Sembra essersi conclusa, per il Movimento 5 Stelle, la stagione del ”no” preconcetto alle alleanze, che ne ha scandito il passo sin dall’inizio della sua vita.
“Se avremo l’incarico, valuteremo le forze politiche che possano darci la disponibilità a fare il governo, lo vedremo all’indomani del voto. Dipende dalla portata e dal peso specifico in Parlamento. Faremo un appello pubblico ai gruppi parlamentari. Attenderemo le risposte e faremo incontri. Vedremo se ci sono i presupposti per andare al Quirinale con una squadra definita senza inganni”. Sono queste pe larole usate da Luigi Di Maio, candidato premier del M5S, in un’intervista alla Stampa. In sostanza, Di Maio non esclude intese con la Lega e con Liberi e uguali per un esecutivo che sarebbe “à la carte”, “senza alcun patto esclusivo”.
Un cambio di strategia a 180 gradi, rispetto alla chiusura a qualsiasi collaborazione con altri partiti, cavallo di battaglia del M5S, che ha sempre esibito la sua diversità rispetto ai partiti cosiddetti tradizionali.
Sul punto comunque Di Maio ribadisce che il M5S non è un partito. “Siamo un movimento semplicemente perché non abbiamo una struttura, perché non ci sono persone che decidono per le altre o dicono chi si deve candidare. Noi consentiamo di partecipare alla compilazione di liste e programmi. Per questo lanciamo l’appello alle migliori forze per cambiare il Paese insieme con noi”, dichiara. Il motto dell’uno vale uno “è un concetto del quale si è abusato. Sicuramente ‘uno vale uno’ – perché ci si può candidare e votare – ma ‘uno non vale l’altro’. Con le parlamentarie superiamo le liste bloccate. Sfido gli altri a fare lo stesso. Bersani lo fece. E Renzi ora?”.
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