L'Italia targata Meloni: un nuovo socio di Visegrad, un pericolo per le democrazie europee
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L'Italia targata Meloni: un nuovo socio di Visegrad, un pericolo per le democrazie europee

Più che l’Ungheria, l’Italia targata Fli, sarà la Polonia dell’Occidente: zerbino degli Stati Uniti, decisamente antieuropeista a Bruxelles. Saremo il nuovo socio del gruppo di Visegrad

L'Italia targata Meloni: un nuovo socio di Visegrad, un pericolo per le democrazie europee
Giorgia Meloni, Mateusz Morawiecki e Abascal
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Settembre 2022 - 12.26


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Lasciate ogni speranza voi che’entrate”. Il verso del divino Dante Alighieri ben si attaglia a questo lunedì nero. Da ieri notte tutti i profeti del giorno dopo affollano i talk show televisivi per dimostrare che loro lo avevano capito prima, pronti a saltare sul carro della vincitrice e a sparare a zero contro quelli che fino a qualche ora prima avevano omaggiato. Spettacolo miserabile per persone miserrime. Da oggi siamo i paria d’Europa. E’ inutile edulcorare la pillola.

Basta farsi un giro con i corrispondenti esteri delle più importanti testate francesi, britanniche, tedesche, cioè dei Paesi in cui, sia pure con tutti i problemi che hanno, sono le democrazie occidentali più consolidate. L’Italia oggi è un pericolo. Un cancro che può generare metastasi nei Paesi che sono stati , assieme all’Italia, fondatori dell’Europa comunitaria.

L’Italia di Giorgia Meloni -“il primo ministro più a destra nella storia italiana dopo Benito Mussolini” come ha titolato la Cnn – viene vista come un modello in negativo che potrebbe dare ulteriore forza a i sovranisti di destra che sognano di governare a Parigi a Berlino a Madrid a Londra. Un modello culturale, politico, ideologico ancora più pericolo dei regimi sovranisti e reazioni insediatisi nell’Est Europa, dall’Ungheria alla Polonia fino alle Repubbliche baltiche ex sovietiche. Il governo Meloni sarà ossequioso nei riguardi dell’alleato di oltre oceano: il filoatlantismo è già scritto nel programma di Fratelli d’Italia e sarà garantito dagli uomini che la premier in pectore sceglierà per i ministeri che contano: gli Esteri e la Difesa. D’altro canto, la mazzata subita da Salvini, i cui giorni da leader della Lega appaiono contati, fa si che anche sul piano delle sanzioni alla Russia la strada per Meloni non sarà lastricata da ostacoli putiniani.

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Il problema è sul futuro dell’Europa. Sui valori, i principi, i programmi che dovranno essere messi in campo. Su questo non c’è “Agenda Draghi” che tenga. Sui diritti di cittadinanza, su una politica meno securista nei confronti del migranti, su una politica fiscale comune, insomma su tutto ciò che dovrebbe connotare una Europa non diciamo progressista ma quanto meno aperta, democratica nel senso più alto e nobile della parola, l’Italia di Giorgia Meloni sarà un freno. Basta andare a rivedere, come Globalist ha fatto, tutte le votazioni più impegnative che nei campi su citati svoltesi al Parlamento europeo. Su ogni questione inerenti la sfera della sessualità, la condanna di regimi autoritari – primo fra tutti quello di Orban – gli europarlamentari di Fli hanno votato contro.

Più che l’Ungheria, l’Italia targata Fli, sarà la Polonia dell’Occidente: zerbino degli Stati Uniti, decisamente antieuropeista a Bruxelles. Saremo il nuovo socio del gruppo di Visegrad. Quanto poi alla partita migranti qui è il futuro è più che nero. E’ nefasto. Lasciamo perdere il blocco navalE nelle acque libiche. Era uno spot elettorale che la premier Meloni metterà subito nel cassetto. Per il resto, però, avanti con l’esternalizzazione delle frontiere, con i respingimenti di massa. Quanto alle Ong, per loro il Mediterraneo sarà ancora più off limits. Quanto ai porti: sbarrati. L’inclusione è una parola bandita nel vocabolario politico di chi si appresta a governare il fu belpaese.

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Così come i diritti umani. Prima gli interessi nazionali, la traduzione in meloniano di America first di quel Donald Trump che tanto piace alla vincitrice del 25 settembre, farà sì che l’Egitto chiuderà definitivamente il caso Regeni senza alcun contraccolpo diplomatico o sanzionatorio da parte del nascente governo Meloni. I palestinesi potranno scordarsi di vedere il nuovo Parlamento italiano discutere e approvare una proposta che mai esisterà del governo delle destre per il riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese. Così è. Nascondercelo è solo voler chiudere gli occhi di fronte alla realtà che ci sta per venire addosso come un tir in piena velocità.

Ai tempi bui del neofascismo, negli anni ’70, quando in Grecia avevano preso il potere i colonnelli, seguita a ruota dalla Turchia, uno degli slogan più ritmati nelle manifestazioni del Fronte della Gioventù – organizzazione giovanile del Msi in cui Giorgia Meloni ha militato – era il seguente: “Ankara, Atene, adesso Roma viene”. Roma è venuta.

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Post scriptum. Che siamo a una svolta, tragicamente tale, epocale è dato da un risultato tra i tanti, il cui valore simbolico è di una potenza devastante. Un tempo Sesto San Giovanni era considerata, descritta, come la “Stalingrado d’Italia”. Quel tempo era già passato, ma mai si era arrivati al punto che a trionfare nel collegio senatoriale uninominale sia stata Isabella Rauti, la figlia di Pino Rauti, ex segretario del Movimento sociale italiano,  fondatore di Ordine Nuovo. 

Il suo sfidante, sconfitto, è Emanuele Fiano, esponente Pd, ‘uomo dell’impegno antifascista sempre in prima linea nel denunciare episodi di antisemitismo e razzismo a parte di gruppi dell’estrema destra, il figlio di Nedo Fiano, deportato per la “sola colpa di essere nato”, per usare le parole di Liliana Segre, sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz e scomparso nel 2020.E sui suoi social, già al mattino, sono comparsi post di insulti antisemiti che Fiano non teme di definire “nazisti. Sono già decine. Immagino che adesso si sentano più liberi di dire quello che tenevano nascosto”.

Questa è l’Italia del 26 settembre 2023. 

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