Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, in una intervista con Repubblica fa un ragionamento secondo cui il Pd dovrà essere il battistrada di una coalizione “tra i riformisti, dai socialisti ai liberali, alludo a uno schema – dice Gori- che possa andare anche oltre gli schieramenti classici, relegando all’opposizione i populisti e le forze anti-europee”. Insomma, una maggioranza Ursula con dentro anche Forza Italia.
Io penso che Fi non abbia interesse a restare ingabbiata dentro una coalizione disomogenea e instabile, col rischio di essere egemonizzata da forze di matrice nazionalista – sostiene Gori-. Se resta il maggioritario sarà difficile che il quadro muti. Se invece matureranno le condizioni per una legge elettorale di tipo proporzionale — simile a quella tedesca, dove le maggioranze si formano a valle del voto sulla base di chiari impegni di governo — la situazione potrebbe cambiare. E sarebbe, io credo, una cosa buona per l’Italia, che ha bisogno di proseguire il percorso di modernizzazione e di rilancio avviato dall’amministrazione Draghi. Perché questo accada è auspicabile che le forze riformiste e socialiste lavorino insieme, come già succede in Europa nella Commissione von der Leyen, superando la classica divisione fra centrodestra e centrosinistra”. Del resto, per il sindaco di Bergamo la prospettiva per il Pd non è con M5s.
“Per me vale la road map tracciata da Letta nel giorno della sua investitura: prima si pensa a far crescere il Pd coltivandone l’identità come forza del lavoro, dell’equità e della modernizzazione del Paese. Poi si ricostruisce il centrosinistra. E infine si dialoga con i 5S, sperando che recuperino un assetto più stabile. Con una chiara gerarchia delle relazioni”.
Dunque, il Pd deve “ricercare convergenze anche con i partiti moderati, come insegna la vicenda del Quirinale”. Gori non ha “mai considerato il M5S un alleato particolarmente affidabile”. E il campo largo non può essere Pd-5s-Leu. Per cui Calenda, Renzi, Forza Italia, i riformisti. A cui Draghi, secondo Gori, non potrebbe dire di no dopo il voto del 2023. “Se dal voto dovesse uscire una maggioranza di impronta riformista, questa potrebbe chiamare Draghi a completare il lavoro su riforme e Pnrr”.