La Russia di Putin: un paese che si nutre di slogan da imperialismo straccione, come fece Mussolini
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La Russia di Putin: un paese che si nutre di slogan da imperialismo straccione, come fece Mussolini

La realtà della Russia di Putin è, purtroppo per i russi, ben diversa dalla visione del mondo che le bandiere rosse con la falce e il martello offrivano al vento della Storia, speranze e prospettive di una società giusta

La Russia di Putin: un paese che si nutre di slogan da imperialismo straccione, come fece Mussolini
Vladimir Putin
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Antonio Rinaldis Modifica articolo

3 Giugno 2022 - 16.34


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Ci sono immagini che diventano simboli, aprono mondi, rimandi e costringono a pensare. Sono le bandiere rosse con la falce e il martello, simbolo dell’Unione Sovietica, che sventolano sui carri armati russi, sulle piazze delle città appena conquistate. Quelle immagini sembrano segnare una continuità tra l’Impero sovietico e la Russia di Putin, almeno nelle intenzioni dei militari e delle forze di occupazione; sulla natura di questa continuità è tuttavia lecito interrogarsi, anche se quelle immagini provocano uno choc temporale, perché si ha l’impressione di essere ritornati indietro, nel secolo scorso, nel pieno della guerra fredda, della contrapposizione dei blocchi, della cortina di ferro, della contrapposizione tra mondo occidentale capitalista e mondo orientale comunista. 

E tuttavia la Russia di Putin in che rapporto sta con la vecchia Unione Sovietica? Dal punto di vista territoriale Putin ha più volte accusato prima Lenin e poi Krusciov di avere contribuito alla disintegrazione del mondo russo, in particolare modo con la concessione dell’indipendenza dell’Ucraina, all’interno dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, fin dal 1919 e successivamente di avere separato la Crimea dalla Russia per assegnarla all’Ucraina.

Quindi nessuna continuità sul piano politico, ma anzi una decisa critica alle concessioni fatte dai bolscevichi alle ragioni indipendentiste degli ucraini. La storia della nascita dell’Urss è legata all’idea del superamento del centralismo zarista, che aveva soffocato le numerose etnie dell’impero, soprattutto quelle caucasiche e asiatiche, per segnare una discontinuità con il vecchio regime, proponendo un modello di stato confederale e maggiormente rispettoso delle autonomie locali.

In seguito l’idea leninista viene decisamente soffocata da Stalin che impone il primato della nazione russa e, soprattutto in vista della futura, imminente guerra, rafforza il controllo dello Stato centrale, sacrificando vieppiù ogni forma di indipendenza nazionale in nome di un patriottismo sovietico finalizzato alla difesa dall’aggressione tedesca. Dell’Urss la Russia di Putin ha però ereditato il monolitismo del Potere, perché è sufficiente pensare che da quando Putin è diventato per la prima volta Presidente della Federazione nel dicembre del 1999, ha conservato alternativamente quella carica con quella di Primo Ministro, fino a modificare la Costituzione che gli permetterà di restare in carica fino al 2036. Per evidenziare il grado di immobilismo del sistema politico russo è sufficiente pensare che nei vent’anni di putinismo gli Stati Uniti hanno eletto ben cinque diversi Presidenti, appartenenti agli opposti schieramenti democratici e repubblicani. 

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La bandiera rossa con la falce e martello dice qualcosa sulla Russia sociale? C’è in questa Russia una seppur vaga sopravvivenza dei valori che avevano guidato la Rivoluzione d’Ottobre? Anche in questo caso l’unico elemento di continuità, come già denunciato profeticamente da Anna Politkoskaja nel suo libro La Russia di Putin, è rappresentato dalla sistematica violazione dei diritti civili e delle libertà elementari, e dalla totale mancanza di autonomia della Magistratura dall’esecutivo, dalla corruzione diffusa a tutti i livelli, dalla presenza di una élite che ha sostituito i funzionari del Pcus, che controlla il governo e le istituzioni giudiziarie. La Russia di Putin è un Paese di poveracci che spende una parte considerevole del proprio bilancio per sostenere una politica di potenza, che si nutre degli slogan tipici dell’imperialismo straccione che fu proprio del fascismo italiano, che dichiarava guerra alle potenze plutocratiche dell’Occidente, sperando di giustificare la propria sostanziale aggressività con uno slogan che richiamava gli ideali di Robin Hooh, togliere ai ricchi per restituire ai poveri.  

La realtà della Russia di Putin è, purtroppo per i russi, ben diversa dalla visione del mondo che le bandiere rosse con la falce e il martello offrivano al vento della Storia, speranze e prospettive di una società giusta e solidale. Sarà sufficiente qualche dato economico per chiarire la condizione in cui si trova la maggior parte della popolazione russa. Partiamo dalla distribuzione della ricchezza, che era stato uno degli obiettivi della rivoluzione bolscevica: secondo il quotidiano Kommersant, che cita autori di uno studio condotto da analisti della Higher School of Economicse dall’Istituto per la ricerca e la competenza di Vnesheconomk, nell’anno 2019, nelle mani del 3% dei russi è concentrato quasi il 90% delle attività finanziarie totali del Paese, i titoli, i depositi vincolati, i conti correnti e il denaro. Secondo un altro studio poco più di 100 persone detengono il 35% della ricchezza nazionale. La principale fonte di arricchimento dei miliardari russi è costituita dalla vendita di energie non rinnovabili come gas e petrolio, di cui detengono il monopolio grazie all’aiuto di politici corrotti. Secondo uno studio recente l’80% delle famiglie russe è al limite della sopravvivenza, il 22%, ad esempio rientra nella “poverty zone”, ossia qyella condizione in cui non è possibile avere nulla se non i beni di prima necessità. Il 36%, invece, appartiene alla “consumer risk zone”, che include famiglie dal reddito ridotto (se non nullo) che consente loro di comprare solo cibo e qualche vestito, rendendo l’acquisto di beni estremamente difficoltoso. Per questa categoria, escluso un campione del 14% che rientra nella “zone of possible changes” non sono previsti miglioramenti economici nel breve periodo. Resta poi un 28% di popolazione che rientra nella “comfort zone”. Secondo il Russian Federal State Statistics Service, Rosssta, 19 milioni di russi vivono sotto il livello di sussistenza pari a 149 dollari mensili. 

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In un quadro così desolante per i cittadini-sudditi russi quanto costa la guerra di Putin? Secondo la rivista militare SOFREP la guerra costa alla Russia novecento milioni di dollari al giorno, senza contare le spese per i missili da crociera che costano 1,6 milioni di dollari ciascuno. Il Pil russo, secondo le stime del Fmi potrebbe ridursi del 15% nel 2022. Infine un dato sulle spese militari e la loro incidenza sul bilancio dello Stato russo. Un dato su tutti dovrebbe illuminare anche chi non vuole vedere: fin dal settembre del 2021 la Tass, autorevole fonte di stampa russa, aveva annunciato un aumento delle spese militari nel biennio 2022-2024 del 15%. In pratica nel biennio 22-24 Mosca spenderà dieci miliardi di dollari in più rispetto alle previsioni, prova evidente che la guerra di aggressione all’Ucraina era stata ampiamente progettata fin dall’anno scorso e che quindi Putin ha ingannato deliberatamente tutti i suoi interlocutori. Al contrario le spese per la sanità pubblica ammontano al 5,5% del bilancio statale e la speranza di vita è di 64 anni per gli uomini e 75 anni per le donne.  

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Come si vede la Russia di Putin è un Paese di profondi squilibri e di enormi ingiustizie sociali. Come tutti i regimi autoritari anche la Russia di Putin utilizza la guerra come elemento di distrazione di massa, e secondo la lezione di Orwell, scarica le tensioni interne, la frustrazione popolare contro un nemico esterno, esaltando il patriottismo e il senso di appartenenza, che cancella e minimizza le differenze sociali, le ingiustizie, la palese mancanza di libertà e di diritti. Per questo la Russia fa paura, perché tutti i regimi autoritari hanno la guerra nella loro destinazione naturale; la mobilitazione permanente dell’opinione pubblica e la militarizzazione della vita sono l’unica possibilità per giustificare il dispotismo dell’autocrate e rendere sopportabile la miseria economica e morale della popolazione. 

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