ma c’è anche altro. La prima Festa della Liberazione dal nazifascismo con i post-fascisti al governo è fatta di tante cose. Memoria storica. Ricordo degli orrori del fascismo e della guerra. Riconoscenza ai partigiani che hanno ridato dignità e onore all’Italia e a tutti coloro che hanno combattuto per la libertà e la democrazia. Difesa dei valori e dei princìpi della Costituzione più bella del mondo. Ma sarà anche il 25 aprile dei vinti, del loro risentimento e della loro voglia di vendetta. Il 25 aprile di chi ha giurato sulla Carta antifascista ma non riesce proprio a pronunciare le parole fascismo e antifascismo. 

Scrive Nadia Urbinati: “La resistenza fu una guerra civile tra italiani fascisti e antifascisti. E le guerre civili sono vinte da una parte ma mai completamente”. Nella testa e ne cuore degli sconfitti in questi ottant’anni in cui “sono stati relegati a minoranza politica d’opposizione, ha covato il risentimento”. E ora che sono maggioranza al potere pensano che sia giunta l’ora della rivincita. Vale per la generazione nata negli anni del fascismo (La Russa), e vale per le generazioni cresciute nelle lotte di piazza tra estrema destra ed estrema sinistra (Meloni). Nella mente degli eredi del Duce e del Movimento sociale resta una incrostatura mai sciolta: “L’odio contro coloro che, dopo averli atterrati nel 1945, hanno scritto le regole fondative del loro vivere civile e politico in modo che mai loro potessero tornare. Hanno dovuto cambiare nome, camuffare la loro identità. E nulla può essere più umiliante di non potere essere liberamente se stessi, a causa di una guerra civile persa. Oggi, La Russa e Meloni celebrano la loro vendetta. E dai ruoli più alti della Repubblica democratica antifascista affermano quello che da decenni avevano nel cuore: la Resistenza è stata una guerra minore, una ragazzata trasformata dai libri di storia e dai partiti che l’hanno fatta in un’epopea. La Resistenza come una battaglia di paese, senza eroici vincitori”.

Inutile sperare in un ravvedimento evolutivo delle loro coscienze. La svolta di Fini a Fiuggi (“il fascismo male assoluto”) purtroppo è rimasto un atto di coraggio isolato. Nessuno dei post-fascisti oggi al potere l’ha più pronunciata. E “le parole”, come insegna Nanni Moretti, “sono importanti”. Ha ragione Elly Schlein quando, rispondendo a La Russa, dice: “L’antifascismo è la Costituzione”.  Come dice Urbinati, “quelle orecchie non sentono”. Tocca a noi, a tutti coloro che invece hanno orecchie per sentire e occhi per vedere quel che sta accadendo e dove stiamo andando, vivere questo 25 aprile come sappiamo, con il cuore, la passione, la partecipazione, senza cadere nella loro trappola. 

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