In morte di Benito Mussolini, il dittatore criminale di cui troppi hanno ancora nostalgia
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In morte di Benito Mussolini, il dittatore criminale di cui troppi hanno ancora nostalgia

Il 28 aprile del 1945 il Cln eseguì la condanna a morte del Duce che si era reso responsabile del degrado morale e materiale dell'Italia

Benito Mussolini
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

28 Aprile 2022 - 09.56


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Ormai da tempo in Italia tira una pessima aria. Un rovente vento mefitico, fatto di indifferenza, oblio, crassa ignoranza. Un vento che avvelena la politica e la convivenza civile d’un Paese sciagurato, che passa da un dramma all’altro senza mai fare tesoro dei propri tragici errori.

Tra questi, il più grave e pernicioso è certo stato l’esperienza del fascismo, quando un secolo fa uno squallido avventuriero agguantò il potere con la violenza approfittando delle fragilità di uno Stato prostrato da un micidiale conflitto mondiale, e con una banda di criminali precipitò la nazione nella totale distruzione morale e fisica e nell’orrore di un “patto di acciaio” con la barbarie nazista: in soli vent’anni, l’Italia cancellò secoli di arte e civiltà che l’avevano resa unica nel mondo.

Da quella terrificante esperienza, grazie all’impegno e al sacrificio anche della vita di coloro che s’impegnarono in una lotta senza quartiere contro il nazifascismo, nacquero la Costituzione e la Repubblica italiana, cioè, pur tra tanti guasti, un mondo di libertà democratiche, un modo di vivere che oggi ci sembra scontato, e scontato non è.

Ma la memoria è labile. Sono passati quasi ottanta anni da quei terribili eventi, i protagonisti di quei giorni sono quasi tutti scomparsi e un viscoso velo di indifferenza, di cinismo e di dimenticanza ha ricoperto gli eroismi, gli ideali, i valori che hanno reso possibile la fine di una spietata dittatura. Dimenticare è fatale. E così, in questi infausti giorni assistiamo a ciò che i nostri padri avevano temuto e mai si sarebbero augurato: il risorgere d’uno strisciante fascismo, che assume le forme più vili e subdole, un fascismo nei fatti se non nelle parole, che si ammanta d’una falsa umana pietà. Un esempio tra i tanti: in occasione della ricorrenza della morte, avvenuta il 28 aprile 1945, sui giornali appaiono necrologi in ricordo di “sua eccellenza Cavalier Benito Mussolini”. E, a rimarcare l’affronto alle migliaia di morti, al dolore di tanti e alla distruzione d’un Paese dovuti alla follia di quel “cavaliere”, l’oscena frase “Sempre in noi presente”.

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Sì, Mussolini e la sua dittatura dovrebbero sempre rimanere in noi tutti presenti poiché, incredibilmente, sembra che non si sappia più distinguere tra fascismo e democrazia. Certo, sappiamo bene che su di lui e sul fascismo girano da sempre un mare di “bufale”, sappiamo che a un presente negativo si è voluto contrapporre un passato mitizzato, dove il fascismo più che di un’ideologia assume i connotati di una narrativa pubblica, una sorta di racconto mitico di felicità perduta. Del resto, come aveva lucidamente capito Goebbels, “ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte, e diventerà una verità”. Ma le fake news storiche sono una cosa, la realtà, la storia, sono altre. Perché al di là degli squallidi revisionismi, degli oblii e dell’ignoranza voluta e ricercata, gli eventi della storia hanno espresso il loro insindacabile giudizio: l’uomo Benito Mussolini è stato un efferato criminale che ha assassinato l’Italia e migliaia di italiani.

Mussolini è stato il dittatore di un regime totalitario che eresse la violenza a sistema, e che “produsse la più grande contrazione dei diritti civili degli italiani da quando esiste il concetto di diritto civile”. Mussolini è stato di fatto, dati alla mano, “il maggior massacratore di italiani della storia”, come ha scritto lo studioso Francesco Filippi. Il fascismo è stato un movimento totalitario e distruttivo delle libertà individuali, che manteneva il potere con la forza, che ricorreva sistematicamente alla violenza: picchiava, incarcerava, mandava al confino e uccideva tutti coloro che vi si opponevano. Lo stato che eresse fu non soltanto violento, ma corrotto e incapace: “un’associazione a delinquere”, come disse con arrogante spregio delle regole democratiche lo stesso Mussolini nel suo discorso alla Camera del 3 gennaio del 1925, assumendosi la paternità dell’omicidio di Giacomo Matteotti. Per aver denunciato pubblicamente le nefandezze, le corruttele e le violenze del regime, il leader socialista era stato ammazzato da una squadraccia fascista, e quell’omicidio, come decine d’altri di quella matrice, ancora infanga la memoria di questo Paese.

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Per le sue smanie imperialiste, Mussolini lanciò il Paese in una ridicola avventura coloniale in Africa. Ridicola per noi, non certo per libici, somali ed etiopi, soggetti a un tentativo di genocidio. In sette mesi di campagna militare, in Etiopia gli italiani violarono sistematicamente le norme della convenzione di Ginevra sui civili e sui prigionieri di guerra, il maresciallo Rodolfo Graziani, un criminale di guerra, usò i gas e per la prima volta nella storia fu persino bombardata la Croce Rossa. I gas e i bombardamenti terroristici contro i civili, le repressioni, le decimazioni, le deportazioni, erano strumenti già impiegati per “pacificare” la colonia di Libia, e sarebbero stati nuovamente messi in atto nell’invasione della Jugoslavia nel 1941. Si tratta di una costante del modo di operare del regime fascista che si fondava su un virulento razzismo basato sulla costruzione del mito della razza italiana, l’odio e la totale intolleranza verso l’altro, il diverso, che produsse aberranti risvolti normativi, come il divieto di contrarre matrimonio tra gli italiani “ariani” e individui delle razze sottomesse. Il culmine di tali vergogne si raggiunse con le leggi antiebraiche del 1938 e con la mostruosa deportazione degli ebrei nei campi di sterminio, ma l’istituzionalizzazione del dominio razzista nelle colonie non aveva nulla da invidiare a quella dell’alleato tedesco. In realtà, il razzismo mussoliniano, contrariamente a quanto fa comodo ad alcuni credere, ha una propria autonomia di pensiero e di azione, e in taluni passaggi è stato addirittura anticipatore del piano di sterminio nazista.

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Chissà perché, poi, quei politici e quei nostalgici che flirtano con la figura di Mussolini dimenticano che il dittatore coinvolse il paese in una guerra che fece 472.000 morti italiani, di cui un terzo civili. A questi andrebbero sommate anche le vittime della violenza squadrista, i morti in carcere e al confino, i soldati uccisi nelle guerre di aggressione in Etiopia e di dominio in Libia, ma anche a causa delle precarie condizioni sanitarie del paese durante il regime. Un numero che sorpassa le cifre delle morti italiane in qualsiasi altro evento storico: il fascismo è stato l’avvenimento più mortifero della storia d’Italia.

E, tra le dimenticanze più oscene, ci sono le stragi nazifasciste di civili che hanno insanguinato l’Italia dal 1943 al 1945, con i repubblichini della RSI volontari e volenterosi carnefici: una delle pagine più bestiali e tragiche della nostra storia.

Alla luce delle sinistre risorgenze di neofascismi a vario titolo, la storia va ricordata, ripetuta e tramandata. Perché la base di un possibile futuro totalitario, di un ritorno alla barbarie che già avvelena l’aria, passa anche dalla rimozione, o peggio, dalla riabilitazione del passato totalitario che l’Italia porta inciso a sangue nel suo corpo piagato.

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