Ma che roba è mai questa. La politica estera combattuta su un ring mediatico in cui i contendenti si scambiano colpi bassi, accuse velenose, rinfacciandosi il peggio. Stai tradendo il Paese. Zitta te che se vinci a far festa saranno Putin, Trump, Orban. Giorgia Meloni versus Enrico Letta. E la stampa che fa da claque. Aggiorniamo i fatti. Dopo l’intervista alla Cnn di Enrico Letta, Giorgia Meloni decide di replicare. La presidente di Fratelli d’Italia lo ha fatto con un post su Facebook: “La differenza tra la sinistra italiana e i patrioti italiani? Semplice, i patrioti difendendo sempre l’Italia, la sinistra va in giro a screditare la Nazione per difendere il proprio tornaconto. Enrico Letta, segretario del Pd, utilizza la sua intervista alla Cnn non per parlare bene della sua Patria, o almeno del suo programma, ma per lanciare allarmi e menzogne su Fratelli d’Italia dicendo che in caso di vittoria del centrodestra sarà la catastrofe in Italia e in Europa. A Letta – avverte la leader di Fdi – non importa se così facendo danneggia l’Italia, la sua unica preoccupazione è tutelare il sistema di potere della sinistra italiana. Siamo fieri di essere l’alternativa politica a questa gente”.
È ancora social la controreplica del leader dem. “Meloni – scrive Letta su Twitter – mi accusa di screditare l’Italia all’estero perché espongo coi fatti le scelte del suo partito in Europa? Nello stesso giorno lei parla di obbligo di fideiussione per gli stranieri, blocco navale fuori dai nostri confini, Pnrr da rinegoziare. Tre follie per chi ci guarda da fuori”. Il riferimento è alle proposte fatte ida Fratelli d’Italia: l’obbligo di fidejussione bancaria a garanzia delle tasse da pagare per i cittadini extra Ue che vogliono aprire un’impresa. Il blocco navale a largo della Libia per frenare le partenze dei migranti. E la rinegoziazione con la Ue del Pnrr.
Come se non bastasse, ecco il tweet di Carlo Calenda che, dal terzo polo, boccia gli altri due: “Non vi fate distrarre da queste liti da pollaio che hanno come unico obiettivo ripolarizzare il voto tra due coalizioni inconsistenti, contraddittorie e incapaci di governare il paese. Ricordate quello che li unisce: no al rigassificatore, bonus a pioggia etc”.
Ciò che preoccupa di Giorgia Meloni e dei suoi alleati “non è un problema solo di discorsi, ma delle loro scelte a livello europeo: hanno votato contro tutte le direttive e le leggi europee sul cambiamento climatico e non hanno sostenuto il Recovery Plan, cosi importante e positivo per il Paese, sono sempre contro una politica europea sull’immigrazione e su una politica europea per un’Europa più integrata. In Europa i loro alleati sono Marine le Pen in Francia, Orban in Ungheria, cioè partiti e leader che non vogliono un’Europa più integrata ma più debole”. Così si era espresso alla Cnn il segretario del Pd, “Quindi il grande rischio non è solo per l’Italia, ma per l’Europa: abbiamo bisogno di un’Europa più forte e l’Italia al cuore dell’Europa con Francia, Germania, Spagna, Benelux e non Ungheria e Polonia”.
Per un giorno, si è messo da parte Putin. Anzi no. Perché a rimestare nel torbido ci pensa la Pravda. “La potenziale presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni sceglie la strada del caos e porterà l’Italia in una crisi ancora più profonda dell’attuale”.
E’ quanto scrive la Pravda, in home page sul suo sito, in una analisi dedicata al ruolo della Meloni e Fratelli d’Italia in vista delle prossime elezioni del 25 settembre.
“Meloni ha espresso sostegno all’Ucraina e alla fratellanza transatlantica e ha assicurato che il suo governo sarà un solido governo atlantista che sosterrà l’Ucraina nella sua lotta contro la Russia” scrive il quotidiano russo.
“Il compagno di coalizione di Meloni, il leader leghista Matteo Salvini, è sospettato di ‘aver ucciso’ il governo di Mario Draghi ‘su ordine di Vladimir Putin’ (La Lega ha lasciato la coalizione con il Pd nel precedente governo, che ne ha innescato il crollo e le elezioni anticipate)”.
“Meloni, storicamente euroscettica, ora non ha più il coraggio di esserlo, e si può capire il perché. Nella situazione attuale con l’UE, non sarebbe in grado né di coordinare il programma della coalizione né di qualificarsi per le elezioni. Pertanto, Giorgia Meloni nega coraggiosamente i sospetti sull’assistenza russa e mantiene il silenzio sulla sua opposizione all’immigrazione e su quella che ha chiamato la lobby LGBT”, prosegue la Pravda.
Per quanto riguarda l’operazione speciale in Ucraina, Meloni – scrive la Pravda – ritiene che l’Italia non debba essere “l’anello debole dell’Occidente”. L’Italia, invece, dovrebbe dimostrarsi una “nazione orgogliosa e fedele che si toglie lo stereotipo della nazione degli spaghetti e del mandolino, tanto cara ai malvagi”. “Come si vede, Meloni pone un chiaro accento sull’immagine, più che sull’interesse nazionale”, conclude la Pravda.
Né alla Cnn né alla Pravda (scusate l’accostamento) interessa approfondire le posizioni in politica estera dei partiti italiani e dei loro leader. Semplicemente, hanno fiutato il “sangue” e ci si sono fiondati su. Più che un incontro di boxe, sembra una brutta copia del wrestling, dove i lottatori fanno finta di darsele per l’estasi di un pubblico schiamazzante. Sembrano darsele, ma poi, a ben vedere, ciò che a Washington (perché sta sempre lì la fonte di legittimazione internazionale per chi ambisce guidare l’Italia) importa è che chiunque esca vincitore il 25 settembre, non deroghi dall’iper atlantismo. Nei circoli atlantici che contano non interessa l’Europa. L’unica cosa che conta è la fedeltà alla Nato. Una Nato a trazione americana. Su questo, sia Meloni sia Letta sono affidabili. Non c’è loro esternazione in cui non si rimarchi il filoatlantismo. E’ la gara a chi lo è di più (filo-Usa).
E visto dal fronte “progressista”, non è un bel vedere. Non si tratta di rilanciare vecchi slogan, giusti o sbagliati che fossero, che appartengono ad un’altra fase storica. Il punto non è uscire dalla Nato. Il punto è come starci dentro. E’ l’autonomia che rivendichi e che riesci a praticare in un’alleanza data. Essere alleati non dovrebbe voler dire sempre e comunque essere proni ai comandi che vengono da Washington. Su questo avremmo voluto sentire parole chiare dal segretario Pd. Non abbiamo perso la speranza, ma i dubbi sono tanti.
A rendere ancor più tragicomico il quadro, ci pensa la stampa. Con i retroscenismi farlocchi, con “rivelazioni” di presunte intromissioni putiniane nelle elezioni del belpaese che, per come vengono raccontate, sono un insulto all’intelligenza non solo di chi legge ma anche del perfido zar del Cremlino. Ora, di Putin si può dire di tutto e di peggio, e Globalist non si è risparmiato in questo, meno che sia un dilettante.
Se vuole interferire nelle elezioni di un altro Paese non si fa sgamare dalle uscite demenziali di quella parodia di falco ubbriaco che risponde al nome di Dmitrij Medvedev. Se vince la coalizione di centrodestra (come sembra alquanto probabile) e Giorgia Meloni prenderà possesso di Palazzo Chigi, a brindare davvero non sarà Putin ma Trump. Perché il problema sta proprio qui. In politica estera, Meloni dovrebbe far paura non perché filorussa ma perché la sua visione delle relazioni internazionali, e non solo, è quella che anima l’America che si riconosce nell’ex inquilino della Casa Bianca: l’America dei suprematisti bianchi, dei fondamentalisti evangelici. L’America di Steve Bannon, il guru della prima campagna presidenziale, quella vincente, di The Donald.
Un’amicizia che viene da lontano.
Illuminante è un’intervista di Alessandro De Angelis, vice direttore di HuffPost, alla leader di Fdi. Ne riportiamo alcuni passaggi illuminanti:
Presidente Giorgia Meloni, una volta veniva Berlusconi ad Atreju, ora viene Steve Bannon. È proprio il segno dei tempi che cambiano irreversibilmente.
È più semplicemente la conferma che Fratelli d’Italia è pienamente e saldamente nel campo dei sovranisti e dei conservatori e ha quindi interesse a dialogare con tutti in questo campo. Bannon, con il lavoro che ha svolto al fianco di Trump, ha contribuito fortemente a cambiare i paradigmi del nostro tempo e non poteva mancare ad Atreju.
Ma da quando c’è stata questa svolta filo-americana? È comunque una notizia questa adesione a un think tank americano.
Un movimento politico come il nostro, autenticamente sovranista, non è mai filo qualcosa non è filo-americano esattamente come non è filo-russo. La nostra unica stella polare è l’interesse nazionale dell’Italia. Lo perseguiamo in un mondo che cambia e in un’Europa che vogliamo cambiare. Il sovranismo non può essere solo la reazione al fallimento dell’establishment, ha bisogno di diventare sistema di valori riconosciuti per essere vincente nel lungo periodo. Per questo tutte le iniziative culturali, italiane, europee, americane o giapponesi sono utili a far crescere un linguaggio comune.
Stiamo comunque parlando, a proposito del think tank di Bannon, di una struttura che vuole disarticolare l’Unione europea. E l’Italia più debole.
Faccio fatica ad immaginare un’Italia più debole di quella che oggi siede da paria nell’Unione europea, presa a schiaffi da Commissari che nessuno ha mai votato, insultata dall’ultimo ministro lussemburghese, strangolata dalla finanza e dallo spread. Smontare questa Unione di tecnocrati per ricostruire una confederazione di Stati nazionali liberi e sovrani è il nostro obiettivo, perché riteniamo sia un modello migliore per l’Europa e per l’Italia. Se, anche attraverso l’azione culturale di “The Movement”, questo discorso viene condiviso sempre di più abbiamo solo da guadagnarci.
Come nasce il vostro rapporto?
Ci siamo incontrati un paio di volte e c’era il reciproco interesse a conoscerci e ora posso dire che tra noi è nata un’amicizia spontanea. Credo di averne definitivamente conquistato la stima qualche giorno fa mentre rilasciavo un’intervista a un giornalista inglese. A un certo punto non ci ho visto più e gli ho risposto a modo mio. Credo ne sia rimasto molto colpito.
Salvini ufficializzò la sua adesione a The Movement proprio mentre lei era a pranzo a Venezia con Bannon? È lui che si è intromesso tra di voi?
Non sono gelosa, vado per la mia strada e seguo il mio percorso.
L’intervista è del 17 settembre 2018.
Non ci risulta che la leader di Fli abbia cambiato idea. Né sul sovranismo né su Bannon (condannato il 22 luglio scorso da una giuria federale per oltraggio al Congresso per essersi rifiutato di testimoniare davanti alla commissione d’inchiesta della Camera che sta indagando sulle responsabilità di Trump nell’assalto al Congresso statunitense del 6 gennaio 2021, compiuto da suoi sostenitori).
E fu proprio sul palco di Fratelli d’Italia che Bannon annunciò la nascita di “The Movement”. “Dal vostro governo partirà la rivoluzione” aveva ribadito. Nonostante il suo dissenso all’alleanza Lega-M5S, Meloni si era detta onoratadi avere il supporto dell’amico Steve.
Scrive bene Francesca De Benedetti sul Domani: “Si fa presto a dirsi «atlantisti». Ma mai come oggi, non c’è un’America sola. E quella alla quale Giorgia Meloni fa riferimento è la stessa di Steve Bannon e Donald Trump.
- Fratelli d’Italia ha costruito una rete di rapporti che attraversa think tank atlantici, partiti e ambienti legati agli Stati Uniti, con tanto di «svolta conservatrice» finalizzata proprio a dare un patentino di governabilità al partito e alla sua leader.
- Ma dietro il “Washington washing” di Fdi, e cioè dietro il tentativo di rassicurare gli osservatori internazionali con l’ombrello di Washington, c’è il ben poco rassicurante mondo trumpiano partecipe dell’assalto a Capitol Hill e alle istituzioni democratiche statunitensi.”.
Ma di questi inquietanti legami – aggiungiamo noi – gli avversari di Meloni non sembrano particolarmente interessati, tanto meno preoccupati. L’importante è gareggiare a chi è più atlantista. E’ la sindrome dell’accreditamento che vale a destra, al centro e, ahinoi, pure a sinistra. Non importa chi sieda nello Studio Ovale, se sia repubblicano o democratico, che si chiami Trump o Biden. L’importante è la benedizione che si riceve. Ma questo vuol dire accettare di essere un Paese a sovranità (internazionale) limitata. E che pur di governare finisci per accettarlo. Basta dirlo. Ma di “sinistra” questo non ha davvero nulla.
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