Decreto sicurezza, la guerra alle Ong del governo Meloni si fa norma di legge
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Decreto sicurezza, la guerra alle Ong del governo Meloni si fa norma di legge

La propaganda della destra reazionaria che ha fallito il blocco navale prevede multe e sequestri delle imbarcazioni fino alla confisca dei natanti utilizzati da chi soccorre i migranti, su cui decideranno i prefetti.

Decreto sicurezza, la guerra alle Ong del governo Meloni si fa norma di legge
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Dicembre 2022 - 14.14


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Il titolo è tutto un programma. Un programma di guerra. “Decreto sicurezza, scacco alle Ong: quando rischiano il sequestro delle navi”. E’ l’efficace sintesi titolistica fatta da Il Tempo in riferimento al decreto legge predisposto dal ministro dell’Interno Matteo Piantesosi.

Ossessione Ong

Scrive il giornale romano, molto vicino alla destra di Giorgia Meloni:  “Potrebbe arrivare domani, o al più tardi nei primi giorni del 2023, il via libera del governo al decreto sicurezza che stabilisce nuovi limiti all’azione delle Ong che operano nel soccorso dei migranti in mare, ma anche provvedimenti su minori, baby gang e violenza sulle donne. Oggi, martedì 27 dicembre, è prevista una riunione tecnica a Palazzo Chigi per mettere a punto gli ultimi dettagli del testo che è stato coordinato della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. 

La misura più attesa e controversa è quella legata alle Organizzazioni non governative. Na premessa della bozza, anticipa il Corriere, si parla di “attività conformi alle norme nazionali e alle convenzioni internazionali”, tuttavia è stata eliminata la possibilità di procedere penalmente per chi non le rispetta. Restano multe e sequestri delle imbarcazioni fino alla confisca dei natanti utilizzati da chi soccorre i migranti, su cui decideranno i prefetti.

 Ma cosa cambia con il “codice per i salvataggi”?. Il decreto restringe “in maniera drastica le possibilità di intervento dei salvataggi in mare” da parte delle Ong. In sintesi, chi intercetta imbarcazioni in difficoltà potrà compiere soltanto un salvataggio e dovrà subito informare la Guardia Costiera e le altre istituzioni, chiedendo l’assegnazione di un “porto sicuro”. Insomma, niente “raccolte” multiple e trasbordi da un’imbarcazione all’altra. Non finisce qui. “Una volta effettuato il soccorso i volontari delle Ong dovranno informare i naufraghi della possibilità di chiedere asilo attivando così la procedura per la ricollocazione. Chi non rispetterà queste regole rischia multa e sequestro della nave”, si legge nell’articolo. Per chi entra in Italia regolarmente attraverso il decreto flussi o regolarizza la propria posizione è prevista invece una semplificazione delle pratiche per il lavoro”.

La strategia della criminalizzazione

Ne scrive, con la consueta serietà analitica, Alessandra Puglia su Vita:  

“ La criminalizzazione del soccorso in mare torna prepotentemente sulla scena dei salvataggi nel Mediterraneo centrale nel 2022. In Italia al 23 dicembre secondo i dati del Ministero dell’Interno sono stati 101.127 i migranti sbarcati, numeri superiori rispetto al 2021 quando gli arrivi in Italia erano stati 64.612, soltanto 33.863 nel 2020. Dati che vanno contestualizzati davanti al costante evolversi dello scenario migratorio e alla pandemia Covid-19 che negli anni scorsi ha rallentato il numero delle partenze.

Sono invece 1.998 i migranti morti o dispersi nel Mediterraneo centrale secondo i dati del progetto Missing Migrants dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni, non considerando i naufragi che non è stato possibile documentare. Ai quasi 2mila morti tra cui almeno 88 minori si aggiunge il numero delle persone che vengono intercettate dalla guardia costiera libica e riportate nei centri di detenzione: oltre 23 mila nel 2022.

Al numero dei morti, vicino a quello del 2021 quando erano 2.062, al numero sempre crescente delle intercettazioni da parte delle autorità libiche, bisogna affiancare la percentuale dei soccorsi da parte delle Ong: soltanto il 14% secondo l’Ispi sul totale dei migranti arrivati in Italia (pari a più di 14mila persone tratte in salvo). 

Ma in Italia c’è ancora chi parla di “pull-factor” e la criminalizzazione del soccorso in mare si ripresenta. Il nuovo governo Meloni dopo aver esordito con il criterio dello “sbarco selettivo” e l’espressione infelice di “carico residuale” dirotta ora le navi della società civile nei porti del Nord Italia, come accaduto negli ultimi sbarchi di Livorno nei confronti di 108 persone soccorse dalla nave Sea-Eye4 della Ong United4Rescue e precedentemente con la nave LifeSupport di Emergency che ha portato in salvo 142 naufraghi. Nelle prossime ore poi l’Esecutivo si appresta col decreto Sicurezza ha varare la tanto annunciata stretta sulle navi umanitarie. 

«Le recenti operazioni delle navi di soccorso dimostrano che l’assegnazione veloce di un porto lontano ha un prezzo. I porti sicuri devono essere assegnati subito, ma con i porti molto a nord la volontà politica è di tenere le navi lontane dai soccorsi il più a lungo possibile», scrive Sea-Watch, Ong che dal 2014 ha portato in salvo oltre 35 mila persone e che oltre alle navi possiede due arei da ricognizione (Seabird 1 & 2) che permettono di monitorare le violazioni che avvengono nel MedIterraneo al pari di Pilotes Volontaires con i velivoli Colibrì.

L’impostazione del nuovo governo è ora anche quella di vietare alle navi Ong i soccorsi multipli: «Lo scopo di questi nuovi decreti è chiaro. Queste nuove regole hanno come obiettivo quello di diminuire le capacità di soccorso, mentre le persone, fuggendo, combattono per la propria vita. L’interruzione delle nostre missioni dopo ogni soccorso, anche se numericamente piccolo, e l’immediato ritorno a terra si tradurrà inevitabilmente in un aumento dei costi del carburante e in molto tempo perso», ha spiegato Hermine Poschmann di Mission Lifeline impegnata a dicembre nel Mediterraneo con la Sea Eye 4 e la Rise Above.

La flotta della società civile resiste. Nel 2022 la Geo Barents di Medici Senza Frontiere ha portato a termine 14 missioni nel 2022 salvando 3.742 persone, tra cui 1071 minori, 927 non accompagnati. Ad agosto è salpata per la sua prima missione la Sos Humanity che ha portato in salvo 855 persone e ancora altre navi come l’Astral e la Open Arms della omonima Ong spagnola che nel 2022 ha concluso 97 operazioni di soccorso o la Louise Michel che ha portato a termine quattro difficili operazioni di salvataggio e tornerà insieme alle altre sulla scena dei salvataggi nel 2023.

Marittimi, medici, soccorritori, psicologi, ostetriche, mediatori culturali: equipaggi di professionisti che ogni giorno in mare cercano di salvare vite umane”. Così Puglia.

Marittimi, medici, soccorritori, ostetriche mediatori cultuali: ecco i “pirati” a cui il governo Meloni-Salvini-Piantedosi ha dichiarato guerra.

La realtà svelata

“Migranti, 10 anni di errori, ipocrisie, propaganda e il falso problema delle Ong”. E’ il titolo-sintesi dell’inchiesta da incorniciare di Milena Gabanelli e Simona Ravazza per DATAROOM Corriere della Sera.

“La pressione migranti inizia a farsi sentire sulle coste italiane nel 2011, anno in cui gli sbarchi saranno complessivamente 64.261 contro i 4.450 del 2010. Il grosso delle partenze è dalla Libia travolta dall’instabilità del dopo Gheddafi e da dove a migliaia tentano la traversata verso l’Europa via Italia. Insieme ai numeri salgono anche i morti in mare. Il 3 ottobre 2013 c’è il tragico naufragio all’isola dei Conigli: 366 annegati. Sotto la spinta dell’indignazione mondiale, il 18 ottobre 2013, il governo di Enrico Letta dà il via all’operazione Mare Nostrum, costo 9,5 milioni al mese e tutti a carico nostro (c’è solo l’appoggio della Slovenia). Due gli obiettivi: pattugliare con le navi della marina militare fino a ridosso delle coste libiche, soccorrere e contrastare i trafficanti. In un anno 366 scafisti arrestati e 166.682 sbarchi. Ma non pesano troppo: i centri di accoglienza si svuotano in fretta perché la maggior parte dei migranti se ne va verso il Nord Europa.

Il fotosegnalamento complica le cose 

Nel 2014 la storia cambia: l’Europa accusa l’Italia di violazione del Regolamento di Dublino e di lasciar transitare verso i Paesi europei i migranti non identificati. Il ministero dell’Interno, il 25 settembre, è costretto a emanare una circolare: «Lo straniero deve essere sempre sottoposto a rilievi segnaletici». I rilevamenti devono essere trasmessi entro 72 ore al sistema centrale Eurodac, il database europeo delle impronte digitali per coloro che varcano illegalmente una frontiera europea. Da quel momento le porte girevoli si complicano. Mare Nostrum finisce e, nel maggio 2015, parte l’operazione “Sophia” che fa le stesse cose di Mare Nostrum, ma con forze militari e di polizia europee sotto il comando italiano. In due anni (2015-2016) gli sbarchi sono 335.278 e, a fine 2016, la situazione va fuori controllo. Rivolta dei sindaci, anche di centrosinistra: «Non sappiamo più dove mettere i migranti». A dicembre dello stesso anno. il governo Gentiloni nomina Marco Minniti ministro dell’Interno. Lui la Libia la conosce bene e il mandato è quello di togliere le castagne dal fuoco. E in Libia Minniti va.

I 15 mesi di Minniti al Viminale

Il 2 febbraio 2017 viene firmato il Memorandum Italia-Libia: una convenzione del governo italiano con la guardia costiera libica per fermare le partenze via mare. A luglio, sempre del 2017, vengono stipulati accordi con i sindaci del Fezzan per bloccare la rotta migratoria che entra in Libia da Algeria, Niger, Chad, offrendo in cambio un sostegno economico allo sviluppo delle comunità locali. Il progetto è finanziato anche dalla Ue, come pure il rimpatrio volontario (gestito dall’agenzia Onu Iom) dai centri di detenzione libici verso i Paesi d’origine con un budget in tasca per rifarsi una vita. Dal 2017 a oggi i rimpatri sono circa 48 mila. Segue l’intesa con l’Alto commissariato per i rifugiati Unhcr per evacuazioni emergenziali a carico dello Stato italiano con destinazione Roma. Da fine 2017 al 2019 dai centri di detenzione, quelli accessibili, sono trasferiti a Roma con voli umanitari in 913, fra aventi diritto alla protezione e fragili. Un numero piccolo, ma in Libia governano le bande di taglieggiatori e con loro occorre fare i conti. I trasferimenti riprendono nel 2021 con il coinvolgimento del ministero dell’Interno, la Comunità di Sant’Egidio e Chiese evangeliche. Dall’orrore delle prigioni salvate 500 persone. Sta di fatto che tra maggio 2017 e maggio 2018 gli sbarchi calano a 72.571 e continuano a scendere fino ad agosto 2019, a quota 28.505. Intanto il governo è cambiato e al posto di Minniti arriva Matteo Salvini.

Le ipocrisie istituzionali

La convenzione con la guardia costiera libica è stata universalmente condannata: impedisce le partenze, ma molti migranti vengono portati nei centri non ufficiali dove sono costretti ai lavori forzati, seviziati, le donne stuprate. Succedeva con Gheddafi, succede dopo. Quella convenzione è scaduta nel 2020, ma il governo italiano (Pd, M5S), dopo averla pesantemente criticata, la rinnova. Così come fa di nuovo il 3 novembre il governo Meloni, mentre la situazione in Libia è ancora peggiore di prima. Tutti lo considerano un accordo scandaloso, ma poi nessuno lo cancella. La Libia è uno dei pochi Paesi al mondo che non ha mai firmato la convenzione di Ginevra del 1951 che impone il rispetto dei diritti umani. Bombardata nel 2011 sotto la bandiera Nato, giustiziato il dittatore Gheddafi nel 2015 il solo governo legittimo riconosciuto dalle Nazioni Unite è quello di Al-Sarraj. A quel punto l’Onu potrebbe chiedere al premier libico di firmare la convenzione di Ginevra, ma non lo fa, non lo chiede la Ue e nessun singolo Stato membro. Tant’è che l’Unhcr tutela i rifugiati in Libia dal suo ufficio di Tunisi. Una base a Tripoli viene aperta nel 2017, quando Minniti ottiene da Al-Serraj le garanzie di sicurezza per il personale umanitario che deve entrare nei centri di detenzione e selezionare i più fragili per evacuarli attraverso il corridoio umanitario.

Intanto in Ue con due decisioni del Consiglio, la 1523 del luglio 2015 e la 1601 del settembre dello stesso anno, viene previsto un sistema di relocation a favore dell’Italia per 39.600 migranti. È quella che comunemente viene definita ricollocazione obbligatoria: vuol dire che l’Europa accetta di prendersi una parte dei nostri aventi diritto all’asilo, che tra il 26 settembre 2015 e il 26 settembre 2017 sono 36.345. Alla fine ne saranno presi 12.740 (la Germania per esempio ne accoglie 5.453, la Francia 641). Nel settembre 2017 arriva anche la sentenza della Corte di giustizia europea che, rigettando il ricorso di Ungheria e Slovacchia contro i ricollocamenti dall’Italia, riafferma con forza ilprincipio di redistribuzione solidale dei profughi. Principio non accettato, però, dalle cancellerie di Budapest, Varsavia e Praga (Paesi Visegrad) che si oppongono. Scaduta la convenzione, alla prima seduta del Consiglio, Conte e Salvini non insistono e si va verso la redistribuzione facoltativa che, alla fine, si concretizza nell’accordo di Lussemburgo nel giugno 2022, fortemente voluto dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. L’accordo prevede il ricollocamento annuo di circa 10 mila aventi diritto all’asilo. A metà novembre 2022 ne sono stati ricollocati solo 117.

Cosa chiedere all’Europa: i flussi regolari

Tutta la propaganda sui porti chiusi, impossibili da attuare, ci è di nuovo esplosa in manoDopo dieci anni dovremmo aver capito che le migrazioni non sono un’emergenza, ma un fatto strutturale che va governato perché ci saranno sempre. A causa delle guerre, dei mutamenti climatici, della ricerca di migliori condizioni di vita. Bisogna insegnare a convivere con i migranti, di cui peraltro abbiamo bisogno. Inutile insistere su una ripartizione contando sulla solidarietà europea che non ci sarà. In base agli ultimi dati disponibili, la Spagna deve fare i conti con oltre 100 mila irregolari, quasi 500 mila la Francia, 1,2 milioni la Germania, mentre Ungheria e Polonia stanno gestendo qualche milione di profughi ucraini. Mentre continuare a litigare su dove devono sbarcare i migranti che arrivano con le Ong allunga solo la lista delle ipocrisie: nel 2022 oscillano intorno al 10% del totale. Quello che realisticamente possiamo e dobbiamo pretendere dall’Europa è, invece, un sostegno economico per fare due cose: 1) la costruzione di un sistema civile di accoglienza e integrazione; 2) accordi con i Paesi sull’orlo del baratro per avviare flussi regolari. La Tunisia e l’Egitto stanno negoziando un prestito con il Fondo Monetario Internazionale perché hanno la necessità di una stabilizzazione politico-sociale. Un prestito che sarà accordato a condizione che vengano ridotti i sussidi per i beni primari. È inevitabile che, di fronte alla mancanza di speranze, i giovani tentino una miglior sorte rischiando la traversata. Ricordiamo che la quasi totalità degli sbarchi riguarda maschi fra i 14 e i 30 anni. Per questo con Tunisia, Egitto, Niger e Bangladesh è necessario costruire un accordo: concedere 20.000 ingressi legali attraverso il consolato, ma con il rimpatrio immediato di quelli in più. Così si stronca il traffico di esseri umani e quel che ne consegue: i morti in mare, e migliaia di irregolari dati in pasto alla criminalità o, nella migliore delle ipotesi, al lavoro nero”.

Considerazioni puntuali, denunce documentate, proposte praticabili. Una visione d’insieme lungimirante ma che confligge con la logica securista che ispira il decreto Piantedosi. Una riedizione, in peggio, di quelli del suo predecessore al Viminale e oggi sodale di governo: Matteo Salvini.

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