Un’agonia e c’è da sperare che non si voti nulla, perché nel Pd ancora in mano a Renzi e ai renziani non esiste l’autocritica: con un voto a maggioranza l’assemblea del Pd ha deciso di cambiare l’ordine del giorno e non discutere sulla guida del partito e il congresso, ma rinviare a una successiva riunione. Sono stati 397 i voti a favore, 221 i contrari e sei gli astenuti. Congelate quindi le dimissioni di Renzi, tra molti fischi. Applausi per la relazione del reggente Maurizio Martina, che poi viene approvata all’unanimità.
Contro la proposta di modificare l’odg si erano subito levate proteste dalla platea, che in precedenza aveva fischiato. “Capiamoci, anche basta”, ha detto Orfini a chi lo interrompeva. Ha dato il suo ok alla modifica dell’odg anche Areadem, la componente del Pd legata a Dario Franceschini perché, hanno spiegato esponenti dell’area, è stato ribadito che le dimissioni di Renzi sono “irrevocabili” e quindi non era necessario affrontare la conta sul percorso da seguire per rinnovare i vertici. Hanno dato l’ok anche i martiniani.
“Non sono d’accordo – ha detto invece il leader della minoranza Pd Andrea Orlando -. Si doveva comunque dare un segnale formale, mia pare non ci sia ma c’è stato nella relazione di Martina un messaggio sostanziale. La conta non era su Renzi ma sul nuovo segretario, avevamo auspicato che si eleggesse oggi, questa posizione non è stata maggioritaria, ora credo che dobbiamo far sì che il reggente sia messo nelle condizioni di farlo perché c’è bisogno di un congresso vero, senza reticenze, e anche di parlare al Paese”.
Subito dopo il voto del cambio dell’ordine del giorno, i lavori sono stati aperti dall’intervento del segretario reggente Maurizio Martina, che ha detto: “Al contratto di natura privatistica di M5S-Lega dobbiamo contrapporre un patto sociale aperto. Loro il contratto, noi la comunità”. Ha poi detto che “faremo un Congresso anticipato, chiedo di poter lavorare insieme a tutti voi per arrivare in maniera unitaria, forte, al congresso, senza la fatica dei detti e non detti che hanno generato ambiguità. Non ho l’arroganza di fare questo lavoro da solo. So che nella transizione questo mestiere si fa così. Ma se tocca a me, anche se per poche settimane, tocca a me. Ve lo chiedo con la massima sincerità. Tocca a me con tutti voi”.
A queste parole sono scattati gli applausi da una parte della platea, che lo ha acclamato “segretario, segretario”. Sono per lo piu’ gli stessi delegati, in prevalenza della minoranza, che avevano votato contro l’inversione dell’ordine del giorno per rinviare la discussione sulla segreteria.
Questo congresso, ha poi sottolineato Martina, “può essere una grande occasione per noi, e anche le primarie, guai se rinunciassimo. Però, ha precisato, “non ci basta una domenica al gazebo. Profondità e apertura si tengono, si può fare, anche superando tante delle divisioni che ci attraversano, se ci si dà fiducia, se non si mette prima il nome e il cognome dell’idea, nella consapevolezza che questo lavoro non può essere autoreferenziale”.
Ha poi affermato: “Credo a un nuovo centrosinistra alternativo a Lega e M5s e alternativo a Forza Italia. Non penso che il futuro del centrosinistra sia nelle vecchie esperienze del centrosinistra, in operazioni di gruppi dirigenti. Il tema è parlare a tanti cittadini che si sono rifugiati nell’astensione o che hanno detto ad altre forze: provo te perché non ho capito loro. Questa sfida non si vince senza il Pd”.
Ad ascoltarlo, nelle prime file dell’assemblea Pd, tra i big, molti volti tesi, ma tutti hanno applaudito, a partire da Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Subito dopo la fine del discorso il premier ha lasciato l’assemblea, salutando Renzi con una stretta di mano.
Il discorso di Martina ha generato molto malumore tra i renziani. Un punto della mediazione raggiunta in precedenza era che il reggente “non facesse – spiega un parlamentare vicino all’ex segretario – un’analisi del voto, ma un discorso di prospettiva e invece è entrato decisamente sul tema”. Sempre fonti vicine all’ex segretario dicono che alla prossima assemblea nazionale, che sarà convocata tra qualche settimana, si svolgerà la discussione che è stata rinviata, con la relazione di Renzi e la convocazione del congresso. Anche Renzi ha lasciato l’assemblea poco dopo la relazione di Martina, come anche il ministro dell’Interno Marco Minniti.
Matteo Renzi è “contento” che l’assemblea nazionale “abbia deciso di evitare divisioni: ha vinto la linea di chi, come lui, Gentiloni e Minniti, chiedeva di congelare il dibattito interno. L’unità raggiunta sulla pace interna è un risultato importante”, dicono fonti vicine all’ex segretario
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