Non c'è 2 giugno senza 25 aprile: la Destra non potrà cancellare la Storia
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Non c'è 2 giugno senza 25 aprile: la Destra non potrà cancellare la Storia

La Festa della Repubblica è figlia della Resistenza e nasce nel segno dell'antifascismo come naturale conseguenza politica, civile e umana.

Salvini e Meloni
Salvini e Meloni
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

2 Giugno 2020 - 08.04


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Sulla stampa gira la notizia che Giorgia Meloni, fondatrice di Fratelli d’Italia, in occasione della manifestazione indetta dalla destra contro il governo Conte, avrebbe chiesto al Ministero della Difesa di poter deporre il 2 giugno, insieme a Salvini e Tajani, una corona d’alloro al Milite Ignoto, il monumento nel cuore della capitale. Pare che la signora si sia risentita dell’ovvia risposta negativa ricevuta dal cerimoniale di Palazzo Chigi: il gesto altamente simbolico con cui si celebra la nascita della Repubblica italiana nata dalla Resistenza e dalla lotta di Liberazione antifascista spetta da sempre al Presidente della Repubblica, figura istituzionale garante della Costituzione e al di sopra d’ogni schieramento politico. Punto.

La notizia conferma il costante, subdolo tentativo dei movimenti reazionari di questo Paese di strumentalizzare in ogni modo una festività nazionale dai profondi significati simbolici, a cominciare dalla manifestazione indetta per il 2 giugno. Una manifestazione che, sia chiaro, non intende celebrare una tanto urgente e necessaria unità nazionale, soprattutto in un momento di drammatica difficoltà per i disastri provocati dall’emergenza del Covid-19, ma che al contrario si propone di spaccare ulteriormente gli animi, accentuare le lacerazioni, approfondire il solco ideologico che separa le parti, giocando sulle criticità e sulle tragedie d’un intero Paese.

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Considerata la scarsa preparazione storica e politica dei cosiddetti sovranisti, varrà forse la pena ricordare alcuni principi, costitutivi della nostra democrazia. Il 2 giugno si celebra la nascita d’un Paese democratico, fondato su una Costituzione repubblicana frutto dello sforzo congiunto di un ampio arco di forze politiche, ideologicamente anche molto diverse, che con grande tributo di sangue e di sofferenze combatterono e sconfissero il fascismo del dittatore Benito Mussolini. La Festa della Repubblica è cioè figlia della Resistenza: nasce da essa, dalla lotta di Liberazione e dall’antifascismo – ne è la naturale conseguenza politica, civile, culturale ed umana.

Dunque, il 25 aprile, Festa della Liberazione, e il 2 giugno sono celebrazioni intimamente, strutturalmente, fisiologicamente legate: gemelle figlie della stessa madre. La seconda non avrebbe ragion d’essere senza la prima. Questa verità lapalissiana, sotto gli occhi di ogni cittadino con un minimo di senno, non avrebbe neanche bisogno di essere rimarcata se non fosse che il sovranismo populista erede d’un mai rinnegato fascismo cerca da anni di operare un’assurda separazione tra le due celebrazioni, negando con nevrotico strepito la prima e blaterando di patria e di bandiere per la seconda.

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A tal punto giunge la schizofrenia di un’ideologia cancellata dalla storia, ma che sempre trova qualche guascone a incarnarla e qualche sciocco pronto a votarlo: la Festa della Liberazione no, non la riconosciamo, la Festa della Repubblica sì, è la nostra festa. Siamo, letteralmente, davanti ad un nonsense, ad un’affermazione insensata, spiegabile con l’ignoranza o con la consapevole strumentalizzazione operata per bassi fini di calcolo politico, con buona pace della nazione e della Patria tanto sbandieratamente amata.

Al di là delle imbalsamazioni e delle sclerotizzazioni cui queste ricorrenze sono fisiologicamente soggette nelle celebrazioni ufficiali, il 25 aprile e il 2 giugno rimangono – e sempre rimarranno sin quando in questo sciagurato Paese esisterà uno straccio di democrazia – il simbolo più alto ed il ricordo sempre vivo di un immenso sforzo etico, morale, civile pagato con tremendo tributo di sangue da una generazione di combattenti che intesero dare un futuro ad un Paese fisicamente e moralmente distrutto da un ventennio di scellerata dittatura. Coloro che a quella dittatura in un modo o nell’altro si rifanno, non avrebbero alcun diritto di festeggiare una celebrazione che sancisce e ci ricorda la fine dei loro padri politici.

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Ma una democrazia, se davvero salda, deve permettere anche a costoro di operare nel libero gioco della politica. Bisogna però essere tutti ben consapevoli dell’assurdità di tali prese di posizione, della loro realtà schizofrenica. Per quanto scontato sia per ogni cittadino dotato di buon senso, lo ribadiamo: il 25 aprile e il 2 giugno sono le sorelle gemelle d’uno dei parti morali e civili più alti mai prodotti dall’Italia. Separarli con un’operazione di chirurgia ideologica significa cancellare il loro significato storico e morale, primo passo verso la fine della democrazia.

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