Nella conferenza stampa del premier Conte di domenica 26 aprile molti italiani si aspettavano un passo decisivo e fermo del governo di fronte alla possibile riapertura. In troppi, però, sono rimasti delusi dal fatto che nulla o poco sia cambiato rispetto alla fase 1 e – se parrucchieri, estetisti e ristoratori hanno dato il via a una protesta – i cittadini non sono stati da meno. A partire dalla possibilità di incontrare i congiunti, il giorno seguente l’annuncio dell’inizio della fase 2, l’Italia è entrata nel caos.
Ma il governo ha pianificato la riapertura basandosi su un documento elaborato dal comitato tecnico scientifico: che cosa potrebbe averlo spinto alla cautela? “Analizzando i dati sull’andamento del contagio appare evidente che lo spazio di manovra sulle riaperture non è molto“.
Questa è la premessa che il comitato tecnico scientifico ha posto in calce al documento sulla riapertura in vista della fase 2. Una ripresa – quella dal 4 maggio – che, secondo la task foce guidata da Silvio Brusaferro, deve mantenere “un approccio di massima cautela“. Una relazione di 22 pagine che “presenta la valutazione dei rischi di diffusione epidemica per la malattia Covid-19 associata a diversi scenari di rilascio del lockdown introdotto l’11 marzo sul territorio nazionale”. Potrebbe essere stato questo documetno a frenare il premier di fronte alla ripresa. La riapertura porterebbe con sé un inevitabile aumento dei contagi e vi sono in particolare alcuni settori dove la diffusione sarebbe molto semplice.
Mentre per il settore edile e manifatturiero – scrivono gli esperti – questo scenario può considerarsi realistico, per il settore commerciale e di ristorazione un aumento di contatti in comunità è da considerarsi un’inevitabile conseguenza dell’apertura di tali settori al pubblico, e può potenzialmente innescare nuove epidemie. Sulla base di grafici e studi epidemiologici, il comitato arriva a definire alcuni punti sui quali prestare particolare attenzione. Esistono, come detto, alcuni particolare settori di produzione e di aggregazione che potrebbero far scoppiare focolai incontrollabili e sui quali occorre prestare attenzione. La riapertura delle scuole – ad esempio – aumenterebbe in modo significativo il rischio di ottenere una nuova grande ondata epidemica in quanto muoverebbe masse di studenti che dai mezzi pubblici si ritroverebbero negli istituti scolastici. Ma un simile discorso, secondo gli esperti, vale per tutti gli scenari di riapertura in cui si prevede un aumento dei contatti in comunità. Un successivo punto riguarda invece la riapertura dei soli settori professionali (mantenendo le scuole chiuse), che provocherebbe un numero di contagi superiore al numero di terapie intensive disponibili a livello nazionale (circa 9000). Altre due ipotesi riguardano invece l’adozione delle protezioni. Nell’ipotesi in cui l’adozione diffusa di dispositivi di protezione individuale riducesse la trasmissibilità del 15%, “gli scenari di ripresa del settore commerciale potrebbe permettere un contenimento sotto la soglia epidemica solo riuscendo a limitare la trasmissione in comunità negli over 60 anni”.
Se, invece, l’adozione diffusa di dispositivi di protezione individuale riducesse la trasmissibilità del 25%, “gli scenari di riapertura del settore commerciale e di quello della ristorazione potrebbe permettere un contenimento sotto la soglia solo riuscendo a limitare la trasmissione in comunità negli over 65 anni”. Questo significa che “l’utilizzo diffuso di misure di precauzione, il rafforzamento delle attività di tracciamento del contatto e l’ulteriore aumento di consapevolezza dei rischi epidemici nella popolazione, potrebbero congiuntamente ridurre in modo sufficiente i rischi di trasmissione per la maggior parte degli scenari sin qui considerati”. Infine, gli scienziati traggono alcune conclusioni. La prima riguarda un particolare dubbio sull’efficacia dei dispositivi di protezione.
“Ci sono delle incertezze sul valore dell’efficacia dell’uso di mascherine per la popolazione generale dovute a una limitata evidenza scientifica oppure variabili non misurabili”. Queste incertezze, quindi, “suggeriscono di adottare un approccio a passi progressivi. Per questa ragione – proseguono – appare raccomandabile la sperimentazione delle misure (magari considerando una riapertura parziale delle attività lavorative) per un arco di tempo di almeno 14 giorni accompagnata al monitoraggio dell’impatto del rilascio del lockdown sulla trasmissibilità di SARS-CoV-2″. Ed è proprio quello che il governo ha deciso di fare: un graduale allentamento delle misure per alcune attività con l’istituzione delle cosiddette soglie sentinella.
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