Romano Prodi ha guardato con favore alla scalata di Elly Schlein da tempi non sospetti e ora che la neo segretaria ha iniziato il suo lavoro di ricostruzione dei democratici iniziano a venire a galla i primi problemi. In un’intervista a Qn, l’ex presidente del Consiglio ha toccato diversi temi caldi.
«Il problema principale della Schlein è la ricomposizione del partito che non vuole dire conformismo, ma dialogo costruttivo tra le diverse correnti. Uso un’espressione fuori moda, ma le correnti esistono e devono esistere nel Pd come in tutti i partiti del mondo. Pensiamo solo al partito conservatore inglese! II Pd sta cercando un’identità unitaria, che secondo me finirà con il rafforzarlo e, allo stesso tempo, col rendere possibile un dialogo sia con Conte sia con Calenda e Renzi».
«Siamo concreti, se il Pd vuole vincere le elezioni, una coalizione è indispensabile. Però per prima cosa il Pd deve crescere nel Paese, e su questo sembra avviarsi sulla strada giusta per essere poi il punto di riferimento della coalizione. E se vuole governare, deve fare propri alcuni contenuti di sinistra (giustizia sociale, salario minimo, maggiore coesione, attenzione a sanità e istruzione pubblica) ma non può mettere in secondo piano alcuni punti che sono impropriamente attribuiti alla destra, come il desiderio della governabilità, una capacità decisionale rapida e forte, anche con una legge elettorale che favorisca soluzioni stabili», sottolinea.
«Il Pnrr è un esercizio complicato per cui occorre oliare tutte le macchine per poter andare avanti. La prima fase è stata «tenuta insieme» con fatica. Nella seconda parte, il governo attuale ha inserito novità che complicano ulteriormente le cose. Tutto questo ha reso meno fluidi i rapporti con Bruxelles».
Meloni ha dato la colpa anche a Draghi? «È naturale che Meloni lo faccia, ma il cammino iniziale del piano non andava interrotto – risponde l’ex premier -. Non so se saremo in grado di utilizzare tutte le risorse, ma si può accelerare, purché si faccia meno dottrina e più concretezza»
«Partendo da affermazioni» come quelle del presidente del Senato, Ignazio La Russa, sull’attentato di via Rasella, «che sono purtroppo uscite perché pensate, è difficile rinvenire una condivisa interpretazione della realtà storica. In Italia la ferita non è ancora stata chiusa: i fascisti rimangono fascisti. Ho pensato: è un errore. Infatti poi c’è stato un pentimento, perché una tale distorsione della storia, diventata patrimonio comune, è inaccettabile».
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