Indagine sui camici: rogatoria in Svizzera, Fontana indagato per autoriciclaggio
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Indagine sui camici: rogatoria in Svizzera, Fontana indagato per autoriciclaggio

La procura di Milano vuole completare la documentazione allegata alla domanda di voluntary disclosure presentata dal presidente della Lombardia

Attilio Fontana
Attilio Fontana
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31 Marzo 2021 - 15.11


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Prima le polemiche e i sospetti. Ora gli accertamenti.
La procura di Milano ha lanciato una rogatoria in Svizzera “al fine di completare la documentazione allegata alla domanda di voluntary disclosure presentata da Attilio Fontana”.
Lo comunica in una nota il procuratore di Milano, Francesco Greco, sottolineando che la rogatoria intenzionale si è reso necessaria “per approfondire alcuni movimenti finanziari”.
Il presidente della Regione Lombardia è indagato per frode nelle pubbliche forniture nell’inchiesta sulla fornitura di camici commissionata dalla Regione Lombardia alla Dama, società di proprietà di Andrea Dini, cognato del governatore, e partecipata anche da sua moglie.

Il presidente della regione è anche indagato per autoriciclaggio.
Attraverso il suo difensore, si legge ancora nella nota della procura di Milano, il presidente della giunta regionale si è detto disponibile “a fornire ogni chiarimento sia in sede rogatoriale” o “mediante la produzione documentale” oppure con la “presentazione spontanea dell’assistito”.

Secondo quanto ricostruito dai pm Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, titolari dell’indagine condotta dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, il governatore lombardo a maggio scorso avrebbe prelevato 250 mila euro da un suo conto in Svizzera dove, nel 2015, erano stati scudati grazie alla voluntary disclosure 5,3 milioni di euro fino ad allora custoditi in due trust delle isole Bahamas. Ed è questo aspetto, di carattere prettamente fiscale, quello che i magistrati milanesi intendono approfondire grazie alla documentazione richiesta alle autorità elvetiche.
Il denaro prelevato dal governatore lombardo in Svizzera serviva – sempre stando all’ipotesi degli inquirenti milanesi – per risarcire con 250 mila euro il cognato Dini dopo la decisione di trasformare in donazione l’iniziale contratto (dal valore complessivo di 513 mila euro) per la fornitura alla Regione di 75 mila camici e 7 mila set sanitari da destinare a medici e infermieri durante la prima ondata dell’emergenza Coronavirus. Il pagamento a favore di Dini non andò mai in porto: fu bloccato dell’Unione Fiduciaria di Milano che, come previsto dalla normativa antiriciclaggio per questo genere di operazioni, lanciò una segnalazione all’Uif di Bakitalia.
Al centro dell’inchiesta milanese c’è il contratto sottoscritto tra Dama (la società di abbigliamento varesina del cognato del governatore che, tra l’altro, detiene noto marchio Paul&Shark) e Aria (la centrale acquisti della Regione Lombardia) il 16 aprile 2020 e trasformato in donazione poco più di un mese più tardi (il 20 maggio) dopo che la trasmissione Report cominciò a occuparsi del caso. Una fornitura che però non venne mai portata a termine. Dei 75 mila camici previsti nell’iniziale contratto di fornitura, soltanto 50 mila vennero effettivamente consegnati alla Regione Lombardia. Dagli atti di indagine è emerso il tentativo di Dini di rivendere sul mercato i 25 mila camici mancanti. Un “inadempimento” che, secondo ai pm, ha causato alla Regione Lombardia un danno rappresentato proprio dal mancato completamento di una fornitura necessaria per permettere al personale sanitario lombardo di far fronte all’emergenza Covid. Da qui il reato di frode nelle pubbliche forniture contestato a Fontana in concorso con il cognato Dini e con l’ex direttore generale di Aria, Filippo Bongiovanni, anche di turbata libertà nella scelta del contraente.

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