Il ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli oggi ha ripetuto un vecchio adagio: ‘Qualcuno vorrebbe il M5S fuori dal governo’. E dire che quel qualcuno, dopo la vicenda paradossale di ieri, assomiglia sempre di più a chi bazzica abitualmente la sede dei 5 stelle in Campo Marzio.
Facciamo un passo indietro: mercoledì il Fatto Quotidiano ha un’intervista con il sociologo Domenico De Masi, il sociologo racconta di aver ascoltato nei mesi scorsi alcune confidenze di Beppe Grillo. In una di queste, il fondatore dei 5 stelle dice di aver ricevuto una telefonata in cui Draghi gli caldeggiava la rimozione di Giuseppe Conte.
Apriti cielo, Conte si infuria, Draghi torna in Italia, lasciando anticipatamente il vertice Nato a Madrid, smentendo categoricamente le confidenze comunicate dal sociologo a Marco Travaglio.
Ed allora cosa è successo realmente? Io credo che il M5S abbia cominciato una sorta di prova tecnica di allontanamento dal governo, precostituendosi ragioni che esulano dal confronto politico.
Io credo che Conte debba aver chiaro che cosa succederebbe se la sua delegazione dovesse abbandonare l’esecutivo e riprendersi, come si suol dire, le mani libere.
La prima conseguenza sarebbe l’impossibilità del Pd di immaginare qualsivoglia alleanza.
Il segretario Letta rivendica giustamente il fatto che i nostri gruppi parlamentari siano diventati l’architrave dell’esecutivo: ne consegue che non si potranno certo fare intese con quelle forze esterne ed ostili al governo.
Ed allora cosa fare? Il Pd non è solo, abbiamo visto il contributo importante che il civismo ci ha portato alle recenti elezioni comunali, poi c’è una variegata offerta politica che guarda al centro. Renzi, Calenda, Di Maio, Sala, per citare solo i nomi più noti, esponenti e forze politiche con cui il Pd deve dialogare per strutturare una proposta per l’Italia.
Domani comincia il mese di luglio, io credo che intorno a ottobre/novembre il panorama politico sarà abbastanza diverso da quello di oggi
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