Alla fine, il ministro-prefetto è “sbarcato” in Parlamento. E con fare solenne e l’aggettivazione curata ha sparato le sue bordate. Obiettivo: le Ong. In Aula al Senato, c’è stata l’informativa del Ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, sulla gestione dei flussi migratori e, in particolare, sui recenti interventi di assetti navali di organizzazioni non governative nel Mediterraneo centrale.
Guerra alle Ong
Dati, esternazioni “umanitarie”, puntualizzazioni. Ma la sostanza politica ed operativa del suo lungo discorrere sta in questo passaggio: “”La presenza di navi Ong continua a rappresentare un fattore di attrazione, un ‘pull factor'” per i flussi di migranti e sono importanti anche per “le organizzazioni criminali che basano il loro modus operandi sulla presenza di assetti Ong nell’area”.
Il resto è fuffa. Più o meno ben condita, ma sempre fuffa è. “La priorità assoluta è la tutela della dignità delle persone. Questa è la lente attraverso cui mettere a fuoco le decisioni dell’Esecutivo a cui spetta il compito di governare i flussi migratori”, ha detto il ministro. Sull’immigrazione “agiamo con umanità e fermezza: non abbiamo nessuna intenzione di venire meno ai doveri dell’accoglienza, ma in Italia non si entra illegalmente, la selezione non la fanno i trafficanti di esseri umani. Vogliamo governare i flussi anzichè subirli”. Ci sono 100mila migranti nel sistema di accoglienza e le prefetture segnalano una saturazione dei posti disponibilità e criticità, ha detto Piantedosi nell’informativa al Senato. Nel 2022 si registrano 69mila richieste di asilo, il 56% in più rispetto allo scorso anno. Ed il 57% di quelle esaminate si sono concluse con i diniego; significa che la maggioranza dei migranti che arrivano in Italia è spinta da motivazioni economiche e non ha titolo di restare qui: così il Piantedosi-pensiero. Per arrivare al succitato passaggio-chiave: “La presenza di navi Ong continua a rappresentare un fattore di attrazione, un ‘pull factor'” per i flussi di migranti e sono importanti anche per “le organizzazioni criminali che basano il loro modus operandi sulla presenza di assetti Ong nell’area”. La forma volontaristica del meccanismo di redistribuzione dei migranti “non riesce a decollare, serve una nuova politica europea realmente basata sul principio di solidarietà”, ha aggiunto Piantedosi. “Siamo per attivare corridoi umanitari per le persone vulnerabili, da usare come leva anche per i Paesi di origine e transito dei flussi – ha spiegato Piantedosi -. Dobbiamo creare percorsi legali di ingresso per i Paesi che collaborano alla prevenzione delle partenze illegali ed ai rimpatri, con un meccanismo premiale a favore dei Paesi più impegnati nel contrasto all’immigrazione illegale”. “L’individuazione del ‘place of safety’ avrebbe dovuto esser fatta dallo Stato competente dell’area Sar Malta in cui le navi sono intervenute, Libia e Malta, e poi dallo Stato di bandiera. La richiesta del ‘pos’ deve arrivare dallo Stato di bandiera delle navi non dalle Ong. Queste navi agiscono in modo autonomo compromettendo anche la capacità di fare operazioni di salvataggio. E’ quindi legittimo considerare il transito di queste imbarcazioni non inoffensivo”. “C’è chi, anche da posizioni oggi critiche nei confronti dell’azione del Governo, ha sostenuto in passato la necessità di una razionale regolamentazione degli ingressi per favorire l’occupazione nei settori lavorativi trascurati dagli italiani; e chi sosteneva che aprire i porti fosse da irresponsabili, che rischiava di indurre a partire migliaia di persone difficilmente integrabili e che non saremmo stati in grado di accogliere, affermazione che proveniva anche da chi ha definito in questi giorni la nostra posizione un disastro e una sceneggiata”. “Comprendo – aggiunge Piantedosi – che per qualcuno cambiare opinione possa essere anche sempre possibile, ma osservo che temi così delicati vanno affrontati con maggiore ispirazione alla coesione tra le istituzioni”. “Nel periodo che va dall’1 gennaio 2021 al 9 novembre 2022 le ong, nell’ambito di 91 eventi di sbarco, hanno portato sulle coste italiane 21.046 migranti, di cui 9.956 nel 2021 e 11.090 nel 2022”. Così il ministro dell’Interno aggiungendo che “secondo i dati Frontex, sul totale degli ingressi irregolari nel territorio dell’Unione nel 2022, gli attraversamenti lungo il canale di Sicilia rappresentano la rotta principale degli ingressi illegali diretti in Europa via mare. Tali ingressi sono incomparabili ai flussi via terra per oneri, modalità tecnico-operative e complessità di scenari di intervento”. Il ministro ha quindi ricordato che gli oltre 90.000 ingressi di migranti del 2022, mostrano un aumento del 60% rispetto allo stesso periodo del 2021, “incidendo pesantemente sul sistema di accoglienza nazionale già provato dagli arrivi dall’Ucraina, oltre 172.000 persone accolte in Italia”.
Decreto-bis
Ne scrive, con dovizia di particolari, Franz Baraggini su il Fatto Quotidiano.it: “Le possibili novità -annota tra l’altro Baraggino – sono state anticipate dal Corriere della Sera e si va dall’obbligo di intervenire solo in caso di effettivo pericolo per i migranti a quello di comunicare l’intervento alle autorità, dalle sanzioni al possibile sequestro della nave. Non solo, le Ong che intendono trasportare centinaia di persone dovranno essere “attrezzate a farlo“, ha anticipato palazzo Chigi. Ma di nuovo non c’è davvero nulla. E quando non ricalcano il controverso codice di condotta introdotto dal governo Gentiloni nel 2017, le proposte annunciate cozzano contro le sentenze dei tribunali, compresa la Corte di giustizia europea che ad agosto si è espressa sui poteri di controllo dello Stato di approdo. “Se annunci una missione per andare nel Mediterraneo a trasportare centinaia di persone allora devi essere attrezzato per questo. Ma ciò non accade e quindi le persone che vengono trasportate dalle Ong sono esposte a rischi e difficoltà, un profilo di illegalità finora non perseguito”, ha detto a Libero il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianbattista Fazzolari (FdI). Nulla di nuovo e, come accaduto ad altre navi, la Sea Watch 3 dell’omonima Ong tedesca è sotto fermo amministrativo dallo scorso settembre perché nell’ultimo soccorso in mare avrebbe trasportato troppe persone. Un pericolo peraltro non considerato negli 11 giorni in cui la nave è rimasta in attesa di un porto. Ma già ad agosto la Corte di giustizia dell’Unione (Cgue) si era espressa nel merito, dopo l’interpello del Tar della Sicilia al quale si è rivolta la stessa Sea Watch per altri due fermi risalenti al 2020, imposti dalle Capitanerie di porto di Palermo e Porto Empedocle e benedetti dall’allora ministra di Infrastrutture e trasporti Paola De Micheli (Pd) che contestava soccorsi sistematici senza che la nave fosse attrezzata o certificata. C’è poi l’ipotesi di un obbligo di comunicare il tipo di intervento effettuato al Paese più vicino, perché possa valutare se davvero c’erano migranti in pericolo. Regole che apparivano già ridondanti nel codice del 2017 voluto dal Viminale di Marco Minniti, che chiede alle Ong di “osservare l’obbligo previsto dalle norme internazionali di tenere costantemente aggiornato il competente Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo in merito allo scenario in atto ed all’andamento delle operazioni di soccorso”. Obbligo già “previsto”, appunto. E rispettato, come confermato finora dalla magistratura. Ma anche a voler rilanciare accuse mai provate come quella di agevolare i trafficanti, nel codice di Minniti c’è già tutto: “Non effettuare comunicazioni o inviare segnalazioni luminose per agevolare la partenza e l’imbarco di natanti che trasportano migranti”. Manca invece l’altra ipotesi anticipata dal Corriere, quella di costringere le Ong a spegnere l’Ais (Automatic identification system), il sistema che indica in tempo reale la posizione della nave. E manca perché oltre le 300 tonnellate di stazza è obbligatorio. Il principio affermato dalla Corte di giustizia è chiaro: il numero di persone soccorse a bordo non conta ai fini delle convenzioni internazionali per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) e lo Stato di approdo non può richiedere alle imbarcazioni certificazioni diverse da quelle la cui validità è stata confermata dallo Stato di bandiera. Inoltre, dice la Cgue, le Ong non hanno bisogno di alcuna autorizzazione da parte dello Stato di approdo, neppure quando svolgono attività di ricerca e soccorso in maniera sistematica. Di più, “la Corte ha messo dei paletti all’attività ispettiva e ai fermi dello Stato di approdo che non può contestare l’idoneità certificata dallo Stato di bandiera se non sulla base di concreti elementi di pericolo”, spiega Lucia Gennari, uno degli avvocati che ha seguito la causa. Che precisa: “A meno che la nave sia del tutto inidonea alla navigazione, la Corte sancisce che non può esserle impedito di adempiere a un obbligo come il salvataggio in mare”. Una sentenza – sottolinea Baraggini – che renderà più difficile per il ministero dei Trasporti e delle infrastrutture, ora in mano a Matteo Salvini, rilanciare la strategia che in questi anni ha ostacolato la flotta umanitaria…”.
La Cei interviene sulla questione migranti.
“Siamo sicuri che la chiusura verso i migranti e i rifugiati e l’indifferenza per le cause che li muovono siano la strategia più efficace e dignitosa per gestire quella che non è più solo un’emergenza? – scrivono i vescovi italiani nel messaggio inviato ieri per la 45esima Giornata Nazionale per la Vita -. Siamo sicuri che la guerra, in Ucraina come nei Paesi dei tanti conflitti dimenticati, sia davvero capace di superare i motivi da cui nasce?”.
Evidentemente, i vescovi italiani parlano una lingua che il pur poliglotta ministro degli Esteri, Antonio Tajani, non sembra comprendere. “Un conto è il soccorso in mare, un altro conto avere un appuntamento in mezzo al mare”, afferma il titola della Farnesina a Bruxelles al termine del Consiglio Affari Esteri e dell’incontro con la presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola. “E’ una cosa completamente diversa – continua – soccorrere in mare significa soccorrere dei naufraghi che stanno affogando, l’appuntamento in mare è qualcuno che porta delle persone, fa metà del viaggio e il resto lo fa fare dagli altri”.
Insomma, siamo di nuovo alle Ong “taxisti del mare”, magari pure in combutta con i trafficanti di esseri umani.
La flotta che ci piace
E’ quella delle Ong. Una flotta ben dettagliata su Il Sole24Ore da Manuela Perrone.
“Secondo l’ultima ricognizione – annota Perrone – sono 16 le navi dedicate al soccorso dei migranti al largo delle coste africane, non tutte attualmente in mare. Otto battono bandiera tedesca. Si tratta della Humanity 1, per la Ong tedesca Sos Humanity; della Rise Above della tedesca Mission Lifeline; della Louise Michel, l’imbarcazione umanitaria finanziata dall’artista britannico Banksy; della Sea Watch 3, attualmente sottoposta a fermo amministrativo a Reggio Calabria, della Ong tedesca Sea Watch, che possiede anche Aurora, battente bandiera britannica; della Sea Watch 5, che sta per essere messa in mare dalla Ong tedesca United4Rescue, recente destinataria di un finanziamento di 2 milioni di euro da parte della maggioranza che sostiene il governo Scholz; della Sea Eye 4 della Ong tedesca Sea Eye, ora ferma in Spagna a Burriana; della Resq People, della Ong italiana Resq; del Nadir della Ong tedesca Resqship. La Mare Jonio, della Mediterranea Saving Humans (fondata da associazioni come l’Arci e Ya Basta Bologna, altre Ong come Sea Watch e imprese sociali come Moltivolti di Palermo), è l’unica a battere bandiera italiana. Battono bandiera spagnola, invece, il vecchio rimorchiatore Open Arms e la nuova ammiraglia Open Arms Uno, della spag
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