Parole interessanti, soprattutto dopo decenni nei quali gran parte della sinistra ha rinnegato gli ideali di eguaglianza e di lotta allo sfruttamento per accodarsi acriticamente alle logiche del liberismo predatorio che nel nome dei ‘mercati’ e della ‘concorrenza’ hanno provocato, negli anni, il deplorevole fenomeno per cui i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri e fatta finire nella mani di pochi la ricchezza del mondo.
Ora c’è un momento di riflessione: “Siamo a cent’anni dalla fondazione del Pci. Nel 1921 iniziò una lunga storia che attraversò il ‘900, con i suoi picchi e le sue tremende atrocità e tragedie”.
Sono le parole di Nicola Zingaretti in un intervento pubblicato su Immagina.
Il Pci “tentò, mai rinnegando ideologicamente l’orizzonte del comunismo, una variante europea, democratica, rispettosa della libertà e rinnovata nel suo profilo ideale e programmatico” e fu “un grande partito nazionale, fondatore della Repubblica e tra i principali protagonisti della lotta al nazifascismo”, scrive tra le altre cose il segretario del Pd proseguendo.
“Il Pci formò un insediamento nel cuore della società italiana sempre più identificato nella costruzione della Repubblica, nelle concrete lotte dei lavoratori, nella stagione dei diritti degli anni ’70, nel buon governo degli enti locali, nella più coerente lotta al terrorismo, nel coinvolgimento di tanti giovani alla partecipazione politica e al dibattito ideale. Arrivai per questa via, anch’io alla federazione comunista italiana”, scrive Zingaretti.
Il segretario dem, nel lungo intervento, tra l’altro sottolinea: “Non avevamo in testa le vicende sovietiche, piuttosto c’eravamo formati nel Movimento per la Pace e raccoglievamo le firme contro i carri armati sovietici in Afghanistan. Né tanto meno libri di Marx, di Lenin o persino di Togliatti. Non avevamo in testa particolari ideologie o miti da consacrare. Piuttosto sentivamo quella comunità di giovani comunisti, dentro al Pci, come il canale migliore per esprimere le nostre inquietudini, gli aneliti dell’anima, le disordinate spinte adolescenziali, già chiare nelle loro fondamentali discriminanti”.
“Per non accettare il mondo così com’è. Rinunciando a quell’utopia di fuoriuscire dalla nostra società, dovevamo, però, migliorarla con più decisione. Riformare il capitalismo, renderlo più umano, controbilanciare con la politica i suoi istinti animali -si legge ancora-. E poi, dopo la fine dei partiti di massa, costruirne di nuovi capaci di rappresentare quei canali di scorrimento tra l’alto e il basso che erano stati garantiti dal partito comunista, dalla Dc, dal partito socialista, dall’azionismo laico nei trent’anni gloriosi della democrazia italiana”.
“Abbiamo fatto tanto. Ma non siamo stati all’altezza di tutti i compiti che ci attendevano. È il tema dell’oggi. Di come riprendere in mano questo lavoro con un pensiero moderno, riformatore, profondamente umano che cambia l’esistente”, è la conclusione di Zingaretti.