Mario Draghi non ha dato consigli a Giorgia Meloni, ha riferito lui stesso, preferendo lasciarle in eredità quello che “ha fatto”. Quello ottenuto, non senza fatica, dall’ex presidente della Bce, grande conoscitore dei corridoi di Bruxelles, è un risultato importante, portato a casa anche grazie ai ministri, in particolare Roberto Cingolani e Vincenzo Amendola, e al lavoro incessante della Rappresentanza italiana a Bruxelles, tutti espressamente ringraziati da Draghi in conferenza stampa.
Draghi ha lasciato palazzo Chigi subito dopo aver ottenuto un risultato tutt’altro che scontato. E’ riuscito, dopo una battaglia, durata molti mesi e condotta mai da solo, ma in alleanza con la Francia e altri Paesi, a far inserire nelle conclusioni del Consiglio Europeo un riferimento diretto a un “corridoio dinamico e temporaneo” per i prezzi del gas naturale, alla necessità di trovare un nuovo benchmark europeo per il metano che sostituisca il Ttf, a forme di finanziamento europee della risposta alla crisi energetica e a una riforma del mercato elettrico che ‘disaccoppi’ il prezzo del gas da quello dell’energia elettrica (riforma questa a lungo termine, che per il presidente francese Emmanuel Macron potrebbe essere attuata nel secondo semestre del 2023). C’è anche un riferimento alla possibile estensione all’Ue del modello iberico, che tuttavia all’Italia non piace, perché andrebbe a pesare sui bilanci nazionali.
Ma non è la fine della battaglia, è solo una tappa. E ora la palla passa al governo di Giorgia Meloni.
Arrivare ad avere un meccanismo che limiti i rincari del gas naturale non è scontato, anche se le conclusioni di ieri danno un indirizzo politico chiaro. La strada non è affatto sgombra da ostacoli, a cominciare dal più grosso, la Germania. Ieri il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto di puntare a “limitare gli episodi di rialzi eccessivi dei prezzi del gas. Parliamo di picchi, non di un tetto”, picchi che si verificano “quando c’è troppa speculazione intraday” e “su questo un accordo è possibile”. Tuttavia, ha aggiunto, “non pensiamo che in un mercato globale possiamo dire unilateralmente dove stanno i prezzi: la sola cosa che possiamo fare è combattere la speculazione sul mercato. Non possiamo fare come nel XIX secolo”.
E ancora: “E’ importante – ha detto Scholz – la cooperazione con i Paesi terzi. Aiuta molto poi l’accordo sul fatto che le compagnie private che importano gas possano cooperare” nell’acquistarlo, in pratica potranno fare cartello, “cosa che non era possibile per le regole sulla concorrenza”, regole con ogni evidenza inadatte ad affrontare una crisi come quella aggravata dalla guerra in Ucraina. L’accordo sul tetto ‘dinamico’ al prezzo del gas andrà trovato in Consiglio Ue, a livello di ministri, dato che il Consiglio Europeo, istituzione diversa dal Consiglio Ue, non è un organo legislativo, a differenza di quest’ultimo. E qui il diavolo è nei dettagli, che dovranno essere affrontati a “livello tecnico”, come ha detto Macron. Ci sono dei paletti ben precisi, che fanno parte del compromesso di cui sono inevitabilmente frutto le conclusioni, approvate all’unanimità dai 27.
Il Consiglio Europeo invita infatti la Commissione e il Consiglio a presentare “con urgenza” decisioni “concrete” per arrivare, tra l’altro, a un “corridoio dinamico di prezzo sulle transazioni sul gas naturale per limitare immediatamente gli episodi prezzi di gas eccessivi”. Con una postilla, in perfetto euroburocratese: “Tenendo conto delle salvaguardie delineate nell’articolo 23 comma 2 della bozza di regolamento proposta il 18 ottobre scorso” dalla Commissione.
Il comma prevede ben otto ‘caveat’ per il meccanismo: dovrà applicarsi alle transazioni sul Ttf, la piazza virtuale basata in Olanda gestita da Gasunie che è il benchmark attuale per il prezzo del metano, prezzo che per Macron “è imperfetto, perché basato principalmente sui gasdotti e sulla situazione in Norvegia e Olanda” altri hub europei “potrebbero essere legati al prezzo spot Ttf corretto attraverso un corridoio di prezzo dinamico” non deve “pregiudicare gli scambi di gas over the counter”, cioè fuori dai mercati regolamentati; non deve “mettere a rischio la sicurezza delle forniture di gas dell’Unione” dipende dai “progressi fatti nell’attuare gli obiettivi di risparmio di gas” non deve produrre “un aumento complessivo dei consumi di gas” deve essere disegnato in modo da “non prevenire” i flussi intra Ue di gas; non deve “pregiudicare il funzionamento ordinato dei mercati dei derivati” deve tenere conto dei prezzi del gas “nei diversi mercati dell’Ue”.
Sono condizioni che riflettono le preoccupazioni dei diversi Paesi dell’Ue, ognuno dei quali ha mix ed esigenze differenti, e in particolare i timori di Germania, Olanda e altri, il cui principale motivo di inquietudine non sono i prezzi del gas, dato che si tratta di Stati dalle tasche profonde, bensì la possibilità che il gas non arrivi più. Questo timore di fondo rimane e la posizione tedesca non è cambiata di molto: è stato Draghi, con un discorso durissimo nel Consiglio Europeo a porte chiuse giovedì scorso, a ricondurre Berlino e L’Aja a più miti consigli. L’ex presidente della Bce, abituato da anni a trattare con i tedeschi, ha fatto presente che il pacchetto così com’era entrato in Consiglio era tutto sbilanciato sulla solidarietà in materia di scorte e condivisione del gas, rispondendo alle preoccupazioni dei Paesi del Nord, senza che ci fosse nulla di preciso sulla solidarietà in materia di prezzi, cosa che invece serve ai Paesi del Sud. L’Italia finora ha speso 66 mld di euro, tutti a debito, per arginare le conseguenze del caro gas su famiglie e imprese: tutti soldi versati in un pozzo senza fondo, dato che le cause dei rincari rimangono irrisolte. Come se non bastasse, la Commissione con il vicepresidente esecutivo Valdis Dombrovskis, non perde occasione per ricordare che gli Stati membri devono essere prudenti e agire come se il patto di stabilità fosse in vigore.
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